La gatta sul tetto
delle scene che scottano

 

Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni in una scena de «La gatta sul tetto che scotta»

Vittoria Puccini e Vinicio Marchioni in una scena de «La gatta sul tetto che scotta»

Non possono esserci dubbi. Se esiste un regista incostante (che, voglio dire, produce risultati discontinui), quello è Arturo Cirillo. A febbraio ci ha regalato, al Nuovo, un Tennessee Williams («Lo zoo di vetro») eccellente e adesso, dopo nemmeno due mesi, ci ammannisce, al Diana, un Tennessee Williams («La gatta sul tetto che scotta») non poco deludente.
Ma vengo subito al dunque. Il tema centrale (e di più, onnivoro) de «La gatta sul tetto che scotta» – la commedia, giova ricordarlo, debuttò al Morosco Theatre di New York il 24 marzo dell’anno di grazia 1955 – lo enuncia Brick quando dichiara che beve «per vincere il disgusto dell’ipocrisia». E qui, per giunta, l’ipocrisia si fonde continuamente e inesorabilmente con l’ambiguità.
Infatti – se da un lato il resto della famiglia s’ingegna, nel giorno del suo compleanno, a convincere il vecchio papà Pollitt che non è vero che sta per morire di cancro (si mira alla cospicua eredità di una vasta piantagione sul delta del Mississippi) – dall’altro non viene sciolto, in sostanza, l’enigma della chiacchierata amicizia che lo stesso Brick, il quale si rifiuta di andare a letto con la moglie Margaret (la «gatta» del titolo), ebbe col compagno di college e di football Skipper.
Siamo alla differenza tra la vita e, ciò che s’accampa nel testo, lo spiare la vita. E insomma, su questa commedia (vieppiù datata, quindi) si proietta l’ombra dell’omosessualità dell’autore e delle tante finzioni che lui mise in atto per difendersi dal perbenismo della sua epoca.
Ne deriva un coacervo di scene madri, tutte palesemente false ed inventate al solo scopo di distrarre lo spettatore dalla vera posta in gioco. Non a caso, le loro battute-chiave vengono, sempre, platealmente sottolineate: da grida di falchi, rintocchi d’orologio, squilli di telefono, scoppi di fuochi d’artificio, colpi di tuono.
Ebbene, Cirillo esaspera quelle scene fino al punto d’inventarsi parole (lo «scopare insieme» riferito a Brick e Skipper!) che, per le ragioni suddette, nel testo originale non potevano esserci; e d’altra parte gl’interpreti in campo sono – è un eufemismo – piuttosto lontani dalle sfumature tendenziose di Williams. Senza contare che la regia aggancia l’ambientazione (vedi, poniamo, quel verde e quel rosso che fanno tanto «Nighthawks») alla pittura di Edward Hopper: la quale è esattamente l’opposto dell’ipocrisia e dell’ambiguità.
Nei ruoli principali Vinicio Marchioni (Brick), Paolo Musio (papà Pollitt), Franca Penone (Mamma) e Vittoria Puccini (Margaret), al suo esordio in teatro dopo la fiction in televisione.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 11 aprile 2015)

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