Un Amleto rap nella Terra dei Fuochi

Da sinistra, i rappers Gianni De Lisa, Paolo Romano, Vincenzo Musto e Giuseppe Sica in un momento di «Mal'essere» (le foto dello spettacolo sono di Pino Miraglia)

Da sinistra, i rappers Gianni De Lisa, Paolo Romano, Vincenzo Musto e Giuseppe Sica
in un momento di «Mal’essere» (le foto dello spettacolo sono di Pino Miraglia)

NAPOLI – Mentre assistevo a «Mal’essere» – lo spettacolo di Davide Iodice (sue l’ideazione, la drammaturgia e la regia) che lo Stabile di Napoli presenta al San Ferdinando – m’è tornato in mente quanto scrissi, nell’introduzione alla «Quadrilogia di Santarcangelo» di Enzo Moscato pubblicata dalla Ubulibri, circa il primo di quei testi, «Mal-d’-Hamlé».
Osservai, fra l’altro, che Moscato cancella tutti i luoghi comuni e le analisi filologiche e le interpretazioni sceniche che hanno «mascherato» il volto del celeberrimo personaggio shakespeariano, riconducendo Amleto alla sua natura originaria e profonda di «segno» d’opposizione e di ribellione. E accade, così, che il testo risulta fondato sullo scarto (e sullo scontro) fra la Parola aerea del «sergente» Hamlé e l’innocenza – ma anche la violenza – del mondo, qui simboleggiato da una caserma in cui perennemente s’agitano, fra ozi e improvvise furie, Bernardo, Orazio, Francisco e Marcello ridotti a reclute disperate e arrapate.

Luigi Credendino è Amleto

Luigi Credendino è Amleto

Perfettamente comprensibile, dunque, si rivela l’apparente contraddizione di Hamlé: «Niente cchiù parole. Pas de mots! / No, no, ati, ate! Altre, sempre! / Sempe cchiù parole, voglio! / Words, words, words, a mmuorze, a mmuorze, a mmuorze!».
Ebbene, qualcosa di piuttosto simile si riscontra in «Mal’essere», a parte, ovviamente, l’identità delle prime tre lettere nei titoli di Moscato e di Iodice. Quest’ultimo ha affidato la riscrittura in napoletano dell’«Amleto» a sei rappers: Gianni De Lisa (‘O Yank), Pasquale Fernandez (Sir), Alessandro Caricchia (Joel), Paolo Romano (Sha One), Ciro Perrotta (Op Rot) e Damiano Rossi (Capatosta). E ne deriva la sostituzione della Danimarca con la Terra dei Fuochi («Sta terr chin e munnezz abbruciat»), accompagnata dall’esplodere di sanguigni risentimenti.
Tra questi, e proprio in riferimento all’apparente ossimoro messo in campo da Moscato, basta considerare il seguente. A Orazio, che a proposito della tarantella ballata dal re ha commentato: «è a tradizion?!», Amleto replica: «Una ‘e chelli strunzat antic bon sul p’attirà attenzion, / je so’ nato ccà e ne vaco fiero, è ‘o sang mi sta terr sott ‘e pier, / ma sti cafunate nun c’fann ben, c’ mettn o scuorno nfacc e nun portene niente ‘e buon / pa gent ‘e fore simme puorce e ‘mbrugliune, ‘e vittorie nost nun s’e ricord nisciun, / advintamm barzellett, orgoglio e reputazione fatt a fett».
Fra l’altro, l’aspetto decisivo, e molto interessante, di questa reinvenzione è che – l’avete visto – le parole vengono messe su carta così come si pronunciano, senza la mediazione intellettuale della scrittura in quanto forma: hanno, in breve, la stessa naturalezza e la stessa forza del respiro, sono una propaggine del corpo e, quindi, un’epifania della vita nella sua cruda e, pure, fraterna verità. Ma qui, poi, si determina lo strano connotato di «Mal’essere».

Veronica D'Elia è Ofelia

Veronica D’Elia è Ofelia

Assistiamo a uno spettacolo che ne contiene due: quello, appunto, dei rappers e quello di Iodice, che consiste in un riattraversamento dell’«Amleto» da parte di attori e sulla base – fra reperti della tradizione di cui sopra quali le fasce rosse dei «fujenti» e i numeri della Smorfia – di stilemi tratti, poniamo, dal circo, dalle pratiche del Bread and Puppet e da quello che si chiamò Teatro Immagine. Ed è facile intuire che è questo secondo, dei due citati, l’aspetto meno convincente (o il più scontato) di «Mal’essere». Anche perché gli attori – fra i più «attrezzati» Luigi Credendino (Amleto), Marco Palumbo (il re) e Salvatore Caruso (Rosencrantz e il primo becchino) – assai spesso non lasciano discernere quello che dicono.
Non si capisce, insomma, perché il testo da loro scritto (un testo, ripeto, molto interessante) non sia stato fatto interpretare agli stessi rappers. Questi, in pratica, vengono relegati nel ruolo marginale di coristi o di semplici comparse. Mentre – basta a dimostrarlo il brano «Ofelia è viva» eseguito in chiusura al proscenio – in veste di protagonisti avrebbero certamente trasformato «Mal’essere» in qualcosa di dirompente. Qualcosa di assai più significativo dell’iscrizione della «A» di Amleto in un cerchio, il simbolo dell’Anarchia tirato in ballo, nella circostanza, ingenuamente non meno che ostentatamente.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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