Il «MA» di Latella fra Pasolini e la madre

Candida Nieri in un momento di «MA» (foto di Brunella Giolivo)

Candida Nieri in un momento di «MA» (foto di Brunella Giolivo)

VENEZIA – «Vergine Madre, figlia del tuo figlio»… Sì, bisogna proprio partire dall’incipit della preghiera di San Bernardo (Paradiso, XXXIII, 1) per inquadrare «MA», lo spettacolo che ha chiuso al Piccolo Arsenale (dopo i già visti «A.H.» e «Caro George») la «personale» che la Biennale Teatro diretta da Àlex Rigola ha dedicato ad Antonio Latella, in tal modo sancendone ufficialmente e ai più alti livelli il rango di uno dei maggiori registi europei di oggi.

Pasolini con la madre, Susanna Colussi

Pasolini con la madre, Susanna Colussi

Infatti, si affronta qui la figura della madre nell’opera di Pier Paolo Pasolini. E quello di Pasolini per la madre fu un amore totale e totalizzante, sino al punto di fissargli la vita sessuale in una forma chiusa e per sempre data: Pasolini non poté amare alcuna donna giusto perché amava la madre come manifestazione ontologica della Donna; e dunque, essendo il figlio che un simile amore aveva concepito, partorì a propria volta sua madre.
Di conseguenza – nel solco, per l’appunto, di un’identificazione col Cristo – Pasolini, in specie il Pasolini poeta, contemporaneamente attribuì alla madre: in quanto generato, la colpa di avergli dato un destino di vittima sacrificale («è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia»); e in quanto generatore, una missione salvifica nei confronti del mondo («Tutto intorno ferocemente muore, / mentre non muore il bene che è in lei»).
Tutto questo Linda Dalisi – autrice di un testo denso e affascinante e commovente, che pesca, poniamo, in «Mamma Roma», «Petrolio», «Teorema», «Medea» e, naturalmente, «Il Vangelo secondo Matteo», in cui Pasolini volle calare sua madre nei panni della Madonna ai piedi della Croce – lo riassume ed esalta nei seguenti due versi che la Vergine rivolge a Gesù: «Figlio mio, padre mio. / Ti sono figlia. Dopo che madre».

Antonio Latella

Antonio Latella

Dal canto suo, Latella ricava da un quadro del genere uno spettacolo nello stesso tempo essenziale e travolgente. L’attrice protagonista, seduta su uno sgabello o in piedi, sta dall’inizio alla fine con i piedi medesimi infilati in due giganteschi scarponi. E contempla un microfono che tiene fra le mani deposto su un fazzoletto bianco. E a tratti appoggia su quel fazzoletto anche il proprio viso, accanto al microfono. E alla fine s’allontana ciabattando rumorosamente con gli scarponi ma dopo aver lasciato in terra due minuscole scarpette.
In breve, «MA» consta, insieme, della rappresentazione come un viaggio dell’anima e dell’argomento come un’offerta votiva (il dono di sé, dell’intero sé, alla madre con la quale, ripeto, Pasolini s’identificò totalmente). Tanto che, e davvero non a caso, il titolo allude sia all’espressione del dubbio sia alla prima sillaba della parola mamma pronunciata dal bambino che richiamano le scarpette citate.

Candida Nieri in un'altra scena (foto di Brunella Giolivo)

Candida Nieri in un’altra scena (foto di Brunella Giolivo)

Splendida, e assolutamente memorabile, è poi la prova di Candida Nieri. Trasforma il corpo in un perfetto «doppio» dell’inesorabile discesa verso il basso che mette in campo la drammaturgia della Dalisi: a ripercorrere il cammino umano di quel figlio da Pasolini, il raffinato intellettuale profetico, a Pier Paolo, la misera carne sanguinolenta abbandonata in una periferia del silenzio. E come dire, per esempio, di quando Candida, scivolando lentissima giù dallo sgabello, assimila alla morte di un cigno la caduta di Pasolini sotto i colpi di chi lo uccise?
C’è da aggiungere un’ultima considerazione. Lo spettacolo, in pratica, è stato costruito al Nest, il teatro aperto e gestito da un gruppo di giovani coraggiosi ed entusiasti nel cuore di San Giovanni a Teduccio. Possiamo, forse, sperare in un riavvicinamento di Latella a Napoli, dopo la disavventura che ha subìto al Nuovo.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 11 agosto 2015)

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