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Racconto di Natale per Pina
Pina Cipriani in concerto
NAPOLI – Questo è un racconto di Natale, anche se muove da un fatto che è accaduto quattro giorni dopo Natale: dal concerto «Quanno nascette Ninno ed altre storie» che Pina Cipriani – accompagnata dal figlio Egidio Mastrominico al violino, da Renata Cataldi al flauto traverso, da Marco Gesualdi alla chitarra, da Giosi Cincotti alla fisarmonica e da Giacomo Pedicini al basso – ha tenuto ieri nel Museum Shop di Piazzetta Nilo.
A un certo punto, mentre cantava «Lacreme napulitane», Pina s’è messa a piangere. E io, d’improvviso, mi son sentito trasportare indietro di qualcosa come mezzo secolo. Allora dovetti fuggire, da faccende varie e specialmente da me stesso. E dovendo fuggire il più lontano possibile e dove fosse piuttosto difficile scoprirmi e raggiungermi, m’imbarcai in qualità di commissario di bordo sull’«Achille Lauro», l’ammiraglia della flotta mercantile italiana.
Facevamo la rotta regolare per l’Australia e la Nuova Zelanda, e trasportavamo soprattutto emigranti: sì, proprio quelli con la valigia di cartone legata con lo spago. Andavano laggiù, nell’altra parte del mondo, portando con sé soltanto due cose, la fame e la speranza di un domani meno buio. I loro bambini li trovavi sempre ad aggirarsi intorno alla sala mensa. Tra gli adulti incontrai due giovani ch’erano partiti dall’Irpinia subito dopo essersi sposati e che, invece, s’aggiravano spinti da una diversa specie di fame, in cerca – stando in una cabina con altre quattro persone – di un posto appartato in cui poter fare l’amore. E venne Natale, il primo che trascorsi sugli oceani, durante una crociera nel Pacifico.
Io credevo d’essere corazzato contro il prepotere dei sentimenti, a cominciare dalla nostalgia. Però, la sera della vigilia, vidi alcuni giovani soli che respinsero, persino brutalmente, gli approcci delle splendide ragazze australiane in cerca di compagnia. Sulle prime mi meravigliai, ma poi mi accorsi che quei giovani soli avevano gli occhi pieni di lacrime. Pensavano, capii, alle mamme e alle fidanzate che avevano lasciato al paese. Pensavano al respiro caldo della loro casa. Pensavano, senza accorgersi che ci stavano pensando, alla verità lancinante delle loro radici. E mi ritrovai anch’io con gli occhi pieni di lacrime.
Ecco, le lacrime che ieri sera scorrevano sul volto di Pina Cipriani mentre cantava «Lacreme napulitane» erano le stesse che cinquant’anni fa scorsero sul volto dei giovani soli che fuggivano spinti dalla speranza e sul volto di me che fuggivo spinto dalla disperazione.
Di questo son capaci l’arte e gli artisti, se si tratta di arte e di artisti veri: son capaci di annullare il tempo e di reinventare la vita, trasformando i ricordi, anche i più dolorosi, in un viatico prezioso per affrontare meglio il presente e dal presente trarre le idee e la forza per costruire il futuro. In tal senso va intesa la massima di Giorgio Pasquali, il grandissimo filologo che indagò l’età classica: «Chi non ricorda non vive».
Ora, Pina Cipriani, che già aveva dato questo concerto il 5 e il 19 dicembre, dovrà, probabilmente, replicarlo ancora, a furor di popolo. E così il succedersi di tali repliche riporta di nuovo alla mente i versi di Alfonso Gatto che Franco Nico – il caro, indimenticabile compagno di teatro e d’esistenza di Pina – rivestì di una musica da ballata popolare, e tenerissima e ardimentosa insieme: «[…] ascolta venire dal fondo / degli anni la voce perduta […] per qualche sera la vita / si scalda con le sue mani / a quegli accordi lontani / del tempo che fu».
Il racconto è finito. L’ho scritto per Pina Cipriani, per ringraziarla del dono di Natale che mi ha fatto, più ricco dell’oro, dell’incenso e della mirra che i Re Magi recarono al Ninno: col suo canto mi ha ridestato nel cuore e nelle vene, come foglie portate dalla carezza di un vento lieve, quelle emozioni che mi sono state sorelle.
Enrico Fiore