La favola del nuovo «Rinascimento» di Napoli

Segnalo qui di seguito la parte conclusiva del lucido intervento che Eduardo Cicelyn ha pubblicato oggi sul «Corriere del Mezzogiorno». Non ho niente da aggiungere. Cicelyn dice le stesse cose che io vado dicendo da anni, mentre intorno, fra chiacchiere e premi, impazza l’immemore (e anche un po’ ridicola) festicciola autoreferenziale di quanti trascinano il loro stanchissimo valzer nel vuoto assoluto delle idee (vere) e dei progetti (seri).

                                                                                                                                                            E. F.

Eduardo Cicelyn

Eduardo Cicelyn

«Chi si occupa di fatti culturali a Napoli non può non vedere che la forza che sta modificando alla radice l’immaginario della città è nella connessione tra i linguaggi del sottoproletariato urbano più o meno criminale e la sua messa in scena o narrazione più o meno colta. Si è creato un nuovo folklore. Ed è svanita in questo contesto deformato la rappresentazione edulcorata piccolo borghese o da ceto politico, come si è marginalizzata la funzione di mediazione e di dialogo delle culture d’avanguardia, di cui Martone è stato finora uno dei protagonisti indiscussi. Secondo me, la Napoli di oggi non è solo un disastro politico. È innanzitutto un fallimento culturale che lascia in strada tanta confusione, detriti e reperti fascinosi per frotte di turisti che l’attraversano con una gioia che a me, abitante indigeno, appare insensata e stranamente piacevole. Questa è la verità, se vogliamo essere realisti. Non è detto però che ci si debba adeguare per forza. Il realismo del purchessìa, come diceva un filosofo francese, è solo quello dei soldi. Non c’entra con la politica, non c’entra con la cultura».

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