Eduardo vs Viviani

Da sinistra, Eduardo De Filippo, Armando Falconi e Raffaele Viviani in una foto d’epoca

NAPOLI – Riporto il commento pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Propongo alcune considerazioni in margine all’ultima puntata della rubrica di Goffredo Fofi «Mezzogiorno di fuoco», pubblicata domenica scorsa. Con la premessa che spero non saltino su i soliti benpensanti (leggi nonpensanti) a qualificare come «provocazioni» le idee manifestate da Fofi: che sono invece, come sempre, lucidissimi e coraggiosissimi affondi contro i luoghi comuni.
Dunque, che cosa ha scritto Goffredo Fofi? Tanto per cominciare, ha scritto che il «grande teatro popolare» napoletano ebbe in Viviani «il suo maggior rappresentante»: «Ché se Eduardo ha cantato la piccola borghesia cittadina e le sue pene e illusioni, i suoi cambiamenti nel corso di decenni, Raffaele ha esplorato con la precisione del grande sociologo tutti gli strati sociali della città, tutti i suoi quartieri e tutti i suoi mestieri». E scusate se è poco.
Ma, come se non bastasse, Fofi ha aggiunto: «Quest’arte (che apparteneva un tempo ai costruttori dei grandi presepi) ci ha dato opere geniali, e credo sia ora di dire che è Raffaele il maggiore artista del teatro napoletano (e dell’area napoletana) del Novecento». E ovviamente, debbo dire a mia volta che non posso non essere d’accordo, visto che da una vita sostengo esattamente la stessa cosa.
Poi, Fofi è passato a raccontare di come propose alla Einaudi la pubblicazione del teatro di Viviani e di come «gli amici di via Biancamano» gli «dissero chiaro e tondo che, finché Eduardo era vivo, loro non avrebbero potuto, pur volendolo, accogliere Viviani nel loro catalogo, per non dar fastidio – dissero proprio così – a Eduardo». E commenta, Fofi: «Non so se quest’ultimo lo sapesse, ma immagino di sì, ché Eduardo non era un angelo (Tina Pica lo chiamava anzi “‘o diavulo!”)».
Posso precisare che non solo Eduardo lo sapeva, ma che era stato proprio lui, personalmente, a bloccare la pubblicazione del teatro di Viviani da parte della Einaudi. Era già pronto il piano editoriale, e sarebbe stato nientemeno che Roberto De Simone a curare l’opera. Ma arrivò una telefonata perentoria di Eduardo («Se pubblicate i testi di Viviani, io cambio editore») e il progetto finì dimenticato nel proverbiale cassetto. Davvero non ci avevano messo molto, quelli dell’Einaudi, a farsi gli altrettanto proverbiali conti in tasca.

Eduardo De Filippo nella celebre scena del caffè di «Questi fantasmi!»

