Un’Antigone che è il «doppio» di Creonte

Monica Piseddu in un momento di «Antigone», in scena nel Fabbricone di Prato (le foto dello spettacolo che illustrano questo articolo sono di Duccio Burberi)

Monica Piseddu in un momento di «Antigone», in scena nel Fabbricone di Prato
(le foto dello spettacolo che illustrano questo articolo sono di Duccio Burberi)

PRATO – Mentre nel Fabbricone vedevo l’«Antigone» di Sofocle, mi è subito tornata in mente l’«Antigone» di Jean Anouilh. In cui, poco prima di essere murata viva, Antigone dice alla guardia: «Je ne sais plus pourquoi je meurs (Io non so più perché muoio)».
Infatti, l’allestimento della tragedia sofoclea in questione, prodotto dal Teatro Metastasio e firmato da Massimiliano Civica (suoi la traduzione e l’adattamento del testo originale, oltre che la regia), risulta strenuamente fondato sulla problematicità. E dunque costituisce un attacco a fondo, e tanto impietoso quanto lucido, contro tutte le ormai proverbiali (e perciò miopi e sterili) letture che fanno di Antigone e Creonte i simboli contrari della libertà individuale e del potere tirannico.
Civica, al posto delle famigerate note di regia, che in genere servono solo a dare sfogo a narcisismi e imbonimenti, propone un vero e proprio piccolo saggio, insieme affascinante e rigoroso. E il suo passo-chiave mi sembra che sia il seguente: «Sofocle non scriveva per uomini che sarebbero venuti più di duemila anni dopo, non intendeva elaborare una metafisica universale dei rapporti dialettici tra princìpi opposti: era un uomo del suo tempo che scriveva per gli uomini del suo tempo».
A parte l’implicita e sacrosanta allusione ai troppi teatranti che insistono a spacciare per attuale tutto quello che portano in scena (dal dramma satiresco alle prediche di Giovacchino Forzano, senza dimenticare i misteri medievali), il passo citato sottolinea come meglio non si sarebbe potuto l’assunto centrale, e oltremodo condivisibile, di questo spettacolo: lo scontro fra Antigone e Creonte non è di natura religiosa, morale o ideologica, ma va inquadrato nel conflitto che, durante l’età di Pericle, si determinò ad Atene fra l’aristocrazia e la democrazia.

Massimiliano Civica

Massimiliano Civica

In breve, Massimiliano Civica – confermandosi, quindi, fra i pochissimi registi di oggi veramente intelligenti e colti – accoglie ed applica la lezione imprescindibile della critica storica: un testo del passato va interpretato non sulla base del significato che le parole di cui si compone hanno nel presente, ma sulla base di quello che avevano al tempo in cui furono scritte. Io faccio spesso, al riguardo, l’esempio del Canto V dell’Inferno. Il passo «[…] Francesca, i tuoi martìri / a lagrimar mi fanno tristo e pio» significa esattamente il contrario della commozione comunemente attribuita a Dante, perché il testo teorico di riferimento era per Dante la «Summa theologiae» di Tommaso d’Aquino: e nella «Summa theologiae» di Tommaso d’Aquino i termini «tristitia» e «pietas» indicano, rispettivamente, l’orrore che il cristiano prova di fronte al peccato e il terrore che induce in lui la certezza della punizione divina.
Tornando adesso a Sofocle, badiamo a quel che a un certo punto Antigone dice a Creonte: «Non uno schiavo è morto, ma un fratello». Antigone dice, in pratica: del tuo divieto non mi sarebbe importato nulla, se avesse riguardato uno schiavo; ma ho dovuto trasgredirlo perché riguardava Polinice, cioè un membro del mio stesso ghenos, della mia famiglia, e dunque pretendeva di negare uno dei privilegi fondamentali di questa, appunto il diritto alla sepoltura.
Dal canto suo, Creonte ha emesso il divieto di seppellire Polinice non in ossequio, come afferma, alle leggi dello Stato e all’interesse dei cittadini che quelle tutelano, ma proprio perché teme i pericoli che potrebbero venire alla democrazia se si lasciasse troppo spazio alle grandi famiglie aristocratiche. E la colpa che li accomuna, lui e Antigone, è poi, in fondo, una questione di hybris, nel senso tutto umano dell’insolenza e della tracotanza.
In definitiva, allora, Antigone è un «doppio» di Creonte, e viceversa. E di questo diede già conto uno specialista della statura di Raffaele Cantarella, quando, nel Meridiano Mondadori dedicato nel 1977 ai «Tragici greci», scrisse che il conflitto di Creonte con Antigone è «tanto più violento e insanabile quanto più i due si somigliano, sostanzialmente, nella fedeltà assoluta a quello che ciascuno ritiene il proprio dovere».
Il merito della traduzione e dell’adattamento di Civica sta nel portare ancora più avanti, e nel chiarificare, l’intuizione di Cantarella. Emone (cito, appunto, la traduzione di Cantarella) obietta a Creonte: «[…] non portare in te soltanto questa idea, che è giusto quello che dici tu, e nient’altro; coloro che pensano di essere saggi essi soltanto, o di avere lingua e mente quale nessun altro, quando li apri, si vede che sono vuoti. Invece per un uomo, anche se sia saggio, non è affatto disonorevole l’apprender molto, e il non ostinarsi troppo»; e Civica gli mette in bocca quest’ulteriore precisazione: «Sei una persona intelligente, tutti lo sanno. Non devi vergognarti di cambiare opinione: c’è sempre da imparare. Solo gli stupidi sono ostinati».

Monica Piseddu e Marcello Sambati in un altro momento dello spettacolo, diretto da Massimiliano Civica

Monica Piseddu e Marcello Sambati in un altro momento dello spettacolo, diretto da Massimiliano Civica

Allo stesso modo, se nel testo originale (cito sempre la traduzione di Cantarella) Ismene conclude l’invito alla prudenza rivolto ad Antigone con le parole: «[…] non ha alcun senno, il fare cose troppo grandi», Civica traduce: «Non ha senso voler essere eccezionali»; e se il Corifeo dice ad Antigone: «Te il nativo impulso ha perduto», Civica traduce: «Ti ha rovinato il tuo carattere: non ascolti nessuno. Tu sei l’unica legge che rispetti». E infine, qui lo stesso Corifeo chiude la tragedia ingiungendo – al Creonte che invoca la morte – di abbandonare una buona volta il trono delle personali certezze assolute e di scendere sul terreno del confronto con la collettività: «Dopo morirai. Quando sarà. Ora devi occuparti di noi. È compito tuo. Adesso puoi governare. Adesso devi governare».
In altri termini, Civica mette l’accento su quello che è il messaggio complessivo trasmesso dall’«Antigone» di Sofocle: il messaggio che riguarda la fragilità immedicabile dell’uomo, tale che di volta in volta può assumere, come abbiamo visto, il volto dell’ambivalenza o la maschera dell’ambiguità. Lo spiega chiaramente il Coro, di cui cito le parole ancora nella traduzione di Cantarella. Dopo aver constatato: «Molte sono le cose mirabili, ma nessuna / è più mirabile dell’uomo», aggiunge: «Possedendo, di là da ogni speranza, / l’inventiva dell’arte, che è saggezza, / talora verso il male, talora verso il bene muove».
Torniamo, dunque, alla problematicità che ho riscontrato all’inizio. Del resto, non dobbiamo dimenticare che Antigone è figlia di Edipo. A proposito del quale giova ricordare l’acutissima e decisiva analisi di Jean-Pierre Vernant: «In Sofocle, sovrumano e subumano si riuniscono e si confondono nello stesso personaggio. E poiché questo personaggio è il modello dell’uomo, scompare ogni limite che permetterebbe di definire la vita umana, di fissare senza equivoco il suo statuto. Quando, alla maniera di Edipo, l’uomo vuole condurre fino in fondo l’inchiesta su ciò che è, si scopre enigmatico, senza consistenza né ambito che gli sia proprio, senza appiglio fisso, senza essenza definita, oscillante fra l’uguale a Dio e l’uguale a nulla. La sua vera grandezza consiste proprio in ciò che esprime la sua natura d’enigma: l’interrogazione».
Ebbene, a tutto questo la messinscena è assolutamente fedele. Lo spettacolo – calato nella fredda evidenza di un teorema – adotta le forme e i ritmi di un vero e proprio dibattito processuale: con i personaggi che, seduti dall’inizio alla fine su una panca in fondo alla scena, di volta in volta vengono al proscenio proprio come i testimoni chiamati alla sbarra. E capita, poi, che alcuni di loro girino intorno al cadavere di Polinice, a significare visivamente il rapporto delle rispettive testimonianze con il «corpo del reato».
Ma, prima che tali testimonianze prendano a succedersi, in un momento di buio totale sentiamo un coro di ruggiti e grugniti, che significa, stavolta sonoramente, una regressione all’animalità volta a costituire l’annuncio eclatante di uno spettacolo che, lo si sarà capito, agisce contro ogni ipotesi di rappresentazione. Mentre – a rendere, simbolicamente, il rimescolamento delle carte rispetto all’interpretazione tradizionale e tradizionalista del testo di Sofocle – i costumi di Daniela Salernitano trasformano Creonte ed Emone in partigiani con tanto di stella rossa sul petto, Antigone e Ismene in principesse dei Savoia e la guardia in un buzzurro che si esprime in uno smaccato dialetto romanesco, senza contare l’attribuzione a Polinice della divisa nazifascista.
Non a caso, d’altronde, l’unico che vesta in maniera neutra, con un frac, è il Corifeo: perché gli tocca il compito che, per l’appunto nel dibattito processuale, svolge il pubblico ministero, colui che deve guidare il cammino verso una possibile (e comunque mai certa) verità condivisa. E dunque, non è un caso nemmeno che ad interpretare quel personaggio sia stato chiamato Marcello Sambati, uno dei protagonisti della stagione gloriosa del teatro di ricerca.
Lo fa in modo impareggiabile, dando luogo a una delle più rilevanti prove attorali degli ultimi anni. Ma sicuramente all’altezza sono anche gli altri: Oscar De Summa (Creonte), Monica Demuru (Ismene, Tiresia, Euridice), Monica Piseddu (Antigone) e Francesco Rotelli (la guardia, Emone). Infine, l’invenzione estrema, che davvero costituisce la sigla di questo spettacolo sapiente ed importante insieme: dopo che il Corifeo gli ha detto: «Adesso puoi governare. Adesso devi governare», Creonte leva in alto l’indice della mano destra, nel classico atteggiamento dell’uomo politico che sta per pronunciare un discorso, ma non riesce ad articolare nemmeno una parola. Dalla bocca gli escono solo confusi e incomprensibili balbettii.

                                                                                                                                          Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *