Dragone, Apelle e il «campanilismo» di Viviani

Franco Dragone

Franco Dragone

NAPOLI – Triste destino, quello di Raffaele Viviani: è stato quasi completamente dimenticato, e per giunta, se pure qualcuno lo evoca, lo fa tirandolo per la giacca, al solo scopo di fargli dire quello che nella circostanza torna utile e comodo a lui; e in genere, si chiama in causa – a proposito dell’attività culturale svolta a Napoli dalle istituzioni pubbliche e dell’atteggiamento critico da taluni assunto nei confronti della stessa – la poesia «Campanilismo».
S’è abbandonato a tale abitudine anche Franco Dragone, il direttore artistico del Napoli Teatro Festival Italia: il quale, in una lettera pubblicata da «Il Mattino», parte per l’appunto da «Campanilismo» per dichiarare che persiste a Napoli «una sorta di cannibalismo» contro qualsiasi iniziativa di un certo rilievo. Ma qui bisogna intendersi, e per quanto riguarda Viviani e per ciò che si riferisce, in particolare, al Napoli Teatro Festival Italia.

Raffaele Viviani al tavolo di lavoro

Raffaele Viviani al tavolo di lavoro

Occorrerebbe spiegare a Dragone (è un po’ dura, lo so…) che Don Raffaele fu esattamente il contrario del buonismo patriottico che lui sembra invocare. Viviani sentì Napoli come un incubo: un incubo che scaturiva dalla necessità – avvertita con assoluto rigore morale – di cancellare qualsiasi filtro consolatorio o demagogico fra la propria scrittura e la realtà «nascosta» che quella era destinata a ritrarre. E così, fu Viviani il primo a liberare Napoli e i napoletani dalle pastoie di un’oleografia di comodo soffocante e mortificante.
Lo dimostra proprio «Campanilismo». Se Dragone vorrà riconsiderare attentamente quella poesia, si accorgerà che – collocata in posizione fortemente icastica, cioè nell’ultima quartina – la giusta chiave di lettura sta per essa nei versi seguenti: «Quanno na cosa è bbona e è nata ccà, / nu milione ‘e gente l’ha da di’. / E vedarraie po’ Napule addo’ va, / cu tutto ca è ‘o paese d’ ‘o ddurmi’».
Appunto. Viviani non dice che bisogna lodare ogni cosa che è nata a Napoli, dice che bisogna lodare, tutti insieme, le cose nate a Napoli che sono «buone». E non mi pare che l’edizione 2016 del Napoli Teatro Festival Italia diretta da Franco Dragone possa essere annoverata fra le «cose buone». Lo dico chiaramente, dunque: se significa essere «cannibale» pretendere che con i soldi dei cittadini si facciano manifestazioni che ai cittadini siano utili in termini di crescita civile e culturale, allora voglio, fortissimamente voglio, essere «cannibale» a tutti gli effetti; se significa essere «cannibale» rifiutarsi di appartenere a congreghe politiche più o meno direttamente e ufficialmente legate a quelle manifestazioni, allora invoco la qualifica di «cannibale» d.o.c.; e se, infine, significa essere «cannibale» insistere ad analizzare e valutare gli eventi proposti dalle manifestazioni in questione sulla base di una competenza specifica accertata da mezzo secolo di attività professionale svolta in Italia e all’estero, allora pretendo, fra i «cannibali», addirittura il ruolo di capotribù.

Apelle in un dipinto di Tiepolo

Apelle in un dipinto di Tiepolo

Peraltro, posso assicurare a Dragone che a mangiare questa «carne» non s’ingrassa, solo ci si rovina il fegato; e sta molto meglio lui che (l’abbia condivisa o meno con i suoi collaboratori) s’è mangiata, da buon vegetariano, un’insalatona da duecentomila euro. Ma, battute (fino a un certo punto) a parte, vengo subito all’argomento decisivo.
Scusate, un Festival teatrale è o no fatto di spettacoli teatrali? E se è fatto di spettacoli teatrali, bisogna o no, in sede di bilancio, discutere innanzitutto degli spettacoli teatrali che quel Festival ha offerto? Invece, proprio di questi (ossia degli spettacoli offerti dall’edizione 2016 del Napoli Teatro Festival Italia) nessuno parla, come se costituissero un puro accidente da mettere fra parentesi. O, meglio, se ne parla – in termini assolutamente vaghi e senza scendere nel merito – limitandosi ad esprimere al loro riguardo un giudizio positivo contrapposto all’elemento negativo rappresentato dai vuoti in sala che li hanno accolti.
Come al solito, ci si chiude nel ruolo miserevole di notai dell’esistente. A nessuno viene in mente di sospettare che forse esiste un nesso fra la capacità di richiamo e la qualità (e la novità e l’attualità e, ripeto, la necessità) di molti di quegli spettacoli e il fatto che siano stati pochi gli spettatori accorsi a vederli?
Ora, qualcuno dei tuttologi di complemento in circolazione osserva – anche qui senza scendere nei particolari e senza dimostrare niente – che furono migliori le prime edizioni del Napoli Teatro Festival Italia, quelle, per intenderci, dirette da Renato Quaglia. E se è piuttosto evidente che si tratta di un’osservazione dettata da un retropensiero, ossia da un’adesione di tipo politico alle coordinate dell’era bassoliniana (non dimentichiamo che a presiedere la Fondazione Campania dei Festival c’era allora Rachele Furfaro) in cui le prime edizioni del Festival videro la luce, tuttavia non possiamo negare che sia vero: è vero che le prime edizioni del Napoli Teatro Festival Italia furono le migliori. Ma questo non avvenne per opera e virtù dello Spirito Santo, come si evincerebbe dalla vaghezza delle considerazioni sciorinate dai tuttologi che cito, bensì perché dietro Renato Quaglia c’era, se non altro a ispirarne le scelte, un signore che si chiamava Franco Quadri, un signore che – a partire dalla sua presenza fortissima in seno al Premio Europa per il Teatro – conosceva sin nei minimi dettagli quanto di nuovo e di più avanzato produceva la scena internazionale. E con ciò torniamo alla faccenda centrale delle competenze specifiche.

Sebastiano Maffettone

Sebastiano Maffettone

Adesso sembra che il problema-cardine dell’edizione 2016 del Napoli Teatro Festival Italia sia stato costituito dai troppi biglietti omaggio distribuiti. Mentre è da gran tempo – e quanti si attardano su quel problema lo saprebbero, se frequentassero le sale teatrali invece di parlare di teatro solo per sentito dire – che, in genere, anche le «prime» in stagione e in abbonamento sono affollate soprattutto da invitati.
Ma torniamo al giudizio positivo espresso sugli spettacoli offerti dal Festival di quest’anno. Sebastiano Maffettone, consigliere per la Cultura del presidente della Regione Campania De Luca, dice che «la qualità media degli spettacoli è stata buona». E anche qui, lo dice sulla base di quali considerazioni di merito? sulla base di quali analisi tecniche? sulla base di quali conoscenze?
Sebastiano Maffettone fa il filosofo. E non v’è dubbio che, se parla di Platone o di Kant, possiamo ascoltarlo con la certezza che ne trarremo giovamento, e spiritualmente e intellettualmente. Ma se parla di Shakespeare o di Beckett o di Pinter, siamo autorizzati a ricordargli la storiella di Apelle e della celeberrima intimazione che gli attribuì Plinio il Vecchio: «Ne supra crepidam sutor iudicaret (Che il ciabattino non giudichi più in su della scarpa)».
Ma tu guarda un po’. Mi viene voglia di citare anch’io «Campanilismo» di Viviani: precisamente i versi «’O ssaccio fa pur’io» «Senza pretese» e «avimm’ ‘a sta’ a “guaglione” e simmo maste».

                                                                                                                                             Enrico Fiore

Questa voce è stata pubblicata in Commenti. Contrassegna il permalink.

2 risposte a Dragone, Apelle e il «campanilismo» di Viviani

  1. Raffaele Di Florio scrive:

    Gentile dottor Fiore,
    ho letto con interesse i suoi articoli sul NTF per essere aggiornato sui lavori proposti in questa edizione, in quanto non ho potuto essere presente da “spettatore” per impegni di lavoro e questioni familiari.
    La questione spinosa che si presenta immediatamente per quanto riguarda il futuro, al di là del successo o dell’insuccesso artistico della rassegna, è la mancanza di pubblico o, peggio, la mancata formazione del pubblico, formazione che molto spesso viene tradotta nel “precettare” le giovani generazioni.
    È un’occasione che un Festival di teatro non può farsi sfuggire, e deve ragionarci con visioni lungimiranti.
    Esempi in Italia che si collocano in questa direzione ne esistono, ed ho avuto la fortuna di esserne partecipe.
    Due fra tutti. C’è una realtà a Como, l’AsLiCo, la quale da diversi anni opera nel teatro lirico investendo nella città con diverse iniziative: “Opera domani”, per giovani che si avvicinano alla musica; “Opera kids”, per bambini; “Opera per Città”, in cui il coro è formato da cittadini di Como e provincia, i quali si misurano col repertorio belcantistico… E stiamo parlando di opera lirica, e di un’iniziativa gestita da un’organizzazione snella che opera in maniera attiva sul territorio.
    Certo, Como è una realtà piccola di fronte alla città metropolitana partenopea, ma ciò potrebbe suggerire ad una realta economica forte, qual è il NTF, di operare in modo capillare sul territorio per tutto l’anno, con progetti mirati e di qualità, senza alterare la sua natura e venir meno allo scopo di promuovere ed essere sguardo attivo per il mondo teatrale.
    Io non voglio dettare le linee artistiche al Signor Dragone, ma sono convinto, da operatore culturale esule come lui, che Napoli ha bisogno di un vero Festival di Teatro, per ragionare sulla “bellezza”, sulla “politica”, sull'”arte”, sul “sociale”…
    E vengo adesso al secondo esempio. Il Festival di Teatro deve avere una ricaduta in termini economici e sociali, deve creare lavoro, deve creare passione ed entusiasmo, come succede a pochi chilometri da Napoli, da tanti anni, al Giffoni Film Festival (in cui sono stati ospitate star mondiali: da Truffaut a De Niro, da Kieslowsky a Richard Gere… senza spendere cifre astronomiche, ma avendo ed offrendo un’idea vincente: le giovani generazioni).
    Mi perdoni se sono uscito fuori tema, ma è tempo di essere operativi ed operanti, propositivi e, finirei, anche un po’ marxisti: “da ciascuno secondo le sue capacità…”
    Con rinnovata stima.
    Raffaele Di Florio

  2. Enrico Fiore scrive:

    Caro Raffaele,
    La ringrazio per le Sue puntuali e stimolanti osservazioni. E soprattutto La ringrazio per il rimando a Marx. Serve a ricordarci che da noi troppo spesso quella Sua frase siamo costretti a farla diventare: “da molti secondo le loro incapacità”.
    Le ricambio la stima.
    Enrico Fiore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *