Seduta psicanalitica con fantasma

Fausto Paravidino e Sara Putignano in una scena di «I vicini»

Fausto Paravidino e Sara Putignano in una scena di «I vicini»

NAPOLI – «È difficile aprire la porta… perché? Forse perché uno poi ha paura – eccola là la paura – ha paura di non riuscire più a chiuderla, volesse chiuderla…». Questa, oltre ogni dubbio, la battuta-chiave di «I vicini», il testo di Fausto Paravidino che lo Stabile di Bolzano presenta al Nuovo.
C’imbattiamo in un Lui, nella sua compagna Greta, nella nuova vicina Chiara, in un Marito, suo marito, e nella Vecchia, la vecchia vicina. E salta subito agli occhi che solo due di questi personaggi hanno un nome, appunto Greta e Chiara: di modo che finiscono a rivelarsi come specchi l’una dell’altra; tanto è vero che hanno in comune il fantasma della vecchia vicina, che unicamente loro vedono o dicono di vedere. Gli altri tre, più che personaggi, sono delle pure e semplici funzioni.
In breve, il gioco di massacro scatenato dalle visite di Chiara e del Marito in casa di Lui e di Greta si pone come un’autentica seduta psicanalitica (lo psicanalista, ovviamente, è la Vecchia) che a poco a poco fa emergere – giusta la battuta di cui all’inizio – una solitudine individuale paralizzante. L’«esterno» non provoca paura in quanto tale, ma perché induce a un contatto che obbliga a uscire allo scoperto, ad affrontare l’altro da sé e, quindi, a mettere in discussione le certezze evasive che quel costituiscono.
Lo dice chiaramente Greta, commentando, appunto, quelle visite dei nuovi vicini: «Adesso avevamo un privato da difendere. E questa per noi era una novità. Una brutta novità».
Il testo, tuttavia, mostra – al di là di simili spunti rimarchevoli – qualche intellettualismo di troppo sul piano dei contenuti; e, quel ch’è peggio, sconta sul piano della forma il fatto che, invece di una fusione, determina una confusione tra la «conversation play» di estrazione West End e la dimensione claustrofobica di estrazione pinteriana. E a peggiorare le cose interviene una regia, firmata dallo stesso Paravidino, che risulta a sua volta ridondante e confusa, mescolando il realismo spicciolo (quel pesce cucinato da Lui, vero e veramente mangiato…), il thriller, il film horror (le apparizioni spettrali della Vecchia in chiave di «Non aprite quella porta»!), abborracciate sortite comiche, sporadiche citazioni da Woody Allen e Buñuel, accenni allo scambismo, pleonastici esibizionismi (il Lui che si scopre il posteriore per farsi sculacciare da Chiara) e, sul serio, chi più ne ha più ne metta.
Insomma, uno spettacolo molto deludente rispetto ai precedenti notevoli di Paravidino in quanto autore e metteur en scène. E nella circostanza non convince neppure il Fausto Paravidino interprete nei panni di Lui: giacché s’abbandona ad accensioni nevrotiche e scoppi di rabbia «survoltati» oltre che, pure qui, a incongrue digressioni esibizionistiche. Vanno meglio – per quanto nei limiti che ho descritto – Iris Fusetti, Sara Putignano, Davide Lorino e Barbara Moselli, rispettivamente nei ruoli di Greta, di Chiara, del Marito e della Vecchia.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

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