Scontro fra madre e figlia
nel gelido silenzio di Dio

 

Anna Maria Guarnieri in «Sinfonia d'autunno»

Anna Maria Guarnieri in «Sinfonia d’autunno»

I temi centrali e decisivi di «Sinfonia d’autunno» – il film di Ingmar Bergman con Ingrid Bergman e Liv Ullmann – sono l’assenza della vita e il dilagare, al suo posto, della recita della vita. Infatti, la battuta-chiave della sceneggiatura suona: «È assolutamente necessario imparare a vivere. Io ci provo ogni giorno, ma non è una cosa facile». E chi è colui che prova per definizione, se non, per l’appunto, l’attore?
Ma qui, della vita, risultano impossibili persino le prove. Tanto è vero che, non a caso, quella battuta non viene pronunciata da alcun personaggio, bensì appena citata dal narratore, il pastore protestante Viktor, da uno dei libri scritti dalla moglie Eva.
In concreto, siamo di fronte a una recita dell’amore inutilmente tesa a mascherare lo scontro, un crudelissimo «jeu de massacre», fra Charlotte Andergast, una celebre pianista, e la figlia, appunto Eva, da lei sempre trascurata in ossequio alla propria carriera e che torna a trovare dopo sette anni, per giunta scoprendo che ospita in casa Helena, l’altra figlia spastica che Charlotte aveva abbandonato in una casa di cura.
Ebbene, Gabriele Lavia – regista dell’allestimento tratto da «Sinfonia d’autunno» che lo Stabile dell’Umbria presenta al Mercadante – illustra e sottolinea tutto questo con una serie d’invenzioni straordinariamente pregnanti. Ne ricordo solo le due principali: Viktor cita la battuta di cui sopra stando nella stanza dei giochi del figlioletto morto bambino; e, nella sequenza relativa alla «gara» fra Eva e la madre nell’esecuzione del Preludio n. 2 di Chopin, il pianoforte (autentico simulacro della vita per Charlotte) non si vede: le due esecutrici allargano le braccia sulla tastiera invisibile come uccelli che allarghino le ali in un vano tentativo di levarsi in volo. Né si sente la musica di Chopin, sostituita da un’unica, stridula nota di freddezza elettronica.
Si poteva rendere meglio l’assenza e l’incomprensibilità della vita? Senza contare, nel merito, i prelievi di Lavia da altri film di Bergman, «Sussurri e grida» e, soprattutto, quel «Luci d’inverno» in cui, nella chiesetta sperduta e priva di fedeli, il povero sagrestano sciancato parla al pastore Tomas Ericsson, ch’è oppresso dal silenzio di Dio, della dolorosa solitudine di Cristo.
Infine, perfettamente all’altezza gl’interpreti: accanto ad Anna Maria Guarnieri (Charlotte), Valeria Milillo (Eva), Danilo Nigrelli (Viktor) e Silvia Salvatori (Helena).

                                                                                                                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 3o gennaio 2015)

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