L’ultima ex la puoi incontrare solo on line

Il tema fondamentale di «Some girl(s)» – il testo di Neil LaBute presentato nel Piccolo Bellini per la regia di Marcello Cotugno – è la difficoltà, spesso insormontabile, della comunicazione fra le persone, in particolare fra gli uomini e le donne.
Infatti, abbiamo qui un insegnante e aspirante scrittore trentatreenne, Guy, che alla vigilia del matrimonio decide d’incontrare quattro sue ex (Sam, Tyler, Lindsay e Bobbi) nel tentativo di «fare un po’ di pulizia», ossia un po’ di chiarezza, circa i motivi, e le reciproche colpe, che anni prima li portarono a separarsi; ma, ovviamente, il tentativo affogherà tra mille menzogne e ipocrisie.
Si tratta, certo, di un tema non nuovo, ma ciò che nella circostanza s’impone è il suo perfetto identificarsi con la scrittura adottata per svolgerlo: una scrittura asfittica, che spasima ineffettuale in un susseguirsi lento di battute brevi, spesso lasciate in sospeso e ancora più spesso ridotte a scheletrici monosillabi. E una scena soprattutto si rivela in proposito decisiva, quella in cui Guy cita il «Don Chisciotte» e Tyler replica: «Non ho mai capito di cosa cazzo stessi parlando!».
Non so se LaBute ci abbia pensato, ma è certo che lui – uno dei più accorsati fra gli autori nordamericani della generazione succeduta a Mamet – con quella scena richiama per l’ennesima volta il problema capitale individuato nel capolavoro di Cervantes: la frattura tra le parole e le cose. Le cose fra le quali, al primo posto, si colloca anche il corpo. E proprio a quest’ultimo fatto mi sembra che si riferiscano le intelligenti e funzionalissime invenzioni di Cotugno.
Vedi, tanto per intenderci, i petali di rosa che prima dell’inizio le quattro ex in campo spargono intorno allo spazio scenico (il sale sulle ferite e/o i palpiti del cuore sulla morte dei sentimenti) e le corse o le passeggiate delle stesse ex lungo il perimetro della stanza d’albergo in cui si sono appena svolti gl’incontri in questione (la sottolineatura, per l’appunto, del primato del corpo rispetto alle parole vane sin lì pronunciate).
Questi esempi, peraltro, valgono a dire che la regia di Cotugno mette in campo pure un godibile «mélange» fra l’umoristico, l’amarognolo e la comicità dichiarata: un «mélange» che lascia agevolmente pensare, contemporaneamente, a Neil Simon («Plaza Suite»), Arthur Schnitzler («Girotondo») e, naturalmente, Georges Feydeau («L’albergo del libero scambio»).
L’invenzione principale arriva però alla fine, quando Guy incontra una quinta ex, Reggie, soltanto on line; e si può assistere a questo quinto incontro soltanto collegandosi all’indirizzo web comunicato al momento dell’acquisto del biglietto. Non si poteva ribadire in maniera più radicale l’«esilio» del corpo (ora divenuto addirittura virtuale) dalla traditrice «patria» dell’ideologia e dei (pre)concetti.
Rimane solo da annotare quanto sono bravi Gabriele Russo (ovviamente nel ruolo di Guy), Guia Zapponi (Sam), Bianca Nappi (Tyler), Roberta Spagnuolo (Lindsay), Martina Galletta (Bobbi) e Rachele Minelli (Reggie). Lo spettacolo, fra i pochissimi riusciti e piacevoli di questa stagione, affronta adesso, con il viatico del successo ottenuto nel Piccolo Bellini, una lunga e articolata tournée.

                                                                                                                            Enrico Fiore

(«Il Mattino», 18 dicembre 2013)

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