Zio Vanja tra i pensionati

Un momento di «Zio Vanja», in scena al Mercadante per la regia di Leonardo Lidi
(le foto che illustrano l’articolo sono di Gianluca Pantaleo)

NAPOLI – Prima di passare all’analisi dell’allestimento di un testo classico, son solito riepilogare quanto a proposito di quel testo, e in generale del suo autore, ho avuto modo di scrivere nel corso degli anni. E lo faccio anche stavolta, in occasione della rilettura di «Zio Vanja» che lo Stabile dell’Umbria – in coproduzione con lo Stabile di Torino e il Festival dei Due Mondi di Spoleto – presenta al Mercadante per la regia di Leonardo Lidi.
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Ragazze e bandiere

Un’immagine di una manifestazione del Partito Comunista portoghese

NAPOLI – Riporto la rievocazione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

In questa per molti versi deludente stagione del Teatro di Napoli, è entrato a gamba tesa uno degli spettacoli più coraggiosi degli ultimi anni. Parlo di «Impossibile», l’adattamento dell’omonimo libro di Erri De Luca prodotto dallo stesso Teatro di Napoli, che così si fa in parte perdonare, e in scena nel Ridotto del Mercadante. E dico che una sua frase mi ha colpito come una folgore, se per una volta mi si concede il cedimento a quella retorica delle parole che per tutta la vita ho combattuto pur esercitando il mestiere di chi le parole le vende.
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Un delitto in scena

In questa e nelle altre due foto che illustrano l’articolo
tre momenti di «The Repetition. Histoire(s) du Théâtre (I)» di Milo Rau
(le foto sono di Hubert Amiel)

NAPOLI – Riporto la presentazione di «The Repetition. Histoire(s) du Théâtre (I)» pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

NAPOLI – Finalmente arriva a Napoli (sarà in scena al Mercadante oggi e domani) «The Repetition. Histoire(s) du Théâtre (I)», lo spettacolo-bandiera del teatro di Milo Rau. Ma, prima di descriverlo, mi sembra utile riassumere quanto gli sta dietro. E, innanzitutto, ricordare per sommi capi che cosa ha fatto il quarantasettenne regista di Berna, ormai celeberrimo.
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Morirà la morte. Di dolcezza

In questa e nelle altre due foto che illustrano l’articolo Valentina Banci in «Wit», in scena al Teatro Due
(le foto sono di Andrea Morgillo)

PARMA – In rarissimi casi accade che un testo teatrale viva di una coerenza assoluta fra i suoi snodi narrativi, l’oggetto della narrazione e le caratteristiche espressive del tipo di scrittura adottato nella circostanza. E uno di questi casi è costituito da «Wit», il testo di Margaret Edson che – vincitore di molti premi, fra cui il Pulitzer per il teatro nel 1999, e adattato per la televisione in un film con Emma Thompson diretto da Mike Nichols – è ora in scena al Teatro Due di Parma, nella traduzione di Valentina Martino Ghiglia e in un allestimento a cura di Paola Donati.
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Fra teatro e vita

Anna Della Rosa in un momento di «Durante», in scena al Piccolo Teatro Grassi
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Masiar Pasquali)

MILANO – Riporto la recensione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Più di una volta, negli ultimi tempi, ho assistito a spettacoli che, invece di raccontare una storia qualsiasi, per quanto importante e interessante, portavano in scena una riflessione sul teatro. E questo è un bene, un gran bene. Perché, come vado sostenendo da anni, abbiamo il dovere imprescindibile di chiederci che teatro facciamo oggi, ovvero che ne facciamo del teatro.
Sono, pari pari, le parole con cui l’anno scorso introdussi il commento al trittico che il francese Pascal Rambert, autore e regista fra i più interessanti del panorama teatrale odierno, ha pensato per tre stagioni del Piccolo: un trittico (lo compongono «Prima», «Durante» e «Dopo») basato sulle vicende di una compagnia impegnata nell’allestimento di un copione ispirato alla «Battaglia di San Romano» di Paolo Uccello. E quelle parole le ripeto con maggiore convinzione adesso che mi trovo ad analizzare il secondo dei tre testi in questione, appunto «Durante».
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Quando il figlio è solo un’immagine

