Una «Cantata dei pastori»
senza Maria Vergine e Benino

 

Giovanni Mauriello e Benedetto Casillo nei panni di Sarchiapone e Razzullo (foto di Fiorella Passante)

Giovanni Mauriello e Benedetto Casillo nei panni di Sarchiapone e Razzullo (foto di Fiorella Passante)

NAPOLI – Il titolo – «Razzullo e Sarchiapone da La Cantata dei Pastori» – risulta il più esplicito che si potesse immaginare. Infatti, lo spettacolo in scena al Delle Palme non è né la sacra rappresentazione pubblicata nel 1698 dall’abate Perrucci («Il Vero Lume tra l’Ombre, overo la spelonca arricchita per la Nascita del Verbo Umanato»), né «La cantata dei pastori» derivante dal rimaneggiamento e dalla contaminazione di quell’opera attuati lungo i secoli dalla fantasia e dal sentimento del popolo, né «La cantata dei pastori», allestita al Mercadante dai popolani della Duchesca e del Lavinaio, di cui parlò il Viviani imprudentemente tirato in ballo da Benedetto Casillo.
Don Raffaele annotò: «Doppo po’ che succedeva / cu “Razzullo” e “Sarchiapone”. / Primma ‘asci’, già se redeva, / pecché rrobba d’ ‘o rione»; e alla fine osservò: «E stu spasso mò è fernuto: / ce so’ gghiuto a na “Cantata”, / ma però me so’ addermuto, / aggio perzo na nuttata. / Senza cchiù chella curnice, / nun teneva cchiù sapore! / ‘A “Madonna” era n’attrice, / “Sarchiapone” era n’attore».
Insomma, il titolo esatto dello spettacolo proposto al Delle Palme (ne firma la regia Massimo Andrei) sarebbe dovuto essere: «La cantata di Casillo e Mauriello». Perché si tratta di un allestimento letteralmente cucito addosso ai due protagonisti, appunto Benedetto Casillo nel ruolo di Razzullo e Giovanni Mauriello in quello di Sarchiapone. E certo, non v’è dubbio che Casillo e Mauriello siano attori, così come non v’è dubbio che in quanto tali siano bravi. Ma, di conseguenza, finiscono per costringere i loro due celebri personaggi nei limiti delle proprie rispettive caratteristiche espressive: che sono di ascendenza cabarettistica per Casillo e di derivazione desimoniana (ricordate il Monacello, il Cuccurucù e il Femminella de «La Gatta Cenerentola»?) per Mauriello.
Casillo, addirittura, ci mette un monologo finale centrato sul tema (per la verità non troppo originale) del Natale svilito dal consumismo. E prevale, così, la colonna sonora curata da Carlo Faiello, anch’essa estranea (si va da «Vurria addeventare» a «Stella Diana») sia a Perrucci che alla sua «vulgata» ma, almeno, esaltata dalla voce sempre straordinaria di Mauriello.
Per il resto, l’avrete capito, spariscono tutti gli altri personaggi, da Maria Vergine a Benino. E i diavoli si riducono da cinque al solo Belfegor (Salvatore Mazza). Mentre gli arcangeli passano da uno (il Gabriele di Sara Grieco) a tre per dare una parte anche a Matteo Mauriello (Michele) e Christian Moschettino (Raffaele).

                                                                                                                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 5 gennaio 2016)

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