Se i biscotti sono ricordi

Marina Confalone in un momento de «La scatola di biscotti», in scena al San Ferdinando
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Serena Petricelli)

NAPOLI – Riporto il commento pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Parlerò, adesso, de «La scatola di biscotti», il nuovo testo teatrale di Maurizio de Giovanni che – in un allestimento prodotto dal Teatro di Napoli, con Marina Confalone nel ruolo principale – sarà in scena al San Ferdinando da stasera al 7 gennaio. Ma debbo fare una premessa.
Mentre leggevo quel testo, un atto unico, ho avuto via via più netta la sensazione che si tratti di un prolungamento dei tre che de Giovanni ha interpretato nell’ambito del festival «CasaCorriere». E visto che de Giovanni è un giallista provetto, si potrebbe scherzosamente spiegare la circostanza col fatto che, secondo proverbio, l’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Senonché ci troviamo di fronte a qualcosa di molto serio: lo scrittore, qualunque scrittore, non fa che ripetersi, scrive sempre lo stesso testo.
Di tanto costituisce un esempio probante, nel quadro della drammaturgia post-eduardiana, Enzo Moscato. Il suo testo «Libidine violenta», mettiamo, è palesemente una riscrittura del precedente «Recidiva». E la parola recidiva, presa per intero o scomposta, può assumere vari significati, e tutti decisivi: intanto, è, sul piano del diritto, la ricaduta in un reato, ma accoglie anche la radice di recitare e, quindi, rinvia – in uno con la coazione a ripetere insita nel suo significato comune – ai vizi, ai vezzi e ai misfatti del teatro. Mentre, a sua volta, recitare può diventare re-citare, ossia citare di nuovo, citare a ripetizione e ad oltranza. E, infine, recidiva può diventare recìdi-va’, ossia taglia, separa, e procedi, riprendi il cammino da capo.
Per quanto mi riguarda personalmente, ricordo che una mattina, in un’aula del «Plinio Seniore», il liceo classico di Castellammare di Stabia, la città in cui allora vivevo, saltai su nel banco gridando che la «Divina Commedia» è una sega in cento canti. Intorno ci furono scompiglio e raccapriccio. Ma il professore d’italiano – si chiamava Pasquale Lamanna, aveva tentato un paio di volte il suicidio e svolgeva lezioni meravigliose se per un po’ riusciva a dimenticarsi che alla scuola non credeva più – capì che la mia non era una battuta. E oggi con la dantesca «masturbazione» mi confronto quasi tutti i giorni.
Mi son permesso questo ricordo perché proprio sui ricordi si fonda il testo di de Giovanni. La protagonista è Nancy Red, un’agente di spettacolo romana che in occasione dei funerali della madre Maria, con la quale da anni e anni non aveva più rapporti, torna nel natìo paese del Sud da cui era fuggita perché lo considerava «un paese di merda». E nel tinello-salotto antiquato della casa di famiglia trova sul tavolo da pranzo una scatola di biscotti. La apre, essendole venuta fame, ma dentro vi scopre, invece dei biscotti, vecchie fotografie che suscitano, per l’appunto, ricordi.

L’intero cast: da sinistra, Andrea Cioffi, Silvia D’Anastasio, la Confalone e Chiara Baffi

A Nancy compaiono, così, gli ectoplasmi, oltre che della madre, di Riccardo, il suo fidanzato da ragazza, e di Carmen, la sua bellissima amica di un tempo, con l’aggiunta della voce fuori campo di Micky, il suo attuale socio e amante. E intanto lei dialoga con il pesce rosso che si trova in una boccia posta al centro del tavolo e che rappresenta, si capisce, la sua coscienza.
Tutto, dunque, si svolge nella mente di Nancy. E in quella mente Maurizio de Giovanni colloca non poche cose importanti: a cominciare dal problema dell’identità, che già sottolineai quando, nel commentare i testi presentati nell’ambito di «CasaCorriere», mi riferii a «So’ Bammenella ‘e copp’ ‘e Quartiere» di Viviani.
Bammenella è un personaggio dell’atto unico «Via Toledo di notte» ed è una prostituta che si chiama Ines. Ma si presenta con il soprannome che le hanno dato nell’ambiente in cui esercita la sua professione, giusto i Quartieri, e circa l’uomo col quale vive tace che è il suo pappone, ma dice, alternativamente, che è «’o capo guaglione» e «nu bellu guaglione» che la fa rispettare e col quale fa l’amore. Ines, in breve, indossa una maschera, per presentarsi agli altri come quella che non è e in tal modo difendersi dai loro attacchi.
Ebbene, la Nancy di Maurizio de Giovanni – in ciò consiste la principale delle molte invenzioni di pregio contenute ne «La scatola di biscotti» – è un’eclatante riscrittura della Bammenella di Viviani. Lei si chiama, in realtà, Nunzia Russo e ha adottato quel soprannome rutilante, Nancy Red, per adeguarsi, e così rendersi bene accetta, all’ambiente in cui lavora. L’ectoplasma di Riccardo glielo rinfaccia senza mezzi termini. Quando Nancy afferma: «Io sono Nancy Red, prima di tutto», ribatte: «No, tu sei Nunzia Russo, prima di tutto. Puoi prendere in giro la gente a Roma, non qui». E lei stessa, del resto, riconosce che «non è questione di nome, ma di identità», sottolineando (lo dice due volte) che «il problema è il nome».
Insomma, anche la Nunzia Russo di de Giovanni, come la Ines di Viviani, indossa una maschera protettiva. E ne ha bisogno, perché, alle sue spalle, gli stessi più stretti collaboratori la chiamano «la iena», «piranha», «barracuda» e «squalo». Si comprende, dunque, il perché della storia che la madre le raccontava quand’era bambina: «C’era una volta una principessa che aveva paura di restare ferita, e allora chiese al padre, il re, di poter avere in prestito la corazza che lui usava per la guerra, così da proteggersi da ogni pericolo…».

Ancora Marina Confalone, protagonista del testo di Maurizio de Giovanni per la regia di Andrea Renzi

Ma, ripeto, sono molte le invenzioni di pregio contenute ne «La scatola di biscotti». Vedi, tanto per fare un altro esempio, la sacrosanta polemica che de Giovanni mette in campo contro la stupidità di certa televisione. Sbotta a un certo punto Nancy: «C’è qualche telecamera nascosta, è una di quelle trasmissioni per deficienti dove io stessa colloco attori ormai professionalmente defunti in cerca di una qualsiasi forma di rilancio?». Una polemica che fa il paio con l’affondo lanciato dall’ectoplasma di Riccardo: «Certo che dev’essere proprio un bell’ambiente, quello dello spettacolo. In TV tutti a fare i santi, a sorridere e a fingere di volersi bene, e poi una volta spente le luci…».
Né meno importante risulta, sempre a titolo d’esempio, il seguente scambio di battute fra Nancy/Nunzia e l’ectoplasma della madre: Maria: «Sei sempre stata piena di fantasia» – Nancy/Nunzia: «Io, fantasia? Diciamo piuttosto che sono l’unica pratica di questa casa e probabilmente di questo intero paese. La fantasia ci vuole per restare qua, e per decidere di non andare nel mondo reale, te lo dico io».
Già, forse, a sua volta, Maurizio de Giovanni ci dice che il paese da cui Nunzia scappò per diventare Nancy è puramente e semplicemente Napoli. Forse, ancora, è dello svagato e immemore teatro corrente praticato a Napoli che parla Nancy allorché ricorda uno degli spettacoli d’intrattenimento che, quand’erano ragazzi, metteva su insieme con Riccardo: «(…) inserimmo un monologo drammatico. Non c’entrava niente col resto dello spettacolo, alcuni spettatori restavano interdetti. Ma altri, la maggior parte, facevano gli occhi lucidi. E applaudivano più forte». E forse, infine, è a quanto bisognerebbe fare con Napoli che allude un altro scambio di battute, quello fra l’ectoplasma della madre e la Nancy/Nunzia che sta per ripartire dopo i funerali: Maria: «Io purtroppo non posso strapparti nessuna promessa di rivederci» – Nancy/Nunzia: «No, mamma. E la porterò per sempre, questa croce» – Maria: «No, amore mio, e perché? Io ti ho sempre guardata, anche da lontano. Sono sempre stata con te, e continuerò a farlo. Se sarai di nuovo la mia Nunziatina, poi, sarà ancora più facile» – Nancy/Nunzia: «Qualche altra promessa però te la posso fare, mamma. Ti prometto di non vendere questa casa. Di lasciarla così com’è, e di starci tanto, più tempo che posso».
Ora, sempre in ossequio alle regole proverbiali che presiedono alla fruizione del giallo, non rivelerò il finale. Dico solo che de Giovanni fa suo il monito scagliato da Joseph Roth contro la «facilità di dimenticare alla svelta e per sempre».

Enrico Fiore

(«Corriere del Mezzogiorno», 21/12/2023)

Questa voce è stata pubblicata in Commenti. Contrassegna il permalink.

2 risposte a Se i biscotti sono ricordi

  1. Carlo Santaniello scrive:

    Un saluto affettuoso da Lello di Maio e Carlo Santaniello.
    Carlo Santaniello

  2. Enrico Fiore scrive:

    Ricambio con altrettanto affetto.
    Enrico Fiore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *