Miracolo in musical: Madre Gothel come Luca Cupiello

Da sinistra, Alessandra Ferrari (Rapunzel) e Lorella Cuccarini (Madre Gothel) in «Rapunzel» (foto di Musacchio&Ianniello)

Da sinistra, Alessandra Ferrari (Rapunzel) e Lorella Cuccarini (Madre Gothel) in «Rapunzel» (foto di Musacchio&Ianniello)

NAPOLI – «Rapunzel» – il musical che la Viola Produzioni presenta all’Augusteo – arriva dopo il film d’animazione della Disney «Tangled (Intrecciati)», che a sua volta arriva dopo la fiaba dei fratelli Grimm «Raperonzolo», che a sua volta, assai probabilmente, arriva dopo la favola di Basile «Petrosinella». E insomma, il musical conferma anche in questa circostanza d’essere un genere che, sotto il profilo della trama, rimanda al passato. Ma il pregio di «Rapunzel» è che, contemporaneamente, sul piano dei contenuti rimanda al presente.
Cominciamo, appunto, dalla trama. Come si sa, ruota intorno a Madre Gothel («Go to Hell, Va all’inferno»), una strega malvagia che – persa dietro il sogno di un’eterna giovinezza – rapisce una bambina, giusto Rapunzel, e la cresce – certo, con ogni premura, ma chiusa in una torre – allo scopo di godere dei poteri di guarigione e rigenerazione che il fiore magico raperonzolo ha conferito alla sua chioma. E non viene fatto di pensare, insieme, all’ossessione di avere un figlio a tutti i costi che incatena tante donne di oggi e al ricorso altrettanto maniacale, da parte delle stesse, ai famigerati «ritocchini» a base di botox?
Il dato ancora più interessante, però, è che il rimando al presente si estende, in «Rapunzel», addirittura ai territori della sperimentazione teatrale estrema. Accade quando, mentre discute con Rapunzel, Madre Gothel prende a scrivere nell’aria le parole che sta pronunciando: esattamente, ma proprio esattamente, come faceva l’Eduardo/Luca Cupiello di Antonio Latella nel rivoluzionario allestimento di «Natale in casa Cupiello» presentato nel dicembre scorso all’Argentina di Roma.
Incredibile. Ma tante, davvero tante, sono le invenzioni pregevoli che l’autore e regista Maurizio Colombi dissemina in questo «Rapunzel». Sicché non esito a considerarlo come il miglior musical che abbia visto negli ultimi anni. Penso, mettiamo, alla colonna sonora, in cui le musiche originali di Davide Magnabosco, Alex Procacci e Paolo Barillari si mescolano gustosamente con le citazioni – proposte dai personaggi inventati Rosa e Spina, ovviamente due fiori – di canzoni popolari quali «Rose rosse», «Papaveri e papere», «Margherita» e, s’intende, «Buonanotte fiorellino». E ancora, penso, sempre a titolo d’esempio, allo scambio fra i personaggi interpretati dagli attori in carne e ossa e quelli che compaiono in un cartoon proiettato sullo schermo che a tratti cala a chiudere il boccascena; o, per finire con gli esempi, alla non meno gustosa chiamata in causa di Maradona e Higuaín.
All’altezza le scene di Alessandro Chiti, i costumi di Francesca Grossi e le coreografie di Rita Pivano. E tutti molto efficaci gl’interpreti: da una Lorella Cuccarini (Madre Gothel) in gran forma, che padroneggia con pari disinvoltura sia la danza che il canto e la recitazione, ai simpatici e dotati Alessandra Ferrari (Rapunzel) e Giulio Corso (Phil). Da citare, fra gli altri, almeno Alessandra Ruina (Rosa/Nutrice), Martina Gabbrielli (Spina/Popolana) e Mattia Inverni (Segugio/Milord).
Successo pieno alla «prima», soprattutto fra i bambini. Si son dati alla pazza gioia facendo volare le lanterne a cui, in occasione dei suoi compleanni, il popolo affidava la speranza nella liberazione di Rapunzel. E su quella favola mi ha detto cose preziose (poniamo, definendo Gothel «una madre finta») proprio una bambina: Sara, otto anni, che sedeva nella fila davanti a me insieme con la zia Luisa Ranieri.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

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