L’antieroe disoccupato della porta accanto

Maurizio Casagrande e Tosca d'Aquino in una scena de «Il prigioniero della seconda strada»

Maurizio Casagrande e Tosca d’Aquino in una scena de «Il prigioniero della seconda strada»

Finalmente. Finalmente una traduzione e un adattamento che, mentre dal testo originale espungono i risvolti narrativi o metaforici ormai palesemente datati, non ne cancellano i contenuti profondi e ancora oggi significanti.
Parliamo dell’allestimento de «Il prigioniero della seconda strada» di Neil Simon in scena al Diana, con la regia di Giovanni Anfuso, per la traduzione e l’adattamento di Maria Teresa Petruzzi. E accenno preliminarmente al plot. Mel Edison è il classico «colletto bianco» newyorkese, con un impiego discreto, l’appartamento in affitto al quattordicesimo piano di uno stabile decoroso e la solita moglie affettuosa e un po’ bambina. Ma quando al guasto del condizionatore, all’immondizia che si accumula sul marciapiede e al chiasso dei vicini s’aggiunge l’improvviso licenziamento, ecco che Mel precipita in un altrettanto classico esaurimento nervoso.
Ora, è piuttosto evidente che la commedia, datata 1971 e la più inquietante di Simon, costituisce, appunto, una metafora dello smarrimento che attanagliò gli Stati Uniti dopo il disastro del Vietnam e il fallimento della spedizione in Iran accoppiati al crollo dei miti della società opulenta e al primo annunciarsi del problema ecologico. Ma, come dicevo, nella circostanza si prescinde da tali connotati specifici per trasformare Mel Edison in un tipico «antieroe» della nostra porta accanto, piuttosto propenso a vestire di toni farseschi le proprie nevrosi e i sogni di vendetta che gl’ispira la perdita del lavoro.
Infatti, l’accorta regia di Anfuso, in simbiosi con l’impianto scenografico disegnato da Alessandro Chiti, punta soprattutto su eclatanti e deflagranti effetti visivi: come, poniamo, i grattacieli che invadono il «bunker» di Mel fino a tappezzarne le pareti, i vestiti rubatigli che s’involano verso la graticcia e la gigantesca pala che al termine scende dall’alto a simboleggiare, giusto, il sogno di seppellire sotto la neve il vicino dispettoso. Siamo, insomma, allo stesso tipo di espressività dei fumetti.
Infine, benedice questo spettacolo, non comune anche perché è divertente senza sbracare, l’ottima interpretazione sia dei due protagonisti – Maurizio Casagrande (Mel) e Tosca d’Aquino (Edna, la moglie di Mel) – sia dei comprimari Adriano Giraldi, Barbara Folchitto, Paola Bonesi e Marzia Postogna (il fratello Harry e le sorelle di Mel, Jessie, Pearl e Pauline). In definitiva, un salto al Diana vale proprio la pena di farlo.

                                                                                                                                    Enrico Fiore

(«Il Mattino», 14 febbraio 2014)

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