Omaggio «bianconero»
a tutti i Sud del mondo

 

Marisa Laurito e Charlie Cannon, protagonisti di «Sud and South»

Marisa Laurito e Charlie Cannon, protagonisti di «Sud and South»

NAPOLI – La simpatia, certo: quella è da sempre fuori discussione. Ma in «Sud and South», lo spettacolo che la vede nel triplice ruolo di autrice, regista e coprotagonista (va in scena ancora oggi al Diana), Marisa Laurito mette qualcosa di più, e di più significativo. Stavolta simpatia fa rima con strategia. A partire dai nomi dei personaggi importanti, tutti, appunto, meridionali, che vengono scanditi prima di cominciare: poniamo, Pirandello e Neruda, Francesco Rosi e García Marquez, Guttuso e Mandela, Troisi e Borges.
È chiaro, dunque, che la Laurito – affiancata dall’ottimo cantante di colore Charlie Cannon («in mezzo a noi», scherza lei, «è l’unica pecora nera, anche nel senso che è nato nell’Alabama del Nord») – vuol rendere omaggio alla cultura, in particolare a quella musicale, di tutti i Sud del mondo. E la strategia di cui dicevo consiste nel fatto che, mentre all’inizio si sottolineano le specificità dei singoli Paesi, in seguito le si mescola, sino a fonderle nel crogiuolo di un comune sentire poetico.
Così, questo procedimento si annuncia nei primissimi momenti dello spettacolo e si realizza compiutamente nella sequenza dei bis: nell’un caso quando a Charlie che connota «’O sole mio» con un irresistibile swing subentra Marisa che cavalca a ritmo sincopato «New York, New York»; e nell’altro quando i due – dopo che hanno cantato ciascuno per conto suo «Smoke gets in your eyes» e «Reginella» – eseguono insieme «’O paese d’ ‘o sole».
In mezzo – giusto fra i classici e le macchiette nostrani (da «Era de maggio» a «E non sta bene») e gli «standards» d’oltreoceano (da «Georgia on my mind» a «Unforgettable») – c’è l’impagabile prova di Marisa Laurito nel ruolo dell’«entertainer». Ed ecco, quindi, il ricordo dello striscione («Ih che ve site perzo!») collocato nel cimitero quando il Napoli di Maradona vinse lo scudetto; oppure il racconto dello straordinario inno all’avvento della primavera («M’aggio levata ‘a maglia!») che comparve scritto su un muro di via Petrarca.
Mi è tornato in mente che anni fa scrissi di uno strano «indiano metropolitano» che durante la notte aveva istoriato con i versi della «Commedia» dantesca tutto il muro del porto. E il caro, indimenticabile Vittorio Russo citò l’episodio nell’ambito del ciclo di «Letture classensi» tenuto a Ravenna nel 1979.
Allo stesso modo, se Marisa non manca di evocare con ammiccante autoironia la fatidica «mossa», Marco Persichetti, arrangiatore delle musiche e direttore della band in scena (lui al piano, Donato Sensini ai sax e al flauto, Diego Di Paolo al contrabbasso e Piero Fortezza alla batteria), introduce «Voce ‘e notte» con le note della «Sonata al chiaro di luna» di Beethoven. Senza contare l’accenno alla vertiginosa definizione («acqua e annese») che il grande Renato Carosone diede della nebbia nella quasi sconosciuta canzone «Lettera da Milano». E senza contare, per quanto concerne il piano squisitamente teatrale, le lievi controscene danzate con cui Charlie Cannon commenta i «numeri» della sua partner.
Insomma, voglio dire che, senza parere (e cioè divertendo), «Sud and South» dà luogo anche a un discorso piuttosto profondo. Dovendo obbligatoriamente citare Eduardo, Marisa ne accoppia l’impegnata analisi sul teatro («lo sforzo disperato che compie l’uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato») e uno svagato aforisma («Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male»). Perché, sì, nei Sud del mondo, e specie a Napoli, si sa bene che la lacrima e il sorriso sono le due facce di una stessa medaglia.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

(«Il Mattino», 20 dicembre 2015)

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