Così, chi voleva leggere il teatro di Viviani non poteva che ricorrere all’antologia pubblicata dall’Ilte (Industria Libraria Tipografica Editrice) di Torino nel 1957, ormai pressoché introvabile e solo a prezzi d’antiquariato. Erano trentaquattro commedie («Il vicolo», «Via Toledo di notte», «Borgo Sant’Antonio», «Scalo marittimo», «Piazza Municipio», «Porta Capuana», «Osteria di campagna», «Caffè di notte e giorno», «Eden Teatro», «Lo sposalizio», «Campagna napoletana», «La festa di Piedigrotta», «La Bohème dei comici», «Circo equestre Sgueglia», «Fatto di cronaca», «Don Giacinto», «Pescatori», «La figliata», «Zingari», «Fuori l’autore», «La festa di Montevergine», «La musica dei ciechi», «Vetturini da nolo», «Morte di Carnevale», «Nullatenenti», «Mastro di forgia», «Guappo di cartone», «L’ultimo scugnizzo», «L’imbroglione onesto», «I vecchi di San Gennaro», «Padroni di barche», «Muratori», «La tavola dei poveri» e «I dieci Comandamenti») introdotte da gente come, fra gli altri, Giuseppe Marotta, Mario Stefanile, Silvio D’Amico, Leonida Repaci, Vito Pandolfi, Carlo Levi, Matilde Serao, Giulio Trevisani, Umberto Barbaro, Carlo Bernari, Alberto Spaini, Federico Frascani, Domenico Rea, Anton Giulio Bragaglia e Paolo Ricci.
Si dovette attendere il 1987 perché, in occasione del centenario della nascita di Viviani, il suo teatro venisse pubblicato per intero. E certamente fu merito, come ha ricordato Fofi, del direttore editoriale Peppe Russo, che allora lavorava da Guida. Ma un fatto misterioso (o, almeno, curioso) accadde nella circostanza. A curare quell’edizione fu chiamato (mentre Antonia Lezza e Pasquale Scialò si occuparono rispettivamente della parte filologica e di quella musicale) Guido Davico Bonino.
Ora, Guido Davico Bonino – che è stato, fra l’altro, docente universitario, critico letterario e teatrale, saggista, conduttore televisivo e radiofonico, direttore del Festival di Asti e della sezione prosa di quello di Spoleto nonché direttore dello Stabile di Torino – risultava senz’alcun dubbio una persona competente. Ma a suo sfavore pesava la circostanza che, per l’appunto, era di Torino. Che c’entrava con Viviani?
Che non c’entrasse granché se ne rendeva conto anche lui. E valga a dimostrarlo l’episodio seguente. Alla «prima» di «Fatto di cronaca» per la regia di Maurizio Scaparro – giusto durante il Festival dei Due Mondi di Spoleto e nel 1987 – Davico Bonino venne a sedersi accanto a me e mi disse: «Senti, mi fai il favore di spiegarmi il significato delle parole che per me saranno incomprensibili?». Io mi limitai a rispondere: «Il favore te lo faccio se tu mi dici a tua volta come hai fatto ad accettare l’incarico di curare la pubblicazione del teatro di Viviani visto che, lo stai dichiarando, capisci ben poco della lingua in cui è scritto».
La cosa finì lì, s’intende. E davvero non era una questione di secondo piano la faccenda della lingua.

Raffaele Viviani al tavolo da lavoro

Qui apro una parentesi. Ruggero Cappuccio – che, come si sa, è il maggior produttore e spacciatore al mondo di acqua calda – ha scoperto di recente che nel teatro napoletano c’è una molteplicità di lingue. Ma è proprio il tema, «Le lingue napoletane del teatro», che svolsi nel marzo del 2011 all’Accademia della Crusca di Firenze, nel quadro del convegno «La lingua italiana e il teatro delle diversità» compreso nel progetto «Il teatro italiano nel mondo» ideato e diretto ancora da Scaparro in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia.
Dissi fra l’altro, e con ciò torniamo al dualismo Viviani/Eduardo, che quella di Viviani non si limita ad essere una lingua connotativa (ossia, rispetto agli ambienti e ai personaggi, puramente descrittiva), ma è, costantemente e strenuamente, una lingua costitutiva. E forse è opportuno, nel merito, riandare alla famosa formula di Sartre circa il linguaggio come «corpo verbale»: poiché, se è vero che io sono linguaggio, che ciascuno di noi è il linguaggio che parla, ecco che anche i personaggi di Viviani (o i vicoli e le piazze in cui si muovono) sono esattamente la lingua che parlano (o che li evoca). Mentre perfettamente opposta è la lingua di Eduardo De Filippo.
Ebbene, a proposito della pubblicazione del teatro di Viviani da parte dell’editore Guida, dopo il mistero (o la curiosità) dell’affidamento della cura dell’opera al «foresto» Guido Davico Bonino venne al sesto volume il miracolo, altrettanto imprevisto, della sostituzione del professore torinese per l’appunto con Goffredo Fofi. E la musica, si capisce, cambiò completamente.
Nel saggio introduttivo al volume Fofi mise subito le carte in tavola, e insieme con acume ed esattezza. Nella scia di Vito Pandolfi, collocò Viviani accanto al solo Pirandello e, in prospettiva, personalmente lo accostò a Carmelo Bene, «che soffrirà bensì presso il pubblico e gli storici il fatto di essere grande attore e regista prima che grande autore, così come Viviani ha sofferto della sua grandezza di scrittore in napoletano».
Eccola di nuovo, la questione decisiva della lingua di Viviani. Giusto il carattere «costitutivo» di quella lingua, Goffredo Fofi poté con straordinaria capacità di analisi affermare che Viviani «è l’autore del popolo, e bensì non per il popolo, in nome del popolo, ma da dentro il popolo e le sue contraddizioni e le sue, molto concrete, paure». Ancora una volta, perciò, torna in mente il racconto secondo cui, avvicinandosi la morte, Viviani tacque per dodici ore; e poi, un attimo prima spirare, ruppe in un grido altissimo: «Arapite ‘a fenesta, faciteme vede’ Napule!». Quella Napoli che sentì sempre, e descrisse, come un incubo.

Enrico Fiore

(«Corriere del Mezzogiorno», 11/6/2022)

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12 risposte a Eduardo vs Viviani

  1. Rosa Startari scrive:

    Carissimo Enrico,
    c’è la possibilità di leggere il suo “Le lingue napoletane del teatro”?
    Io, grata, la seguo.
    Rosa Startari

  2. Enrico Fiore scrive:

    Cara Rosa,
    le manderò al più presto, via e-mail, il testo di quell’intervento. E grazie, sempre, per l’attenzione che mi riserva.
    Enrico Fiore

  3. Mariangela Stanzione scrive:

    Gentile Fiore,
    potrei chiederle anch’io di leggere il suo intervento per l’Accademia della Crusca, “Le lingue napoletane del teatro”? Sarebbe infinitamente utile per i miei studi universitari.
    La ringrazio per l’attenzione, con tanta stima.
    Mariangela Stanzione

  4. Enrico Fiore scrive:

    Gentile Mariangela,
    sono io che ringrazio lei per l’attenzione che mi concede. Le mando via e-mail il testo di quel mio intervento all’Accademia della Crusca.
    Cordiali saluti.
    Enrico Fiore

  5. Francesco Del Pozzone scrive:

    Gentilissimo dott. Enrico Fiore,
    ho letto alcune sue recensioni sul teatro di Eduardo, con riferimento anche a Viviani e alla questione della lingua napoletana. Ebbene, posso avere la possibilità di leggere anch’io la sua relazione, “Le lingue napoletane del teatro”? Certo di un suo assenso, invio il mio nome e il mio indirizzo, e le sono davvero grato.
    Francesco Del Pozzone

  6. Enrico Fiore scrive:

    Grazie a lei per la sua attenzione. Le invio il testo di quella relazione al suo indirizzo di posta elettronica.
    Cordiali saluti.
    Enrico Fiore

  7. Luigi Medugno scrive:

    Gentile dottor Fiore,
    sono un napoletano, amante del teatro e della canzone in lingua napoletana e appassionato cultore di quella lingua.
    M’interesserebbe molto leggere la sua relazione “Le lingue napoletane del teatro”
    La ringrazio infinitamente.
    Luigi Medugno

  8. Enrico Fiore scrive:

    Gentile signor Medugno,
    le manderò il testo di quella relazione come allegato a una mail. E intanto la ringrazio per l’attenzione che mi riserva.
    Cordiali saluti.
    Enrico Fiore

  9. Fulvio Pastore scrive:

    Caro Enrico, sarei felice di ricevere anch’io quella tua relazione. Un abbraccio.
    Fulvio Pastore

  10. Enrico Fiore scrive:

    D’accordo, caro Fulvio. Te la mando al tuo indirizzo e-mail. E, nel ringraziarti dell’attenzione, ti ricambio l’abbraccio-
    Enrico Fiore

  11. Mario Raviele scrive:

    Dal 1967 al 1971 ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli, seguendo il corso di scenografia. E avendogli manifestato le mie idee politiche e le mie origini proletarie, Franco Mancini, il direttore, mi consigliò di scegliere qualcosa di Raffaele Viviani. Ho letto con molta attenzione quanto hai scritto in merito alla pubblicazione delle opere di Viviani da parte di Einaudi e alla contrarietà di Eduardo. Ne sapevo qualcosa, ma ora, tramite il tuo articolo e Goffredo Fofi, mi sono più chiari i rapporti tra quei due grandi, del teatro napoletano e non solo. Ho letto altri testi di Fofi, per esempio quello su Totò, e lo ammiro moltissimo. Il tuo pezzo è molto chiaro e documentato. Se è possibile vorrei averlo via mail.
    Grazie e cordiali saluti.
    Mario Raviele

  12. Enrico Fiore scrive:

    Grazie a te per l’attenzione. Ti mando subito l’articolo in questione, insieme con altrettanto cordiali saluti.
    Enrico Fiore

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