Una storiella
su Dostoevskij e dintorni

Fëdor Dostoevskij

Fëdor Dostoevskij

Oggi vi racconto una storiella che, credo, può risultare alquanto istruttiva.
In margine alla mia recensione dello spettacolo «Delitto e castigo», dato all’Elicantropo da giovedì 2 a domenica 5 aprile, mi ha scritto su questo sito, alle ore 13,51 del giorno di Pasqua, un tal Vincenzo de Falco, a me assolutamente sconosciuto se non per aver letto in locandina che gli si deve la «consulenza storica e letteraria» prestata allo spettacolo in questione. E il tal de Falco mi rivolge le accuse seguenti:

1) Non mi sono accorto della sua «quasi ventennale carriera nel campo della scrittura e della regia teatrale, nel corso della quale» – aggiunge de Falco – «ho messo in scena una quarantina di opere».

2) Sarei responsabile di una «grave ed irreparabile (se non prontamente corretta) lesione della professionalità artistica del sig. Celentano, cui», da parte mia, «si attribuisce l’offensiva definizione di “amatoriale” e di “regista per ragazzi”, ignorando (non so se per colpa o per malizia) una carriera trentennale – che ha visto i suoi esordi proprio all’Elicantropo – non fatta certamente di fuffa, come da parte Sua si adombra».

Poi, smettendo i panni di drammaturgo e di regista e indossando la toga tribunalizia, il de Falco – dopo aver dichiarato che la sua «formazione primaria è quella di avvocato» – dichiara: «nel momento in cui la critica abbandona la sua missione e si trasforma in offesa alla dignità personale, tale comportamento concreta un illecito avente rilevanza civile e penale che, se perseguito nonostante la presente diffida, costringerà alla tutela nelle opportune sedi».

Peppe Celentano

Peppe Celentano

Ebbene, non ho mai definito «amatoriale» o «regista per ragazzi» il signor Celentano. Sotto specie di codicilli alla mia recensione di «Delitto e castigo», ho solo scritto, su questo sito, che mi sembrava «amatoriale» quello spettacolo, considerato in sé, e che il signor Celentano si era distinto, in precedenza, «come regista di spettacoli destinati ai ragazzi e comunque di carattere divulgativo, oltre che come direttore di scuole ospitate da vari teatri».
Del resto, è lui stesso che – sul sito ufficiale del Teatro Diana, nella sezione che illustra gli “Spettacoli per le scuole” della stagione 2014/2015 – si esprime in questi termini: «La nostra collaborazione, mia e di Gabriella Cerino (una delle interpreti di “Delitto e castigo”, n.d.r.), con il Teatro Diana per la realizzazione di spettacoli rivolti al vasto pubblico delle platee scolastiche, dura ormai da ben dieci anni. Per noi è motivo di grande soddisfazione aver raggiunto tale traguardo, non solo per i lavori da me scritti e diretti e molto apprezzati da più di trecentomila studenti, ma anche per il contributo che abbiamo dato  alla diffusione di temi sociali così importanti e determinanti per l’accrescimento culturale e la formazione civica di tantissimi giovani. In questi dieci anni ho allestito spettacoli come “Ladri di sogni, Ritrovarsi, Uno di noi, Al di la del muro, La strada dentro di me, Napoli Milionaria, Piacere Garibaldi, Feisbuc un mare di amici, Benvenuti a Terronia, Dream Factor”, in essi ho affrontato  sempre  temi importanti come la legalità, l’amicizia, l’integrazione razziale, il disagio familiare e giovanile. Il nostro Teatro Sociale, così definito da molti docenti, ha sempre interessato molto gli studenti che hanno assistito alle nostre rappresentazioni, oltre che per gli argomenti, anche per il linguaggio usato, assai vicino al mondo dei giovani, spesso infatti essi si sono identificati nei tanti diversi personaggi che hanno popolato i nostri spettacoli».
Infatti, «Ladri di sogni» e «Ritrovarsi» sono stati classificati dall’Agis tra i primi in Italia per ciò che attiene agli spettacoli riservati all’infanzia. E altrettanto lunghe fatiche il signor Celentano ha poi riservato, più d’una volta in collaborazione con il de Falco, a «Il Pozzo e il Pendolo», un minuscolo teatrino specializzato in spettacoli «polizieschi». Il Celentano ne è stato direttore artistico, anche in veste di fondatore della prima «Stabile del Giallo» in Campania.
Per quanto riguarda, invece, la recensione di «Delitto e castigo», ho semplicemente esercitato il mio diritto/dovere di critico, dimostrando – certo, nei limiti dello spazio che avevo a disposizione – perché quello spettacolo risultava, per l’appunto, di livello «amatoriale». E guarda caso, neppure una virgola obietta alla mia analisi l’interlocutore al quale sto rispondendo.
Ma qui, per concludere, hanno «rilevanza» (per carità, soltanto culturale e comportamentale) gli altri codicilli che avevo aggiunto alla recensione dell’adattamento teatrale di «Delitto e castigo» diretto da Celentano:

