Una favola disneyana con cagna rosa e signora sofisticata

Gaia Aprea in un momento di «Madame Pink», in scena al Mercadante (foto di Giovanni Ambrosio)

Gaia Aprea in un momento di «Madame Pink», in scena al Mercadante (foto di Giovanni Ambrosio)

NAPOLI – «Questa commedia si ispira ai film gialli e ai melodrammi di Hollywood. Madame Pink è un commento sarcastico, ironico sulla società e la cultura americana». Così, in una nota premessa al testo, Alfredo Arias e René de Ceccatty, autori (e il primo anche regista) della pièce che lo Stabile di Napoli presenta al Mercadante. Ma io quel testo me lo son letto attentamente, dalla prima all’ultima parola, e del «sarcasmo» e dell’«ironia» non ho trovato traccia, almeno per quanto riguarda le loro manifestazioni alte e originali.
Si tratta di una classica favola disneyana che, pur volgendosi al noir, approda comunque al non meno classico lieto fine. La Madame del titolo, sofisticata quanto basta, compra in un negozio di animali la cagnetta rosa Roxie. Vuole che di quel colore le tinga la vita, come del resto impone («nomen omen») il suo cognome. Ma Roxie, invece, la vita gliel’avvelena. Le porta via sia il marito Goodman che l’amante «toy boy» Badman, salvo uccidere quest’ultimo quando minaccerà di lasciarla.
Goodman, poi, tornerà all’ovile. Ma lo farà a conclusione di un testo che, per ricorrere a un generoso eufemismo, possiamo tranquillamente definire debole. E qui di seguito ne propongo qualche passo indicativo.

Flo è Roxie (foto di Cesare Accetta)

Flo è Roxie
(foto di Cesare Accetta)

Per ciò che attiene al discorso sugli «States» e alla società che v’impera, ci si offre, per esempio, questa sconvolgente rivelazione: «In America abbiamo l’abitudine di passare dalla felicità sotto vuoto alla strage sanguinolenta organizzata da un cretino dal cervello svuotato dai blockbuster»; e altre «scoperte dell’America» sono: «Il commercio – come tanti mestieri che nuocciono allo spirito – azzera il fascino delle persone»» e «In un paese come il nostro solo il denaro dà ogni potere… incluso quello di calpestare la gente!», con il codicillo «Il denaro serve solo a questo o eventualmente a diventare Presidente degli Stati Uniti».
Ecco, la politica. Nel merito Arias e de Ceccatty si limitano a mescolare qualunquisticamente (e anche quest’avverbio è un eufemismo) Obama, McDonald e Trump. Mentre, per quanto si riferisce al «sarcasmo» e all’«ironia» sulla «cultura americana», non trovano di meglio che buttare lì a casaccio – prescindendo da qualsivoglia analisi o commento e accostandoli, poniamo, a Mickey Mouse, Superman, James Dean e, s’intende, Marilyn Monroe – i nomi di Pollock, Lichtenstein e Warhol.
Infine, un solo esempio circa il tipo di comicità qui elargito. A Roxie che gli ha detto: «Ti posso regalare la mia danza dei sette peli», Badman replica – a beneficio degl’imbecilli senza speranza che non avessero capito la battuta – con la precisazione: «Sei la mia Salomé canina. Spero che non finirai la danza chiedendo la mia testa».

Mauro Gioia è Goodman (foto di Giovanni Ambrosio)

Mauro Gioia è Goodman
(foto di Giovanni Ambrosio)

