La «festa» di Salemme, omaggio «esagerato» a Eduardo

Vincenzo Salemme in una scena di «Una festa esagerata...!» (le foto sono di Federico Riva)

Vincenzo Salemme in una scena di «Una festa esagerata…!» (le foto sono di Federico Riva)

NAPOLI – In questa nuova commedia – «Una festa esagerata…!», che la Diana Or.I.S. presenta nella sala di via Luca Giordano – Vincenzo Salemme propone una vera e propria «summa» del suo teatro: per quanto riguarda i contenuti, si comincia con l’immissione nell’impianto farsesco di un retrogusto amaro e si finisce con l’omaggio reso a Eduardo, al fianco del quale Salemme iniziò da attore; e, per ciò che attiene alle forme e ai ritmi, si ricorre agli espedienti più accorsati del varietà e dell’avanspettacolo nostrani, primi fra tutti lo slittamento di senso e lo scambio o la stroppiatura delle parole.
Di una simile ambivalenza, che non di rado sfocia in un risentito ossimoro, fa fede già l’attacco del plot: in un palazzo di un qualsiasi quartiere di Napoli, al piano di sopra fervono in casa dell’imprenditore edile Gennaro Parascandolo i preparativi, orchestrati da sua moglie Teresa, della festa per i diciott’anni della figlia Mirea e al piano di sotto dilaga in casa Scamardella il dolore della zitella Lucia per la morte improvvisa del padre novantaduenne Giovanni…

Eduardo De Filippo in «Questi fantasmi!»

Eduardo De Filippo in «Questi fantasmi!»

Ma col racconto della trama mi fermo subito, per non togliere agli spettatori il gusto delle continue sorprese che essa riserva. E piuttosto offro un esempio probante di quanto ho anticipato sopra. Giovanni dice della figlia: «Si è fatta vecchia e nessuno la vuole più» e il secondino Antonio crede che stia parlando dell’appartamento, bisognoso di restauro. Il che, se da un lato fa venire in mente il notissimo sketch dei fratelli Giuffré in cui si confondevano una casa da vendere e una ragazza da maritare, dall’altro rimanda, per l’appunto, ai classici interni/inferni eduardiani, a quegli «spaccati» familiari nei quali, lo sappiamo, spesso si mangia pane e veleno.
Dichiarate, del resto, sono le numerose citazioni dai capolavori di Eduardo che tramano il testo. Si va dalla battuta che Lucia rivolge al padre («Ma stai sempre bene? Non hai mai un’influenza, un catarro? […] E mettiti dentro al letto con una bella malattia che ti leva il vizio di parlare, così mi fai stare un poco quieta pure a me»), un evidente ricalco di quella che in «Non ti pago» Concetta scaglia contro Ferdinando Quagliuolo, al dirimpettaio col quale parla Gennaro, altrettanto evidentemente mutuato dal Professor Santanna di «Questi fantasmi!» e che, addirittura, si chiama proprio Eduardo. E il cerchio si chiude perfettamente, se pensiamo che al presepe già portato alla ribalta da Salemme ne «L’amico del cuore» corrisponde quello a cui, in «Una festa esagerata…!», viene paragonato il panorama che si vede dalla terrazza di Parascandolo, con l’aggiunta della voce registrata di Eduardo che adesso chiede a Gennaro ciò che in «Natale in casa Cupiello» chiedeva a Tommasino: «Te piace ‘o Presebbio? Te piace?».

Teresa Del Vecchio è Teresa

Teresa Del Vecchio è Teresa

Questo senza contare l’accenno di Lucia all’«attenzione di lasciare il mezzo portone chiuso», che ovviamente rimanda a «Le voci di dentro», e senza contare, per chiudere con le citazioni, quella della «Livella» di Totò. Mentre, per quanto riguarda i riferimenti all’attualità, basta fare gli esempi degli anatemi lanciati dal cameriere finto indiano Atzoka («Maledetto Jobs Act» e «Maledetto chi ha abolito l’articolo 18») e dell’autentico rap in cui si traduce il dialogo fra Mirea e il fidanzato Alberto, tutto a base delle frasi ridotte a singole parole o a monosillabi che caratterizzano il linguaggio dei giovani d’oggi.
Il resto è affidato, per fare ancora qualche esempio, alle sedie «depilate» invece che impilate e a Teresa che parla della bomboniera («Gennaro, io sono eccitatissima. A proposito, prima che arrivino gli ospiti la vuoi vedere?») mentre il marito capisce che allude a quella sua certa cosa che lui non vede in camera da letto non sa da quanto tempo; ed è affidato, si capisce, soprattutto alla regia infallibile dello stesso Salemme, attentissima nel miscelare gl’ingredienti agrodolci del testo e nel mantenere sempre alto il ritmo dell’azione, nonché all’inconfondibile e impareggiabile cifra espressiva che lo distingue in quanto attore, oscillante con perizia estrema fra l’indolenza e il sarcasmo.

Antonella Cioli è Lucia

Antonella Cioli è Lucia

C’è da aggiungere, inoltre, che qui, nel ruolo di Gennaro Parascandolo, Vincenzo Salemme fornisce una delle migliori prove della sua carriera: strappa risate quasi ininterrotte dall’inizio alla fine e tuttavia, fra l’una e l’altra delle tante irresistibili battute e delle non meno caratteristiche e trascinanti accelerazioni a rotta di collo, infila con lucida determinazione sacrosante pause di riflessione, fatte delle vere e proprie rasoiate con cui aggredisce i mali del «condominio» che tutti ci ospita: a cominciare dall’egoismo e dall’ipocrisia per arrivare alla straripante ignoranza della lingua italiana tristemente venuta d’attualità in questi giorni.
Assai funzionale, s’intende, anche l’apporto degli altri interpreti, a partire da Antonella Cioli (Lucia), Teresa Del Vecchio (Teresa), Antonio Guerriero (il secondino), Nicola Acunzo (il prete Don Pasquale) e Vincenzo Borrino (Atzoka). E insomma, come già ho avuto occasione di osservare, Vincenzo Salemme dimostra qual è l’unico modo di onorare davvero la nostra gloriosa tradizione scenica: si tratta di non restarne prigionieri, in una sterile coazione a ripetere, e invece di reinventarla, utilizzandone gli stilemi e i meccanismi quali strumenti per accendere, sia pure in tono lieve, una non inutile indagine sul presente.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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