1) Perché il Diana – che avevo appena pochi giorni fa elogiato, nelle persone di Claudia Mirra e del suo compagno Michele Caputo, per il coraggio e la passione con cui hanno aperto il nuovo spazio teatrale Zona Vomero, inaugurandolo con la serata d’onore dedicata a un attore della statura e del prestigio di Antonio Casagrande – s’è messo a produrre uno spettacolo del genere?

Carlo Cerciello

Carlo Cerciello

2) Perché Carlo Cerciello, paladino da sempre di un teatro di qualità fondato sulla ricerca e sull’impegno civile, ha ospitato nel suo Elicantropo uno spettacolo fondato sul ricalco passivo e approssimativo di una tradizione formale malintesa e del tutto estranea alle pulsioni della contemporaneità?

2) Perché Massimo Masiello, che finora aveva praticato (sia pure con qualche merito) solo il piccolo cabotaggio nel mare chiuso della prosa e della canzone napoletane, improvvisamente e inopinatamente ha ritenuto di avere i muscoli e l’allenamento indispensabili per spingersi al largo in un oceano che si chiama Fëdor Dostoevskij, per giunta mettendosi al timone di quella nave smisurata che ha nome Raskol’nikov?

Massimo Masiello

Massimo Masiello

3) Perché, quando la sera di giovedì 2 aprile mi sono presentato (come al solito senza preavviso) alla «prima» di «Delitto e castigo», ho incontrato nell’Elicantropo un’atmosfera connotata – nei miei confronti – da un misto di sorpresa, paura e fastidio?
Aggiungo solo un commento brevissimo: siamo tutti bravi a denunciare le colpe degli altri a proposito della situazione avvilente in cui versa il teatro in Italia e, in particolare, a Napoli, ma poi trascuriamo, e troppo spesso, d’inverare  quell’indignazione alla luce dei nostri comportamenti, anche minimi, nella quotidianità.
Infine, quella che, con un generosissimo eufemismo, potremmo definire la ciliegina sulla torta. A titolo d’illustrazione dell’adattamento teatrale di «Delitto e castigo» diretto da Celentano, l’addetto stampa dell’Elicantropo, Raimondo Adamo, ha diffuso uno scritto – non si sa da chi partorito – che risultava sostanzialmente copiato dalla voce «Delitto e castigo» del «Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi di tutti i tempi e di tutte le letterature».

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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4 risposte a Una storiella
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  1. Carlo Cerciello scrive:

    Caro Enrico,
    per la stima di vecchia data che ti porto e, soprattutto, per quella di vecchissima data che porto a me stesso, non ho nessuna difficoltà a rispondere alla tua domanda. Ti ringrazio, anzitutto, per avermi definito “paladino da sempre di un teatro di qualità fondato sulla ricerca e sull’impegno civile”, perché vuol dire che mi riconosci quella coerenza, che mi ha costretto a decidere di non lavorare più all’interno di quei luoghi, come il Mercadante e il Napoli Teatro Festival, dove, come tu denunci continuamente, il potere politico fa da padrone assoluto. A tal proposito, per avvalorare la tua affermazione, ti confermo che il sottoscritto, insieme a Lello Serao è portatore di un serio progetto politico per il riassetto del sistema di gestione all’interno del Napoli Teatro Festival e che molte delle proposte contenute nel nostro documento, sono quelle che approvammo nel documento dell’Assemblea sulle Arti della Scena e dello Spettacolo, documento presente sulla bacheca del Comune di Napoli. Te lo dico proprio per rafforzare il senso di ciò che vai denunciando da tempo e che ho letto, anche recentemente, nel tuo ultimo articolo intitolato “Lo spettro di Castel Sant’Elmo”, ma, soprattutto, per ricordarti, visto che in quell’articolo tessevi, giustamente, le lodi di Antonio Latella, che il sottoscritto, insieme a Renato Carpentieri, Raffaele Di Florio e qualcun altro, siamo davvero gli unici ad aver rinunciato a lavorare alla corte di Re Artù & company, così come il sottoscritto non ha mai elemosinato il lavoro ai suoi predecessori. Ho sempre, infatti, lavorato perché mi hanno chiamato per qualcosa che si chiama “valore”, qualcosa che oggi significa ben poco, per carità, quel poco di valore che mi si attribuisce in giro, non di raro anche da parte tua. Ciò detto, e che non fa mai male ricordare a futura generale memoria, in un Paese che di memoria ne ha poca, vengo alla tua domanda. Perché, dunque, ho scelto di ospitare all’Elicantropo, quello che tu giudichi essere “uno spettacolo fondato sul ricalco passivo e approssimativo di una tradizione formale malintesa e del tutto estranea alle pulsioni della contemporaneità”, spettacolo a cui anche il sottoscritto, come sempre fa con tutti, da quando ha aperto il piccolo Elicantropo, non ha risparmiato critiche e suggerimenti, spero costruttive per il futuro dello spettacolo stesso. La risposta è lapalissiana, perché non credo che programmare all’Elicantropo un progetto scenico su “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij, sia così tanto scandaloso e, soprattutto, così tanto compromissorio della mia coerenza politica, né tanto meno artistica, perché se così fosse, nemmeno tu, caro Enrico, avresti dovuto scomodarti, nel dì di Pasqua Santa, a venire all’Elicantropo per recensirlo, non ti pare? Né mi pare che tale scelta renda inverosimile alcunché delle cose che affermo e per le quali mi batto da sempre. E’ curioso che proprio tu, che sei uno dei pochi intelligenti, colti e sensibili critici nostrani, se pure io avessi sbagliato una scelta della mia programmazione, mi metta subito alla stregua di un De Fusco qualsiasi, paragonando le mie scelte alle scelte di uno che è pagato 290mila euro all’anno per spendere i soldi dei contribuenti in programmazioni clientelari pubbliche. Io, caro Enrico, per fare lo spettacolo di Celentano rischio in proprio, non con i soldi degli altri e sai perché, perché se io sbaglio, non solo tu, ma il pubblico mi punisce, invece se sbaglia, come tu stesso affermi che sbaglia, uno come De Fusco, non solo gli affidano il Teatro Nazionale, ma gli danno pure 1.200.000 euro all’anno per divertirsi a giocare a fare il direttore artistico e a comperare il consenso di chiunque, anche dei suoi ex nemici. Non dimenticare che chi viene all’Elicantropo lo fa sulla sua stessa pelle, perché non percepisce che pochi spiccioli e lo fa nella speranza di confrontarsi con la critica, magari con un critico severo come te e con il pubblico, senza rete, senza infingimenti, senza speculazioni. Affermi che io mi sarei spaventato nel vederti a Pasqua, forse volevi dire meravigliato, che è cosa ben diversa da spaventato, Enrico. Non credo che tu vada in un teatro per fare paura a qualcuno, tanto meno al sottoscritto che ti ha sempre stimato. Mi sono meravigliato e te l’ho pure detto, sottolineando che ti eri perso gran parte delle ospitate precedenti, visto che l’ultima volta che eri venuto era stato in occasione de La signora di Testori e tu mi hai risposto che eri venuto perché si trattava di una produzione del Diana. Mi pare tutto molto chiaro, dunque, Enrico. Se il sottoscritto ha sbagliato la programmazione, tu hai sbagliato a venire a recensire quello che ritenevi uno sbaglio. Se, invece tu sei venuto a recensirlo perché ti aspettavi uno spettacolo degno di una tua recensione, puoi ben comprendere che è lo stesso motivo per il quale ho deciso di programmarlo. Spero di averti risposto esaurientemente, ma qualora tu avessi bisogno di ulteriori delucidazioni a riguardo non mancherò di dartele. Ti abbraccio.
    Carlo Cerciello