Da sinistra, Daria Deflorian e Federica Fracassi in «La vita che ti diedi», in scena al Carignano
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Luigi De Palma)

TORINO – De «La vita che ti diedi» di Pirandello vidi nel 1979, al San Ferdinando di Napoli, un acuto allestimento esaltato dalla regia di Massimo Castri e dalla prova, nel ruolo principale, di una superba Valeria Moriconi. E subito m’è tornato in mente, quello spettacolo, mentre al Carignano assistevo alla messinscena del testo in questione firmata da Stéphane Braunschweig e prodotta dal Teatro Stabile di Torino insieme con Emilia Romagna Teatro: perché ho avuto modo di constatare senza dubbi la sintonia di quanto osservavo adesso con quanto osservai e scrissi quarantacinque anni fa.
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La Medea della porta accanto

Orietta Notari in un momento di «Medea», in scena alle Fonderie Limone di Moncalieri
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Luigi De Palma)

TORINO – «Il dramma portato sulla scena si svolge contemporaneamente a livello dell’esistenza quotidiana, in un tempo umano, opaco, fatto di presenti successivi e limitati, e in un aldilà della vita terrestre, in un tempo divino, onnipresente, che abbraccia ad ogni istante la totalità degli eventi, ora per celarli, ora per scoprirli, ma senza che nulla mai gli sfugga né si perda nell’oblio».
Ancora una volta – per inquadrare adesso la «Medea» che Leonardo Lidi ha tratto da Euripide e che viene presentata alle Fonderie Limone di Moncalieri dallo Stabile torinese, di cui Lidi è artista associato – parto da ciò che, secondo l’acuta analisi di Jean-Pierre Vernant, definisce nella sua essenza la tragedia greca in generale. E aggiungo subito che quest’allestimento – in virtù delle scelte compiute insieme dalla regia di Lidi e dalla drammaturgia di Riccardo Baudino – si colloca decisamente nella prima delle due dimensioni individuate da Vernant.
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Brutti, sporchi e cattivi in Russia

Massimo Popolizio in un momento de «L’albergo dei poveri», in scena al Mercadante
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Claudia Pajewski)

NAPOLI – Di Maksim Gor’kij «L’albergo dei poveri» è certamente l’opera più nota, ma altrettanto certamente non la migliore. Almeno nel senso che si riferisce a uno dei più eclatanti casi di contraddittorietà che mai si siano verificati in letteratura, non esclusa quella teatrale. E mi spiego partendo da alcune elementari considerazioni.
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Una gallina sul trono

La scena iniziale di «Re Chicchinella» di Emma Dante, in scena al Piccolo Teatro Studio Melato
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Masiar Pasquali)

MILANO – Riporto la recensione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Con «Re Chicchinella» – uno spettacolo presentato nel Teatro Studio Melato e coprodotto, fra gli altri, dal Piccolo e dal Teatro di Napoli – Emma Dante conclude il suo viaggio in tre tappe dentro «Lo cunto de li cunti» di Basile.
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Autoritratto retroattivo

Valerio Binasco e Pamela Villoresi in un momento de «La ragazza sul divano», in scena al Carignano
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Virginia Mingolla)

TORINO – Riporto la recensione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

«Scrivere per me rimane comunque un atto musicale». Ecco, credo che sia questa la più importante dichiarazione che a proposito di sé e della propria opera abbia fatto Jon Fosse, il poeta, romanziere e drammaturgo norvegese, Premio Nobel per la letteratura l’anno scorso, del quale è in scena al Carignano – per la regia di Valerio Binasco, in una coproduzione dello Stabile di Torino e del Teatro Biondo di Palermo – «La ragazza sul divano», il testo, fra i suoi più emblematici, che poi sarà ospitato dal 7 al 12 maggio anche dal nostro Mercadante.
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