Uno gnomo guastatore alla corte del Re Sole

Paolo Rossi/Molière fra gli attori della sua compagnia in una scena de «La recita di Versailles»

Paolo Rossi/Molière fra gli attori della sua compagnia in una scena de «La recita di Versailles»

NAPOLI – Sappiamo qual è il plot de «L’impromptu de Versailles (L’improvvisazione di Versailles)», l’atto unico di Molière che debuttò, giusto a Versailles, il 14 ottobre del 1663. Appena due ore prima che arrivi il Re Sole, il quale gli ha chiesto la mattina per la sera una nuova commedia, Molière sta ancora provando con la sua compagnia, che si lamenta di avere troppo poco tempo per imparare il testo: un testo, per giunta, particolarmente difficile, giacché consiste in un vero e proprio manifesto di poetica. Molière, infatti, vi si schiera a favore della commedia classica, che volge in caricatura i tipi ma non le persone, e contro la paludata recitazione tragica degli attori concorrenti dell’Hôtel de Bourgogne, guidati da Montfleury.
Il Re, comprensivo, accorda all’«Illustre Théâtre», appunto la compagnia di Molière, il permesso di proseguire le prove finché lo riterrà necessario. Però, al di là del plot, «L’improvvisazione di Versailles» appare interessante soprattutto perché consente di rilevare la differenza fra i tipi di satira con cui nella circostanza si combatterono Molière e Montfleury: all’atteggiamento assai bonario del primo fece riscontro l’attacco velenoso del secondo, un’autentica rappresaglia che si spinse, sappiamo anche questo, fino ad accusare Molière «d’aver sposato la figlia e di avere avuto la madre come amante». In breve, siamo di fronte al duello fra un polemista moderato e un maldicente esagitato.

Paolo Rossi in un'altra scena

Paolo Rossi in un’altra scena

Ma, ovviamente, a Paolo Rossi – autore con Giampiero Solari, su canovaccio di Stefano Massini, e protagonista di «Molière – La recita di Versailles», lo spettacolo che lo Stabile di Bolzano presenta al Bellini per la regia dello stesso Solari – non premono affatto simili questioni storiche e filologiche. E piuttosto sembra evidente che lo gnomo guastatore del teatro italiano consideri «L’impromptu» una sorta di tappa intermedia sulla strada di quella «Comédie des comédiens» che Molière non riuscì a scrivere: sembra, cioè, che Rossi s’identifichi con il Molière che – uscendo dall’inferno di «coloro che ridono» in cui lo confinò Bossuet e, peraltro, gettandosi alle spalle il rigore cartesiano e le massime morali del suo amico La Rochefoucauld – proprio mediante «L’impromptu de Versailles» corre a confondersi con i commedianti (con il loro mestiere) e con se stesso, mestierante fra i mestieranti.
Ecco, allora, che se nel 1663 colui che Boileau chiamò «le Contemplateur» mise in scena quell’atto unico perché nauseato dal contemplare, adesso Paolo Rossi mette in scena «Molière – La recita di Versailles» perché nauseato dal clima stagnante in cui soffochiamo. E così all’autoironia che dispensa in apertura («Oggi recitano tutti, il commercialista, l’avvocato, i politici poi… quelli che recitano peggio siamo noi, gli attori») fa seguire, affidandola proprio a Molière, un’amarissima tirata circa la dittatura che i mediocri esercitano sugli intelligenti. Il succo è che quelli, i mediocri, fottono gli intelligenti alzandosi sempre due ore prima di loro.
Alceste, dunque, confessa una speranza che tutti gli intelligenti sentono come propria: «Esisterà pure un angolo del mondo / dove io possa stare tranquillo, lontano da tutti. / Un luogo nell’oceano, sulle vette altissime, / dove io non incontri anima viva, / dove Alceste non debba parlare, conversare, fare il bravo, / esisterà pure un posto sul pianeta terra / dove io non debba mettermi la museruola, / troverò, prima o poi, una zolla di terra / dove io non debba fingere per recitare, / né recitare per fingere; tanto meno fingere per respirare, / senza avere scelta».

Lucia Vasini è la moglie di Molière

Lucia Vasini è la moglie di Molière

Paolo Rossi, insomma, conferma l’osservazione che feci una volta giusto a proposito de «Il misantropo»: Alceste non odia gli uomini in quanto tali, ma in quanto non più riconoscibili come tali; ed è, perciò, un personaggio attuale proprio perché inattuale, un fratello carnale di quei «Felici Pochi» di morantiana memoria oggi arroccati, per necessità morale (e politica, ovviamente nel senso alto dell’aggettivo), sulle scomode postazioni del dissenso.
Tutto questo, peraltro, illustra come meglio non si potrebbe il gioco su cui si regge lo spettacolo e che, del resto, lo stesso Rossi annuncia nel prologo: «In certi momenti farò Molière, in altri sarò Molière, e in altri momenti sarò Paolo Rossi che recita Molière, e in altri sarò Paolo Rossi che recita Paolo Rossi». E la chiosa che a mo’ di sberleffo straniante arriva subito dopo annuncia a sua volta, e in maniera altrettanto esplicita, in che cosa si tradurrà quel gioco: «In altri momenti sarò nessuno. E comunque, è chiaro, non sarò mai Molière che recita Paolo Rossi».
Quindi, fra un estratto e l’altro dai capolavori molièriani (accanto a «Il misantropo» vengono citati «Tartufo» e «Il malato immaginario»), s’incuneano – tanto per fare solo due esempi – battute quali «Ora tu entri e interrompi… come alla Leopolda» e sequenze tipo quella in cui lo gnomo guastatore, vestito da Papa Orgone II e con in testa il basco nero con la stella rossa del Che, commenta la sua prima enciclica, la «Popolorum unidum amas serà vencidum». Che decide, poniamo, cose del genere: «Matrimoni ai gay concessi… del resto i gay in Italia sono gli unici che vogliono sposarsi» e «Prima che qualsiasi ecclesiastico citi il Vangelo pronunciando il passo “Lasciate che i pargoli vengano a me”, che quel prete per tre mesi sia visionato da una psicoterapeuta laica e transessuale».
Il resto appartiene, si capisce, all’inarrestabile e impagabile verve espressiva del Paolino nazionale. E gli stanno a fianco, con efficacia non minore, i compagni di sempre sostenuti dalle musiche eseguite dal vivo dai Virtuosi del Carso: primi fra tutti Lucia Vasini ed Emanuele Dell’Aquila e poi, via via, Fulvio Falzarano, Mario Sala, Alex Orciari, Stefano Bembi, Bika Blasko, Riccardo Zini, Karoline Comarella e Paolo Grossi. Molte risate e applausi scroscianti.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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