Il coro dei sovranisti fra la Merkel e i pigmei

Da sinistra, Teresa Timpano, Saverio Tavano, Filippo Gessi e Stefania Ugomari di Blas in un momento di «Noi non siamo barbari!» di Philipp Löhle (la foto è di Angelo Maggio)

Da sinistra, Teresa Timpano, Saverio Tavano, Filippo Gessi e Stefania Ugomari di Blas
in un momento di «Noi non siamo barbari!» di Philipp Löhle
(la foto è di Angelo Maggio)

CASTROVILLARI – «Noi tuteliamo i valori / d’una consolidata tradizione. / Proteggiamo il lumino della nostra democrazia / verso l’esterno. / Gli abissi dentro di noi sono profondi / d’una sinistra profondità. / Sinistri e / conservatori».
È quanto a un certo punto dichiara il Coro Patriottico protagonista di «Noi non siamo barbari!», la commedia di Philipp Löhle che, tradotta da Umberto Gandini, la compagnia calabrese Scena Nuda ha presentato in «prima» nazionale nell’ambito della XX edizione del festival «Primavera dei Teatri». E si tratta di un proclama che mette perfettamente a fuoco, e con icastica pregnanza, lo scopo che si prefigge il testo dell’autore tedesco: attaccare a fondo, sul filo di un sarcasmo tanto impietoso quanto lucido, la mentalità che in Europa oggi si definisce sovranista.
Del resto, davvero non è casuale l’epigrafe adottata da Löhle: quella che accoppia una frase di Angela Merkel («Noi siamo come siamo e gli altri sono come sono») e un proverbio dei pigmei («Si può pensare solo nei limiti di ciò che si vede»). Qui, infatti, si parte dalla contrapposizione fra noi e gli altri per arrivare a chiudersi nel comodo rifugio dell’evidenza superficiale. Ma il pregio della commedia è che – come annuncia l’ossimoro contenuto nella citata dichiarazione del Coro Patriottico, ossia la compresenza del lumino della democrazia e degli abissi interiori, profondi, sinistri e conservatori – il suo plot non s’acquieta in un percorso lineare e prevedibile, ma procede nel solco di uno spiazzamento e di un ribaltamento di senso continui.
Basterebbe considerare, in proposito, il dialogo iniziale fra Barbara e Mario, la coppia benestante che sta festeggiando il compleanno di lei. Quando dall’appartamento accanto, in cui sono arrivati da poco Linda e Paul, provengono gemiti ovattati e languidi, Barbara dice a Mario: «Tu lo faresti? Appena entrato nella nuova casa, metterti subito a scopare. La stessa sera del trasloco?». E Mario replica, come in un eco e senza soluzione di continuità: «In un appartamento il cui precedente inquilino si è cacciato una pallottola in testa? No, grazie».
Eccolo, in termini simbolici, uno degli abissi profondi e sinistri che si celano, senza che loro se ne rendano conto, sotto i piedi (ovvero le tronfie certezze) dei sovranisti. E in breve, risaltano, in «Noi non siamo barbari!», l’acume e l’abilità con cui Löhle introduce all’improvviso, in una determinata situazione, lo scarto straniante di un elemento assolutamente estraneo al contesto sin lì delineato.
Ovviamente, l’acme di un simile procedimento si verifica quando alla porta di Barbara e Mario viene a bussare un profugo clandestino nero. Non si sa da dove arrivi, se dall’Africa, dall’Asia o dall’Australia, né come si chiami, se Bobo o Klint. Ma sta di fatto che Barbara decide di accoglierlo. E quella decisione scatena un acceso dibattito fra lei e Linda. Linda dice: «Non è mica l’unico cui le cose vanno storte. Che dovrei fare? Riempirmi la casa di tutti quelli che scappano da dove ci sono dei problemi o che cosa? Devo sentirmi responsabile io di tutte le miserie del mondo? Solo perché io sto bene?». E Barbara ribatte: «[…] forse non ha mai avuto in vita sua tutta la fortuna che hai avuto tu, che ho avuto io, che abbiamo avuto tutti noi, e […] forse è contento che una volta tanto gli capiti qualcosa di bello. Di positivo. Di buono. Che qualcuno si occupi di lui. Senza secondi fini. Senza volerlo sfruttare. Forse glielo dobbiamo perfino».

Philipp Löhle

Philipp Löhle

Linda finirà per convincersi, e per accettare Bobo o Klint che sia. Ma ecco, in rapida successione, altri scarti. Barbara e il profugo clandestino diventano amanti. E allorché Barbara viene ammazzata e ritrovata sepolta in un bosco e del delitto viene, naturalmente, accusato Bobo/Klint, subito tornano a calmarsi, le acque dello stagno in cui sguazzano i difensori della «consolidata tradizione». Il Coro Patriottico ingloba Linda, Mario e Paul, e fagocita persino Anna, la sorella di Barbara che s’era schierata con l’accusato. E finisce a cantare, quel Coro: «Noi. / Il popolo / il popolo perfetto / stiamo qui. / Noi / l’abbiamo capito. / Noi / siamo diversi dagli altri. / Noi / siamo più avanti degli altri. / Noi / siamo invidiati dagli altri. / […] Tutti vogliono avere ciò che noi abbiamo. / Noi / non dobbiamo alimentare speranze. / Noi / non dobbiamo illudere. / Noi / dobbiamo proteggerci. / Noi / dobbiamo difenderci. / Noi / dobbiamo preservarci».
Sì, è un implacabile atto d’accusa contro l’astenia morale e la pigrizia mentale, questa commedia amara di Löhle. Ma, per venire al suo allestimento da parte della compagnia Scena Nuda, debbo subito aggungere che avrebbe avuto bisogno d’interpreti adeguati. Quelli che agiscono nella circostanza (Filippo Gessi, Saverio Tavano, Teresa Timpano e Stefania Ugomari di Blas) non sono assolutamente all’altezza del compito. Né lo è, si capisce, il regista Andrea Collavino. Staticità e anemia espressiva concorrono a fare di questo spettacolo un insopportabile fastello di noia. Va bene l’intento di «Primavera dei Teatri» di offrire ai giovani teatranti locali l’opportunità di misurarsi con testi d’impegno, a patto, però, che quei giovani partano da una base di capacità e conoscenza sufficienti.
Qui, a quanto pare, si parte solo dalla presunzione. E infatti sono costretto a rilevare che, fra gl’interpreti di «Noi non siamo barbari!», figura quel Saverio Tavano che, nell’edizione di «Primavera dei Teatri» dell’anno scorso, in veste di regista apportò modifiche sostanziali a «Extremophile», un testo della rumena Alexandra Badea, senza il consenso dell’autrice, che peraltro aveva seguito di persona, sul posto, tutta la fase di preparazione dello spettacolo ed era presente alla «prima». Le proteste della Badea costrinsero «Primavera dei Teatri» ad emettere di corsa, addirittura nel corso della notte, un comunicato che condannava senza mezzi termini il comportamento di Tavano. Proprio del Tavano che adesso «Primavera dei Teatri» ha disinvoltamente ospitato di nuovo.

                                                                                                           Enrico Fiore

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