Le cose migliori dello spettacolo sono i costumi di Marco De Vincenzo e le musiche di Mark Plati e Mauro Gioia, ispirate agli anni Settanta e ben eseguite, dal vivo, da Giuseppe Burgarella alle tastiere, Benjamin Croze alle chitarre, Marco Di Palo al basso e Salvatore Minale alla batteria. Appaiono, però, piuttosto monotone sul piano del ricalco. E monotona è pure la regia di Arias, con quel continuo girare in tondo – sempre seguendo lo stesso schema – fra i due microfoni piazzati a destra e a sinistra del proscenio, il sipario interno istoriato con ossi da cane, le due porte laterali a forma, ancora, di ossi da cane e il divano con la spalliera a forma di labbra che riecheggia quello celeberrimo ideato da Franco Audrito. Un girare in tondo ulteriormente marcato da troppi e troppo ridondanti sottofinali.
In un simile contesto gl’interpreti fanno quello che possono. Sul versante del canto s’impone lo stesso Mauro Gioia (Goodman). Gli altri sono Flo Cangiano (Roxie), Paolo Serra (Regularman, l’ispettore Shake e il dottore Tore) e Gianluca Musiu (Badman). E last but not least, Gaia Aprea fornisce, nel ruolo di Madame Pink, una prova assai convincente per spigliatezza, eleganza e arguzia: questa Madame Pink è, per intenderci, migliore delle sue Atena, Nora Helmer e Lady Macbeth.
Ma non si tratta di una contraddizione o di un paradosso. È che la vita è sempre un ossimoro. Assistendo a «Madame Pink», sono riandato col pensiero alla sera dell’ottobre 2003 in cui vidi al Théâtre National de Nice, realizzato proprio dalla coppia Alfredo Arias-Mauro Gioia, lo splendido «Cabaret Nino Rota». A vederlo mi aveva portato Valeria de’ Liguoro, perché Mauro Gioia le era stato vicino durante una sua terribile malattia che adesso, dopo un intervento chirurgico, sembrava superata.
Era davvero una gran donna, Valeria. Faceva il mestiere d’imprenditrice teatrale con una classe che non apparteneva al mondo del teatro. E dopo il trionfo dello spettacolo e dopo la festa di una cena al ristorante con Arias e la compagnia, io e lei tornammo in albergo a piedi, lungo una Promenade des Anglais a quell’ora di notte deserta. E mi accorsi che Valeria ogni tanto perdeva leggermente l’equilibrio. Non l’aveva lasciata, il mostro che le si era annidato nel cervello.
Ciao, Valeria, dovunque tu sia. E se non sei da nessuna parte, sei comunque viva, adesso, in questo ricordo.

                                                                                                                                            Enrico  Fiore

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2 risposte a Una favola disneyana con cagna rosa e signora sofisticata

  1. Raffaele Mastroianni scrive:

    Leggo sempre con grande attenzione e interesse le sue recensioni, condividendo sovente i suoi pareri.
    In questo caso trovo un eccesso di generosità.
    Esistono spettacoli noiosi, pretestuosi e non riusciti. A mio avviso ci troviamo davanti a uno di questi.
    Dolce e tenero il suo ricordo nizzardo.
    Mauro Gioia ha fatto cose davvero molto belle, come il “Rota” citato da lei e come “Napoli muta” che ho apprezzato al Vascello di Roma. Ma in questo lavoro fa solo tristezza.
    Un teatro selezionato tra i primi d’Italia non credo possa produrre e proporre lavori come questo.
    Raffaele Mastroianni

  2. Enrico Fiore scrive:

    Molti teatranti napoletani – i mediocri o quelli che, pur valenti, l’egocentrismo inguaribile di tutti i teatranti spinge a stupide e sterili rabbie di fronte ai giudizi negativi che ho dato di loro spettacoli – dicono che io sono cattivo. Ma lei, gentile Signor Mastroianni, dimostra che qualche spettatore è assai più cattivo di me. In ogni caso, non credo d’essere stato “generoso” a proposito di “Madame Pink”: ho affermato chiaramente che il testo è debole, che le canzoni ispirate agli anni Settanta sono, insieme con i costumi, le cose migliori dello spettacolo, ma risultano monotone nel ricalco, che monotona risulta pure la regia di Arias e che, infine, appaiono “qualunquistiche” certe sortite “politiche” del copione partorito da Arias e da de Ceccatty. Ed ho aggiunto che gli aggettivi “debole” e “qualunquistico” sono degli eufemismi. Di Mauro Gioia, poi, mi son limitato ad osservare che, rispetto agli altri, s’impone sul piano del canto. E in effetti, l’unica che ho giudicato positivamente è stata Gaia Aprea, anche a dimostrazione del fatto che, contrariamente a quanto certuni e magari lei stessa pensano, non ce l’ho con lei, ma solo con le sue troppe e troppo ravvicinate interpretazioni di tutti i più grandi personaggi della storia del teatro: troppe e troppo ravvicinate interpretazioni che, evidentemente, non le hanno consentito di approfondire quei personaggi come sarebbe stato necessario. Se questo è “un eccesso di generosità”…
    Enrico Fiore

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