Relazioni pericolose con scambi di sesso

Imma Villa e Paolo Coletta in una scena di «Quartett»

Imma Villa e Paolo Coletta in una scena di «Quartett»

«Il mio principale interesse nello scrivere per il teatro viene da un impulso alla distruzione». Così Heiner Müller riassunse la sua poetica. E dopo aver aggiunto che per questo tentò «di distruggere Amleto» e cercò di eliminare «l’intero complesso storico», concluse precisando: «Credo che il mio impulso più forte sia quello di ridurre le cose al loro scheletro, spogliarle della loro superficie, della carne. Dopodiché si è a posto».
Ebbene, il procedimento adottato da Müller per raggiungere un tale scopo consiste nel ricorso a una forma e a un linguaggio raffinati e pregnanti come, nell’ambito del teatro della Ddr, seppero essere solo quelli di Hacks. Müller, in breve, neutralizza la «superficie» e la «carne» delle cose proprio moltiplicandone fino all’eccesso (ovvero alla metafora iperbolica) la presenza e l’impatto. E di una simile strategia, inutile dire quanto sottile, costituisce un’applicazione lampante «Quartett», il testo che Carlo Cerciello ripropone all’Elicantropo quattordici anni dopo un suo primo allestimento.
Infatti, qui abbiamo l’assunzione programmatica e dichiarata della maschera, che è, per l’appunto, la quintessenza della forma e del linguaggio in quanto strumenti per nascondere o travisare la realtà: non solo si tratta di una riscrittura de «Le relazioni pericolose» di Laclos, ma vi accade che dei due protagonisti il visconte di Valmont assuma la parte di Madame de Tourvel, da lui corteggiata, e la marchesa di Merteuil quella dello stesso Valmont. E non a caso, le parole-chiave del testo sono, giusto, «maschera», «trucco» e «recitazione».
Rispetto a tutto questo, lo spettacolo di Cerciello ha un andamento ondivago. Ottima, poniamo, è l’idea di trasformare gli spettatori in «voyeurs» disposti intorno a una struttura centrale che, ruotando, cambia continuamente la loro prospettiva; ed altrettanto efficace appare la sequenza in cui la marchesa va a sedersi fra quei «voyeurs» guardando a sua volta un «assolo» di Valmont con il classico binocolo da teatro. Ma perché, poi, piazzare in testa alla Merteuil un cappello a cilindro quando fa Valmont e in testa a Valmont un velo quando fa la Tourvel?
Così si scade sul terreno di una mimesi realistica che vira verso il comico. E ondivaga è pure la prova dei due interpreti, Paolo Coletta e Imma Villa. Sono davvero molto bravi, però dovrebbero riferirsi con decisione e costanza maggiori al passo-epigrafe: «Che? Recitiamo ancora!» – «Recitare? Che altro si può fare?». Insomma, la loro recitazione dovrebbero esibirla, non compiacersene.

                                                                                                                                     Enrico Fiore

(«Il Mattino», 28 gennaio 2014)

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