E nella «Dodicesima notte» arriva il vampiro

In senso orario, Emanuele Vito, Sarah Paone, Mario Cangiano e Roberto Serpi ne «La dodicesima notte»  ( le foto sono di Giuseppe Maritati)

In senso orario, Emanuele Vito, Sarah Paone, Mario Cangiano e Roberto Serpi in una scena de «La dodicesima notte» che il Teatro Stabile di Genova presenta al Duse ( le foto che illustrano l’articolo sono di Giuseppe Maritati)

GENOVA – Feste, lo sappiamo, fa il buffone di mestiere. E perciò le parole, che combina in mille giochi non si sa se più divertenti o più amari, costituiscono il suo principale mezzo di sostentamento. Eppure, nella prima scena del terzo atto espone a Viola le seguenti considerazioni: «Così va il mondo attuale! In bocca a una persona sveglia le parole valgono quanto un guanto di capretto. Niente di più facile che ribaltarne il senso!»; «Le parole, da quando le si usa per i contratti, sono diventate delle canaglie»; «Le parole sono diventate così false che mi ripugna usarle per ragionare».
Insomma, tanto basti a dire che la «comicità» dello Shakespeare autore de «La dodicesima notte» va presa davvero con le molle: perché ha uno spessore particolare e si tinge assai spesso, se non sempre, dei raggelanti colori dell’assurdo. Non a caso, del resto, nella trama – poco plausibile sino al punto di risultare un dichiarato pretesto – dilaga il travestimento, a partire dagli equivoci e dallo scompiglio seminati, al loro arrivo nell’immaginario Ducato d’Illiria, dai due gemelli Viola e Sebastiano.
Qui, infatti, il vero tema è la sostanziale, e addirittura ontologica, ambiguità del mondo, dalla quale deriva un’altrettanto strenua instabilità esistenziale. Senza contare che Shakespeare scrisse «The Twelfth Night» – la sua ultima commedia, non dimentichiamolo – negli stessi mesi in cui componeva «Amleto», la prima delle sue tragedie «nere»: e, manco a dirlo, taluni dei personaggi presenti nei due testi hanno qualche carattere in comune.

Viola smarrita in Illiria

Viola smarrita in Illiria

In definitiva, aveva proprio ragione Gabriele Baldini, secondo il quale, dopo «La dodicesima notte», che per lui è il capolavoro del Bardo nel registro della commedia lirica, «Shakespeare non comporrà mai più nulla di così perfetto ma anche, forse, di così intensamente malinconico». E non si sbagliava, Baldini, nemmeno a ritenere che «Malvolio, il cortigiano beffato, è uno dei più irrimediabilmente tristi fra i personaggi comici che siano mai stati concepiti per il teatro». Tanto è vero, aggiungo io, che ancora non a caso Eugenio Montale scelse il nome di Malvolio per il suo interlocutore qualunquista, opportunista e, appunto, ambiguo di «Diario del ’71 e del ’72», al quale disse, giusto, che «… la scienza del cuore / non è ancora nata, ciascuno la inventa come vuole».
Ebbene, mi pare che Marco Sciaccaluga – regista dell’allestimento de «La dodicesima notte» che il Teatro Stabile di Genova presenta al Duse – abbia colto con persuasiva strategia tali implicazioni profonde (e nascoste) del grande (e, per i motivi suddetti, difficilissimo) testo shakespeariano in parola: a partire dal fatto che questo spettacolo, dato adesso nella versione compiuta, discende dall’esercitazione, messa in scena nella stagione 2014-’15, dei dieci giovani attori del Master della scuola di recitazione.
Voglio dire che si tratta di uno spettacolo connotato innanzitutto dalla passione, dall’entusiasmo e dalla freschezza espressiva di questi giovani: uno spettacolo che, quindi, si sviluppa come una festa inesauribile di colori, risate, canti, balli e corse, ciò che, del resto, risulta perfettamente in linea (vedi gl’interpreti che rimangono sempre in vista, seduti sui due lati, anche quando non sono di scena) con la dimensione del teatro nel teatro dichiaratamente messa in campo dal Bardo.

Il duca Orsino con l'iPod

Orsino con l’iPod

Ma occorre, poi, tenere nel debito conto l’efficace polisemanticità (ciò che, invece, rimanda alla dimensione predetta dell’ambiguità e, con essa, della follia) di cui si rivestono i segni disseminati via via da Sciaccaluga. E mi limito, in proposito, a fare solo due esempi.
Il duca Orsino compare indossando le cuffie dell’iPod. E questo, mentre collima con la sua celeberrima battuta («La musica è il cibo dell’amore»), richiama, contemporaneamente, sia lo spazio che occupa la musica nella vita dei giovani d’oggi sia – giusto l’isolamento acustico proprio di chi usa l’iPod e qui, naturalmente, assunto come metafora – la solitudine ch’è il frutto di un distacco dal mondo.
Un simile distacco viene, d’altronde, sottolineato come meglio non si potrebbe dallo smarrimento in cui appare calata la battuta di Viola: «E che ci faccio io in Illiria?». Mentre, e mi riferisco al secondo esempio, il discorso complessivo portato avanti dalla regia si riassume e si esalta nell’aspetto conferito al personaggio di Malvolio.
È un’autentica enciclopedia di gag, smorfie e ammiccamenti gaglioffi al pubblico. Ma, di pari passo, questo Malvolio ostenta una faccia imbiancata e gli occhi cerchiati di rosso: insomma fa venire in mente un vampiro, ossia il non-morto, il «diverso» per eccellenza. E ricorderemo a lungo la sequenza conclusiva: avendo alle spalle, sul palcoscenico, il bacio fra Orsino e il Cesario finalmente rivelatosi come Viola, con la conseguente esplosione di gioia corale, lui, Malvolio, rimane seduto sulla scaletta fra il proscenio e la platea. È in un limbo, né nella rappresentazione né nella vita. Se ne sta lì, solo e stranito, con il collo torto: una maschera tragica senza destino.
Bravissimi, infine, gl’interpreti: soprattutto Roberto Serpi (Malvolio), Mario Cangiano (Sir Toby Belch), Francesco Russo (Sir Andrew Aguecheek), Daniela Duchi (Viola e Cesario) e Sarah Paone (Maria); e poi, via via, Roxana Doran (Olivia), Emanuele Vito (Feste), Marco De Gaudio (Orsino), Michele Maccaroni (Sebastiano e Valentino) e Giovanni Annaloro (Antonio e un altro Capitano). Gran successo, con gli spettatori irresistibilmente trascinati a battere le mani a tempo con il ritmo delle danze e delle canzoni.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *