De Fusco, direttore dimezzato
fra i napoletani che «devono vivere»

Luca De Fusco

Luca De Fusco

Il miglior commento alle dimissioni di Luca De Fusco dalla carica di direttore del Napoli Teatro Festival Italia, da lui ricoperta per quattro anni insieme con quella di direttore del Teatro Stabile di Napoli, appena riconosciuto Teatro Nazionale, sta in due documenti inoppugnabili: la lettera di dimissioni dello stesso De Fusco e un’intervista rilasciata a «la Repubblica», e pubblicata oggi, dal regista Antonio Capuano. E comincio da quest’ultima.
Dice in apertura Capuano: «Stiamo assistendo a uno dei periodi più bui, e meschini, in assoluto, delle politiche culturali a Napoli. Non è pessimismo. Basta seguire ciò che avviene nei nostri teatri: posti che dovrebbero custodire, provocare il bello, il profondo, la visione. Basta vedere il caso Mercadante, il minuetto che si sta facendo al San Carlo perché non cambi nulla, o quello che sarà del Napoli Teatro Festival, usato, spolpato, ora svuotato. Qualcuno nei Palazzi è impegnato a cercare il bello, nelle sue più svariate forme? Ma se sono a caccia di accordi e di bottini, di potere e convenienze!».
Poi, quando l’intervistatrice, Conchita Sannino, gli chiede cosa pensi della situazione culturale in città (una domanda, per la verità, alquanto retorica, vista la citata dichiarazione iniziale dell’intervistato), Capuano – che si definisce «un cittadino che vive qui, vede, si incazza» – replica stizzito: «Vuole scherzare? La vogliamo chiamare cultura la roba che state raccontando? Spettacolo di gente che morde e aggredisce, ognuno apre le chele e cerca di colpire e portare via. Gente che fa cose singolari e poi mette le cose in ordine con un concorso o “manifestazioni di interesse”. Questo è il ruolo di Regione e Comune? Periodo buio».

Antonio Capuano

Antonio Capuano

Infine l’affondo più duro: «Lavorai per il Mercadante con Cutaia: era il 2005, preparai un “Finale di partita” in napoletano, visionario, con Totò e Peppino in ologramma. Lo sostituì (Cutaia, n.d.r.) la signora Carlotto, poi De Rosa: niente. Ora vedo che c’è in giro un “Finale di partita” in salsa napoletana fatta da un regista spagnolo. Le cose cambiano, ogni artista deve vivere, ciascuno fatalmente lavora con una squadra di cui si fida: vedi i Moscato che apprezzo, i buoni produttori come Angelo Curti. Ma sono pochi quelli che puoi ricordare. Poi ci sono tanti altri, gente che attaccò De Fusco per come arrivò defenestrando De Rosa, e ha cambiato idea. Tutti devono vivere». E in ultimo: «De Fusco lascia il Napoli Teatro Festival, e quelli che lavoravano con lui di là sono passati di qua al Mercadante, guarda caso, col concorso. Chissà se il Festival vive davvero. Come il Forum delle Culture. Vi chiedo: c’è stata una sola poesia, un solo quadro, un’emozione che vi riporta al Forum pensato da queste istituzioni?».
Inutile aggiungere che sono perfettamente d’accordo con Capuano. E ancora più inutile è aggiungere che le cose che dice adesso Capuano io le vado dicendo da anni, e in totale solitudine. Tutti coloro i quali hanno assunto le cariche in questione – Cutaia, la Carlotto, De Rosa, Renato Quaglia, primo direttore del Napoli Teatro Festival Italia, e De Fusco – al momento dell’assunzione di quelle cariche mi telefonarono o m’invitarono a pranzo per farmi proposte più o meno esplicite di collaborazione. E a tutti io risposi rifiutando tali proposte, in nome della mia onestà e indipendenza morale e professionale. Ma quanti sono, invece, i miei cosiddetti colleghi che le hanno accettate, diventando complici del malaffare o, nella migliore delle ipotesi, dell’approssimazione culturale? E quanti sono i teatranti che un tempo, poniamo, facevano la campagne elettorali per il Partito Comunista e oggi son saltati sul carro di De Fusco, ufficialmente targato Destra?
Tralascio, in ossequio alla proverbiale carità di patria, l’elenco di nomi e circostanze. E vengo al passo conclusivo (e decisivo) della lettera con cui De Fusco si è dimesso dalla carica di direttore del Napoli Teatro Festival Italia. De Fusco, parlando di «una grande sconfitta», si rammarica «di non essere riuscito ad ottenere la fusione di Stabile e Festival, che avrebbe innestato un circolo virtuoso formidabile»; quindi prosegue: «E nella direzione della fusione avevo accettato il doppio incarico e speso mille sforzi e dichiarazioni. In questo senso citavo il Piccolo di Milano, come esempio positivo, e sono stato frainteso, forse per una mia dichiarazione telefonica troppo sbrigativa, da Escobar. Il Piccolo, Teatro d’Europa, riunisce giustamente in una sola istituzione più iniziative. È l’esempio che ho a lungo auspicato. D’altra parte l’Europa è piena di doppie direzioni, ad iniziare da Parigi»; e conclude: «Noi a Napoli siamo stati all’altezza del Nazionale, ma non siamo ancora all’altezza dell’Europa».

Luigi Grispello

Luigi Grispello

Ebbene, è lo stesso De Fusco che toglie fondatezza e credibilità alle sue considerazioni. E lo fa quando parla di «innesto». Secondo il vocabolario della lingua italiana Zingarelli, innestare significa «trasportare una parte gemmifera, staccata da una pianta più pregiata, su di un’altra pianta radicata al suolo, allo scopo che si saldino insieme e quella possa svilupparsi su questa». E quale sarebbe, per De Fusco, la pianta napoletana «radicata al suolo», se la situazione culturale, e teatrale in specie, è nella nostra derelitta città quella contro cui lancia i suoi sacrosanti strali Antonio Capuano?
D’altra parte, certo, siamo d’accordo sul fatto che, per i motivi fin qui esposti, Napoli non è ancora all’altezza dell’Europa. Ma non è stato lo stesso Luca De Fusco a dire, quando lo dirigeva, che il Napoli Teatro Festival Italia era pari, anzi superiore, a quelli di Edimburgo e Avignone? E come fa Luca De Fusco, sempre per i motivi fin qui esposti, a pensare che potesse ripetersi a Napoli il «circolo virtuoso formidabile» che è stato capace d’innescare (era questo il verbo giusto) un’organismo culturale e produttivo come il Piccolo di Milano, fondato e allevato da giganti della statura di Paolo Grassi e Giorgio Strehler?
Concludo, adesso, con una breve riflessione su Luigi Grispello, presidente della Fondazione Campania dei Festival. Quando mesi fa m’invitò a far parte della giuria del premio «Le Maschere del Teatro Italiano», ideato e gestito da De Fusco, io subito rifiutai. E allora, ho tutto il diritto di chiedergli – oggi che Grispello attacca De Fusco, e dichiara che quella lettera di dimissioni avrebbe dovuto scriverla già da tempo – perché mai accettò la carica di presidente della Fondazione Campania dei Festival in costanza della doppia direzione (del Napoli Teatro Festival Italia e del Teatro Stabile di Napoli) incarnata dallo stesso De Fusco.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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