Viaggio al termine del circo. Che diventa un supermercato

Una scena di «NO42 El Dorado», il secondo momento della «personale» di Ene-Liis Semper alla Biennale Teatro

Una scena di «NO42 El Dorado», il secondo momento della «personale» di Ene-Liis Semper alla Biennale Teatro

VENEZIA – Lo vediamo appena entrati in sala. Dorme, sdraiato su un letto-catafalco. E sebbene a qualificarlo al di là di ogni possibile dubbio bastino e avanzino il costume che indossa e il proverbiale naso a patata, un cartello appeso sotto il letto-catafalco reca la scritta «CLOWN». Ma lui, quando si sveglia, tira fuori un pennarello e cancella quella scritta. E subito dopo, essendosi chiesto: «Un clown?», si risponde: «Un uomo».
È l’attacco di «NO42 El Dorado: the clowns’ raid of destruction», lo spettacolo di Ene-Liis Semper presentato alle Tese dei Soppalchi come secondo momento della piccola «personale» dedicata all’artista estone nell’ambito della quarantacinquesima edizione del Festival Internazionale del Teatro promosso dalla Biennale. E sembrerebbe annunciare che il tema (o uno dei temi) dell’allestimento consiste nel rifiuto del ruolo coatto. Ma ho scritto «sembrerebbe» perché, poi, proprio i clown (intendo proprio i clown nella loro classificazione ufficiale e nella loro funzione specifica) la fanno da protagonisti assoluti.
Come si sa, i tre tipi canonici di clown sono: l’autoritario clown-parlatore (o Bianco), il «clown de reprise» (incaricato di riempire i vuoti e di rilanciare la rappresentazione) e il clown-Augusto (per definizione «l’uomo che prende gli schiaffi»). E qui compaiono tutti e tre, in piena evidenza. Il clown-parlatore è quello succitato, il «clown de reprise» è una sorta di corte dei miracoli composta da tanti clown che si sobbarcano il peso dello spettacolo nel suo svolgimento e il clown-Augusto è un personaggio non a caso addobbato con un vestituccio da donna e scarpe coi tacchi a spillo.
Ora, la Semper dichiara che il suo allestimento – «prendendo ispirazione dal romanzo “Daimón” dello scrittore argentino Abel Posse, dalla rapacità del conquistatore ribelle Lope de Aguirre e dalla descrizione dell’Amazonas» – «conduce il pubblico in un ruvido viaggio verso il lato più oscuro del desiderio ed esplora i paradossi della condizione umana». E aggiunge, però: «Non sono sicura che si dovrebbe definire spettacolo teatrale – forse si tratta di un rito che celebra gli umani in tutta la loro bassezza, ma lascia spazio per vedere qualcosa di più in loro oltre lo sporco».

Un'altra scena di «NO42 El Dorado» della estone Ene-Liis Semper

Un’altra scena di «NO42 El Dorado» della estone Ene-Liis Semper

Un grande atto di generosità quest’ultima frase, poiché la Semper proclama: «Non credo che l’uomo sia la misura del mondo». E io, in tutta franchezza, a mia volta faccio una fatica immane a credere che l’autrice e regista di «NO42 El Dorado: the clowns’ raid of destruction» sia la stessa persona che ha creato uno spettacolo intelligente e coinvolgente come «NO43 Filth», il primo momento, come abbiamo visto, della sua «personale».
Infatti, ai paroloni di cui sopra corrisponde – per parafrasare il celeberrimo titolo di Céline – soltanto un viaggio al termine del circo. Sulla pista di quest’ultimo, una pedana circolare che gira in continuazione, compaiono dei carrelli da supermercato da cui viene scaricato tutto e il contrario di tutto: dalle bottiglie d’acqua minerale a un mazzo di fiori, dalle viti per montare una Croce ai kalashnikov e ai cuscini che serviranno a simulare una gravidanza. Ed è questo il Paradiso Terrestre (l’«El-Dorado», appunto) da cui vengono cacciati Adamo ed Eva: un Adamo e un’Eva, manco a dirlo, fricchettoni e strafatti.
Mi limito, adesso, solo a quattro esempi di quel che capita in questo circo/supermercato: una sodomizzazione con una grossa carota, una Comunione con una fetta di carota al posto dell’Ostia consacrata, una lunghissima evacuazione di oggetti svariatissimi (dai guantoni per la boxe alle camicette), reiterati tentativi di suicidio con pistole che si rivelano immancabilmente scariche. Che dovremmo fare: scandalizzarci, ridere, riflettere sulla fantasia uccisa dal consumismo?
Lasciamo perdere, va’. Per il resto, unicamente gag a ripetizione, imitazioni andanti delle comiche finali del cinema muto, assoli mimici che, naturalmente, lasciano abbondantissimamente rimpiangere i David Larible e gli Slava Polunin. Mi dispiace, e sarò pure improvvisamente rincretinito, ma non riesco a scorgere metafore di portata universale, nemmeno nell’acqua (oddio, un lavacro purificatore?) che a un certo punto cade su tanto degrado e nella valanga di palline d’oro (oddio, la dittatura del capitalismo?) che al termine sommerge il clown Bianco.
Concludo rilevando che la bravura degl’interpreti (Marika Vaarik, Helena Pruuli, Rea Lest, Rasmus Kaljujärv, Ragnar Uustal, Simeoni Sundja e Jörgen Liik) è, come si sarà capito, inversamente proporzionale alla caratura complessiva dello spettacolo. E insomma, pur in questa torrida estate, mi tornano in mente le «Primavere elleniche» del buon Carducci: «fuggiam le occidue macchiate rive, / dimentichiamo».

                                                                                                                                           Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *