Sei Personaggi in cerca d’attore

Da sinistra, Ciro Masella, Gianni D'Addario, Giuditta Mingucci e Nicolò Valandro in un momento di «Sei personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello», in scena al Fontana di Milano (le foto che illustrano questo articolo sono di Luca Del Pia)

Da sinistra, Ciro Masella, Gianni D’Addario, Giuditta Mingucci e Nicolò Valandro
in un momento di «Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello», in scena al Fontana di Milano
(le foto che illustrano questo articolo sono di Luca Del Pia)

MILANO – Riporto il commento pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Nel corso della discussione (spesso scaduta a disputa da cortile) circa la direzione dello Stabile di Napoli, i difensori d’ufficio di De Fusco hanno attribuito particolare rilevanza, tra le presunte prove a favore da loro addotte, al suo allestimento di «Sei personaggi in cerca d’autore», vantandone la non meno presunta eccellenza artistica e il successo ottenuto all’estero, in specie a San Pietroburgo. E adesso – poiché, lo ripeto per l’ennesima volta, ogni giudizio di valore implica un termine di paragone – io metto a confronto lo spettacolo di De Fusco con due altri allestimenti di «Sei personaggi in cerca d’autore», a vario titolo emblematici, che mi è capitato di vedere di recente.
Sono ben undici gli allestimenti di «Sei personaggi in cerca d’autore» prodotti negli ultimi due anni, dei quali cinque nella stagione in corso. E va bene che si avvicina il centenario di quel capolavoro. Ma gli undici allestimenti di cui dico parlano della pigrizia mentale e culturale che attanaglia molti teatranti al momento di scegliere che cosa portare in scena. Sicché, a proposito di quegli allestimenti, il criterio di valutazione non può che basarsi sul tasso d’innovazione dagli stessi messo in campo con la lettura odierna del testo eponimo in questione.
Il primo dei due altri allestimenti di «Sei personaggi in cerca d’autore» su cui intendo soffermarmi è quello che nell’ottobre dell’anno scorso ha aperto la stagione di LuganoInScena nel LAC (Lugano Arte e Cultura), il monumentale centro polifunzionale che – coincidenza non poco significativa – ospitava in contemporanea un’altrettanto monumentale mostra di Magritte. Lo spettacolo era firmato dal giovane Emiliano Masala. E ne riassumo qui di seguito i tratti salienti.
L’azione si svolgeva in prevalenza su un «red carpet» che richiamava subito alla mente la passerella di una sfilata di moda: una di quelle passerelle su cui, pensiamoci un attimo, viene ospitato un duello all’ultimo sangue, pur senza un vincitore e uno sconfitto: il duello tra il corpo delle indossatrici (un corpo neutro, osservate lo sguardo assente e fisso delle modelle) e la forma (i vestiti eclatanti che mettono in mostra). E in breve, la striscia di moquette rossa che dominava la scena di Giuseppe Stellato indicava il confine fra l’essere (gli attori che sostavano al di fuori di essa in attesa d’esservi accolti) e l’apparire (i loro colleghi che già vi si muovevano nelle vesti dei personaggi).
Davvero non si sarebbe potuto immaginare un modo più icastico d’inquadrare il problema centrale e decisivo costituito dal testo di Pirandello. E inoltre, uno spazio maggiore veniva riservato al Direttore-Capocomico, che, per gran parte dello spettacolo, gironzolava fra gli spettatori nella sala illuminata e non esitava, più d’una volta, a chiamare «cani» i suoi attori. Insomma, non era tanto il regista, quanto uno qualunque di noi, che siamo investiti dagli stessi dilemmi e, spesso, assistiamo infastiditi all’approssimazione con cui vengono rappresentati.
Ancora più avanti si spinge, poi, l’allestimento di «Sei personaggi in cerca d’autore» che Elsinor presenta al Teatro Fontana di Milano per la regia di Michele Sinisi. A partire dal titolo dato allo spettacolo, «Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello»: che, inglobando l’autore nel titolo della sua opera, trasforma lo stesso Pirandello in un personaggio in cerca d’autore.
Sinisi, dunque, si e ci pone una domanda tanto ovvia quanto determinante: se Pirandello è diventato egli stesso un personaggio in cerca d’autore, chi è, oggi, l’autore di «Sei personaggi in cerca d’autore»? E la risposta non può essere che questa: è ciascuno di noi. Più esattamente, possiamo e dobbiamo essere noi, quell’autore, se vogliamo sottrarre (o, almeno, tentare di sottrarre) il testo eponimo in parola alla museificazione indotta, per l’appunto, dall’infinità dei suoi allestimenti consumistici.

Michele Sinisi e Stefania Medri in un altro momento dello spettacolo, diretto dallo stesso Sinisi

Michele Sinisi e Stefania Medri in un altro momento dello spettacolo, diretto dallo stesso Sinisi

Oggi, in breve, «Sei personaggi in cerca d’autore» somiglia a uno degli «objets trouvés» dei dadaisti. E siccome noi, a nostra volta, siamo dadaisti in sedicesimo, ovvero prigionieri di una dimensione da blog/blob, nello spettacolo in scena al Fontana succede che la prova de «Il giuoco delle parti» prevista dal testo originale di Pirandello è solo un fugacissimo accenno che, subito, cede il passo proprio a quella di «Sei personaggi in cerca d’autore». E altri attori arrivano ogni sera a intromettersi nella prova, fornendo a turno una loro personale interpretazione di questa o quella scena. Così, «Sei personaggi in cerca d’autore» subisce un’ulteriore mutazione, diventando – a moltiplicare fino all’estremo la compresenza della finzione e della realtà – «Sei personaggi in cerca d’attore». E si sommano, in tal modo, intelligenza, inventiva e ironia. Che trovano l’acme nella proiezione sul fondale dell’immagine di Bettino Craxi, ossia del socialista «apparente».
Rispetto a tutto questo, l’allestimento di «Sei personaggi in cerca d’autore» firmato da De Fusco si manifesta come una semplice rappresentazione, e per giunta contraddittoria. Parte bene, perché – spingendo i personaggi pirandelliani a venire sul palcoscenico uscendo da un muro di fondo che svolge la funzione di schermo cinematografico – mette fondatamente l’accento sul fatto che il mezzo espressivo del cinema è costituito dalle immagini, e sono per l’appunto queste – le immagini della realtà, non la realtà – che prendono dimora stabile nella mente dello scrittore durante la creazione. Ma non meno fondati, e proprio in merito a tale (ripeto, persuasiva) invenzione, sono i dubbi che sorgono per quanto riguarda il tipo di recitazione adottato dagli attori in campo, una recitazione di stampo realistico che, come è facile capire, con quella invenzione non collima.
Insomma, l’allestimento di De Fusco è uno spettacolo che lungo la strada si perde, finendo ad essere tanto elegante quanto scolastico. E allora, che cosa si sarebbero aspettati gl’imbonitori in servizio permanente effettivo che non sanno nulla ma in tutto mettono becco? Che nel Bolshoi Drama Teatr-Georgy Tovstonogov di San Pietroburgo (in cui quello spettacolo è stato invitato solo in cambio del fatto che al Mercadante è stato poi invitato il «Romeo&Juliet, or the merciful land» di Luk Perceval, prodotto per l’appunto dal Bolshoi Drama Teatr) gli spettatori cogliessero tutte queste sfumature negative? E che, quindi, non applaudissero?
In ogni caso, e fatte le debite differenze, lasciamoli perdere gli applausi oggi elargiti a questo o quello degli spettacoli teatrali. Oggi si applaude tutto. E al Mercadante, più d’una volta, mi è capitato d’imbattermi in platee (occupate in prevalenza da anziani inconsapevoli reclutati nei paesi più sperduti con abbonamenti a prezzi stracciati) che dormivano per l’intera durata dello spettacolo e poi, al termine, si svegliavano e si spellavano le mani ad applaudire lo spettacolo che non avevano visto. Ripeto, lasciamo perdere.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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