  2. Enrico Fiore scrive:

    Caro Carlo,
    ritengo che, se si decide di rispondere a un mio commento, si debba rispondere a quel commento nella sua interezza. E innanzitutto lasciando da parte le polemiche (in questo caso contro De Fusco) estranee all’accaduto in esame. Cerco, allora, di risponderti a mia volta in maniera schematica ma, spero, completa.
    1) Non sono venuto all’Elicantropo a vedere “Delitto e castigo” nel “dì di Pasqua Santa”, come tu con qualche ironia scrivi, ma nel giorno della “prima”, il 2 aprile.
    2) Sono venuto a vedere il “Delitto e castigo” allestito da Peppe Celentano perché – apprendendo dal comunicato diffuso dal tuo addetto stampa, Raimondo Adamo, che si trattava di uno spettacolo prodotto dal Diana – mi aspettavo qualcosa di un livello più alto.
    3) Non è “scandaloso”, si capisce, programmare un “progetto scenico” su “Delitto e castigo”, ma è almeno imprudente farlo senza aver prima verificato la consistenza di quel progetto: dunque, il solo che ha sbagliato sei tu, non io che certo non potevo conoscere la caratura di quello spettacolo prima di averlo visto.
    4) Io ho parlato di “un’atmosfera” connotata, nei miei confronti, da un misto di “sorpresa, paura e fastidio”, come di un atteggiamento di chi non si sentisse affatto sicuro dello spettacolo messo in scena e temesse il mio giudizio, che in cuor suo sperava di aver scansato. Quindi, è chiaro che non mi sono riferito a te. O, almeno, non mi sono riferito soltanto a te.
    5) Quando, al termine dello spettacolo (e, quindi, avendone verificato la consistenza), ti ho domandato perché l’avevi messo in programma, tu mi hai risposto che te l’avevano “chiesto”. E non mi dici, adesso, chi te l’aveva “chiesto” e perché hai ritenuto di cedere a quella “richiesta”; così come non mi dici nulla circa la pretesa di affrontare nientemeno che Dostoevskij da parte di persone fino a ieri in tutt’altre faccende affaccendate e circa la diffusione, in merito allo spettacolo di cui parliamo, di un comunicato stampa sostanzialmente copiato senza citare la fonte. Non mi pare che tutto questo c’entri molto con la cultura che ad ogni pie’ sospinto dichiariamo di voler onorare. Né mi pare che con la cultura c’entri, figuriamoci, la minaccia di querelarmi avanzata, quella sì nel “dì di Pasqua Santa”, dal fornitore della “consulenza storica e letteraria” allo spettacolo di Celentano.
    Enrico Fiore

  3. carlo cerciello scrive:

    Caro Enrico,
    ti leggo sempre volentieri quando scrivi recensioni, perché sei un critico di grande valore, uno dei pochissimi in grado di leggere uno spettacolo con competenza e lucidità e te l’ho sempre riconosciuto, anche quando non ero d’accordo con te e non mi sono mai permesso di polemizzare su una tua recensione, perché ritengo che una recensione non sia un trofeo di caccia da portare a casa, né da parte di chi la riceve, né da parte di chi la fa, ritengo, piuttosto, che una recensione sia un confronto, un arricchimento, tanto quando è positiva, tanto quando non lo è, perché mi piace pensare che nessuno faccia teatro per piacere a un critico, ma, piuttosto, per rispondere a un’urgenza interiore molto più complessa del vacuo personale narcisismo. La tua recensione allo spettacolo, infatti, è ineccepibile e ciascuno di noi può discuterla quanto vuole, ma resta ineccepibile e, soprattutto è un tuo assoluto diritto. Il tuo commento, invece, e il tuo contro commento, io non li condivido, Enrico, te lo dico con affetto che è una cosa diversa dalla stima, l’affetto esula dalla logica e può legare due persone al di là del loro mestiere, almeno da parte mia è così. Senza polemiche sterili, dunque, ti rispondo. Ho sbagliato a programmare uno spettacolo e allora? Almeno le conseguenze del mio errore, e mi dispiace ripetermi, sono e restano solo le mie, dunque, con le tue stesse parole ti dico “non mi pare che tutto questo c’entri molto con la cultura”. Quando asserisci tu stesso che “(…)non è “scandaloso”, si capisce, programmare un “progetto scenico” su “Delitto e castigo”, ma è almeno imprudente farlo senza aver prima verificato la consistenza di quel progetto(…)” hai ragione sul primo concetto che esprimi, ma sul secondo no, Enrico, perché si trattava di un’opera prima e tu sai, perfettamente, che quando si accetta la programmazione di un’opera prima, si condivide il rischio, sempre possibile, che quell’opera non funzioni. Del resto, come tu stesso ammetti, non programmavo all’Elicantropo “Arezzo 29”, con tutto il rispetto per un’icona farsesca degli anni 80 e per quella Luisa Conte di cui mi sono nutrito, quando ero ragazzino, quasi ogni settimana. Ho rispettato, anzi, con coerenza, le linee programmatiche che da venti anni seguo per la gestione del mio spazio, quelle linee e quel coraggio che mi hanno consentito, rischiando in proprio, di porre all’attenzione del pubblico artisti che, quando sono arrivati nel mio spazio, erano agli inizi della loro carriera o addirittura dei perfetti sconosciuti, come Babilonia Teatri, Sutta Scupa, Paolo Mazzarelli, Emma Dante, giusto per citarne solo qualcuno. Credi, forse, che non abbia rischiato, con loro? Ricordo della prima assoluta di Fiori d’agave, un testo, poi, premiato di Francesco Silvestri, dove ogni sera era un “forno”. Ho rischiato, l’ho fatto e lo ripeterei. Insisti nel chiedermi chi mi ha chiesto di programmare lo spettacolo di Celentano, come se fosse un segreto e non ti avessi già risposto abbondantemente quella sera stessa all’Elicantropo. Me lo ha chiesto Celentano, chi vuoi che me lo abbia chiesto. Conosco Peppe e Gabriella da quando fecero con me gli attori ne Il contagio, nella sua prima versione del 1999, perché non avrei dovuto dar loro l’opportunità che mi chiedevano? Il mio compito, e quello del piccolo Elicantropo, è proprio quello di dare opportunità di esprimersi, sì certo con le dovute cautele, ma, come ben sai, “chi non risica non rosica” e la nostra stagione teatrale è fatta, solo, di opportunità offerte a rischio e tu questo lo sai benissimo. Sei venuto a vedere due artisti giovanissimi che affrontavano un testo difficile come quello di Testori e cos’era quella se non un’opportunità offerta? Rischiamo insieme, è ovvio, tu come spettatore privilegiato per la tua posizione di sapere e di poter giudicare e io come umile “vetrinista” teatrale sottoposto, non solo al tuo giudizio, ma a quello del pubblico. Tu dici “il solo che ha sbagliato sei tu, non io che certo non potevo conoscere la caratura di quello spettacolo prima di averlo visto”, ma perché tu vai a vedere solo spettacoli di cui conosci la caratura prima di averli visti? Se così fosse e così non è, faresti torto alla tua stessa storia di critico onnivoro del teatro, che ha visto tutti e tutto. Concludo, perciò, con una serena considerazione personale sull’accaduto e cioè che entrambi siamo piuttosto focosi e critici relativamente all’arte che più appassiona le nostre vite, e che, non essendo certamente dei tranquilli fruitori di “fast food” teatrali, é più che legittimo che ci si possa incazzare per uno spettacolo che si ritiene non abbia funzionato, tutto qui e nulla, davvero nulla di più. Con stima e affetto, Carlo Cerciello.

  4. Enrico Fiore scrive:

    Caro Carlo,
    tralascio di rispondere alle tue obiezioni, perché mi sembrano piuttosto speciose e, soprattutto, evasive rispetto alle osservazioni – molto concrete e circostanziate – che ho avanzato io.
    Sai qual è la differenza tra te e me? Che tu vivi “con” il teatro (bene o male non importa), mentre io vivo “per” il teatro (addirittura rimettendoci di tasca mia, non fosse che per il costo dei taxi che prendo per andare a vedere gli spettacoli). E il bello (si fa per dire, naturalmente) è che tanto il teatro quanto il giornalismo appartengono alla mia vita pubblica, che considero assai meno importante della mia vita “segreta”: perché è in quella mia vita “segreta” che ho fatto le cose per cui è valsa la pena di vivere.
    Tu mi dirai che questa precisazione non c’entra nulla con il discorso partito dal “Delitto e castigo” messo in scena dal signor Celentano. E io ti rispondo che invece c’entra moltissimo. Perché – al di là del teatro, molto al di là – contano le ben più rilevanti questioni che attengono, per esempio, alla morale e all’impegno e alla coerenza professionale che da quella discendono. E quindi, la faccio breve e concludo.
    Le faccende che tagliano la testa al toro, e mettono una pesante lastra tombale su questa discussione abbondantemente inutile, sono due: l’aura d’ignoranza che s’è creata intorno allo spettacolo in questione a partire dal comunicato diffuso dal “tuo” addetto stampa e la minaccia di querela che mi ha rivolto il signor Vincenzo de Falco, che ha fornito la “consulenza storica e letteraria” allo spettacolo che “tu” hai ospitato nel “tuo” teatro.
    In breve, si è risposto alla mia recensione – in cui, come sempre, ho riversato una cultura che mi viene riconosciuta ai più alti livelli nazionali (permettimi di ricordare che l’Accademia della Crusca – l’Accademia della Crusca, non l’associazione combattenti e reduci – mi ha tributato a Firenze un pubblico riconoscimento, donandomi a titolo simbolico una copia del suo primo vocabolario della lingua italiana, datato 1612) – non con argomentazioni di carattere tecnico, ma con un’aggressione (peraltro destinata in partenza al fallimento) che niente e nessuno potrà mai giustificare.
    Parafrasando Montale, questo soltanto oggi posso dirti: che quel comunicato stampa e quella minaccia di querela lasciano un segno negativo sulla tua attività culturalmente e civilmente meritoria e sull’Elicantropo che la ospita. C’è da augurarsi che, per l’avvenire, sia tu che io saremo in grado di guardare con più attenzione dove mettiamo i piedi.
    Enrico Fiore

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