Se un uomo perde il lavoro, trova un superlavoro la sua anima

Serena Balivo in un momento di «Esilio», ancora oggi al Teatro Area Nord di Piscinola

Serena Balivo in un momento di «Esilio», ancora oggi al Teatro Area Nord di Piscinola

NAPOLI – È basato sul paradosso a oltranza «Esilio», il testo di Mariano Dammacco che la Piccola Compagnia Dammacco presenta ancora oggi pomeriggio nel Teatro Area Nord di Piscinola. E il principale dei molti paradossi qui sparati a raffica sta nel fatto che, quando un uomo perde il lavoro, subito ne trova uno (anzi un superlavoro) la sua anima, che lui, proverbialmente, ha «perso» proprio in quanto disoccupato.
Lo annuncia con la sua prima battuta, e rivolgendosi al pubblico, per l’appunto Anima, il personaggio che nell’atto unico in questione affianca Uomo: «Io sono un’anima in pena, / ora sto fuori e canto la mia pena, / ma prima stavo dentro, / dentro l’Uomo protagonista della Storia. / Infatti ti prego di perdonare questo mio aspetto, / ma io non sono fatta per essere veduta». E il «disagio» dichiarato da Anima è presto spiegato: uscita fuori da Uomo, per ciò stesso si trova costretta a diventare i sentimenti che, a sua volta, Uomo si trova costretto a provare.
In breve, l’espediente drammaturgico che consente all’autore di evitare il rischio della retorica è quello di liberare quei sentimenti (Incredulità, Sgomento, Vergogna, Tristezza, Spirito di Reazione, Spossatezza, Ossessione, Ansia, Istinto di Sopravvivenza, Rabbia, Sospetto, Torto, Paura, Paranoia, Speranza, Irrazionale Ottimismo, Lucidità) dalla prigione delle parole sentenziose, trasformandoli in una sorta di escrescenze del «corpo» (il corpo sociale, intendo) del neodisoccupato.
Vedi al riguardo, per esempio, la sequenza incarnata da Vergogna. «[…] ogni mattina si vestiva di tutto punto / e andava in un bar, poi in un altro e un altro ancora / e in tutti quei bar faceva finta di essere in una breve pausa dal lavoro: “Signorina, si sbrighi con quel caffè, / non ho mica tempo da perdere, / devo andare a lavorare, io”».
Sempre a titolo d’esempio, poi, propongo due degli altri paradossi, estremamente vari fra loro, che tramano il testo. Il primo è semplice e quasi scontato: Uomo racconta che, al termine del discorsetto di dieci minuti con cui i suoi dirigenti gli avevano comunicato il licenziamento dicendo d’esservi stati costretti dalle difficoltà che attraversavano, era lui che incoraggiava loro e li consolava: «[…] coraggio! / Ce la farete, vedrete che ce la farete, / non so perché, ma me lo sento che ce la farete»; e il secondo, invece, batte in breccia – pur senza parere – l’ipocrisia del paternalismo corrente: «Certo, il lavoro bisogna inventarselo / e io me l’ero inventato: il lavoro di cercare lavoro».
Dunque, si ride anche, per quanto amaramente, assistendo a «Esilio». Finché quest’interessante spettacolo, centrato con originalità di spunti su uno dei drammi emblematici del nostro tempo, non arriva alla considerazione ultima di Anima, che è una vera e propria presa di posizione politica: «[…] sono una coscienza sfocata e senza stile, / ecco, diciamo che il problema / è che non sono una coscienza di classe».
Certo, non mancano qualche concessione di troppo all’intellettualismo, e talune lungaggini e confusioni. Ma, ripeto, nel complesso l’operazione ha i suoi meriti. E notevole è la prova fornita da Serena Balivo, isolata su una pedana, una specie di zattera alla deriva, nei panni di un Uomo che sembra un disarticolato Charlot ulteriormente straniato dalla voce blesa e dalla erre moscia; mentre le gira intorno, a rendere la stanca filosofia di Anima, lo stesso Dammacco in un non meno straniante abito da sera lungo in lamé.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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