«Delitto e castigo»
in chiave
di sceneggiato televisivo

 

Massimo Masiello e Gabriella Cerino in una scena di «Delitto e castigo»

Massimo Masiello e Gabriella Cerino in una scena di «Delitto e castigo»

Fra i romanzi di Dostoevskij, «Delitto e castigo», datato 1866, è certamente quello che vanta il maggior numero di adattamenti: teatrali, musicali, cinematografici e televisivi. Basta ricordare per il teatro le trasposizioni di Baty (1933) e Strehler (1948), per la musica l’opera lirica di Pedrollo (1926), per il cinema i film di Chenal (1935), de Fuentes (1950) e Lampin (1956), per la televisione gli sceneggiati di Enriquez (1954) e Majano (1963).
Eppure, si tratta di un testo interamente e inesorabilmente giocato sull’interiorità mentale e psicologica, e dunque lontanissimo dai cardini espressivi (il corpo degli attori, il suono e l’immagine) delle forme di spettacolo citate. A partire dal fatto che il crimine commesso dal personaggio protagonista Raskol’nikov, l’uccisione di una vecchia usuraia e di sua sorella, ha una doppia valenza: simbolica, perché l’usuraia incarna la malvagità e l’ingiustizia del mondo e della società, e dimostrativa, perché, uccidendo quella vecchia, Raskol’nikov vuol provare a sé stesso e agli altri ch’è capace di porsi al di là e al di sopra della legge morale.
Insomma, questo personaggio costituisce un autentico specchio e un altrettanto indubitabile paradigma della sua epoca: giacché accoglie e mescola (anche contraddittoriamente) le teorie marxiane, il superomismo nietzschiano, il misticismo passivo e messianico connaturato allo spirito russo e, «last but not least», il nichilismo.
Ma, rispetto a tutto questo, l’adattamento di «Delitto e castigo» che Movimenti di Scena e Diana Or.I.S. presentano all’Elicantropo (la regia è di Peppe Celentano) sa soltanto aggrapparsi alla pura superficie narrativa. E lo fa adottando, per l’appunto, gli stilemi e i ritmi del più tipico sceneggiato televisivo, con l’aggiunta, addirittura, di escursioni in uno smaccato Grand Guignol (vedi il sangue che cola dovizioso sulle immagini proiettate del delitto di Raskol’nikov).
Questo senza contare la dimensione da «poliziesco» in cui viene calato, sempre in omaggio alla fiction televisiva, il ben più profondo e complesso e ambiguo rapporto fra lo stesso Raskol’nikov e il magistrato inquirente Porfirij Petrovic. I due personaggi sono affidati a Massimo Masiello e Salvatore Veneruso. Ma mi chiedo: che senso ha fare Albertazzi se non si è Albertazzi? La migliore è Roberta Ventre con i suoi sia pur incongrui intermezzi di danza.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

(«Il Mattino», 4 aprile 2015)

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