Napoli Teatro Festival Italia
o Napoli Circo Festival Italia?

Un momento di «Paris Merveilles», la rivista allestita al Lido da Franco Dragone

Un momento di «Paris Merveilles», la rivista allestita al Lido da Franco Dragone

NAPOLI – Si chiamerà ancora Napoli Teatro Festival Italia o si chiamerà Napoli Circo Festival Italia?
Alla luce del fatto che Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, e Sebastiano Maffettone, suo consulente per la cultura, hanno attribuito la carica di direttore artistico di quella rassegna a Franco Dragone, la domanda risulta perfettamente legittima.
Infatti, io (voglio dire io in quanto critico teatrale, e faccio il critico teatrale, lo ricordo ancora una volta, da circa mezzo secolo) Franco Dragone non lo conosco. So soltanto che è diventato famoso come regista di alcuni degli spettacoli di maggior successo del Cirque du Soleil (per esempio, «Saltimbanco» e «Alegria»). E nel prosieguo della carriera ha firmato – apprendo da Wikipedia – gli allestimenti del concerto di Celine Dion «A New Day…» (al Caesar’s Palace di Las Vegas), di «Le Rêve» (commissionato, sempre a Las Vegas, dal magnate dell’industria alberghiera Steve Wynn), di altri kolossal dell’intrattenimento musical-coreografico quali «House of Dancing Waters» (a Macao), «The Han Show» (a Wu Han, in Cina) e «The Dai Show» (a Xishuangbanna, ancora in Cina), delle cerimonie di apertura e chiusura dei Mondiali di calcio in Brasile e da ultimo, quest’anno, della nuova rivista del Lido «Paris Merveilles».
Ora, non ho alcun motivo di dubitare dell’eccellenza di quegli allestimenti nel loro ambito specifico. Ma mi chiedo che cosa c’entrino con il teatro, che – nell’accezione comune del sostantivo –  è soprattutto il teatro di prosa: il teatro, intendo, edificato come uno dei pilastri della cultura da signori che si son chiamati, tanto per fare solo qualche nome, Eschilo, Shakespeare, Molière, Ibsen, Pirandello, Beckett e Pinter.

Franco Dragone, nuovo direttore del Napoli Teatro Festival Italia

Franco Dragone, nuovo direttore del Napoli Teatro Festival Italia

Del resto, lo stesso Franco Dragone ha ammesso la propria distanza da questo teatro: quando, accettando l’incarico, s’è detto onorato, entusiasta e, però, bisognoso di avere al suo fianco (anche lui, come il presidente De Luca) dei consulenti esperti delle varie branche in cui si articola l’immenso universo della prosa. E si tratterebbe, ha precisato, di «consulenti-direttori responsabili dei diversi indirizzi della rassegna». Ma l’esigenza manifestata da Dragone suscita immediatamente degli ulteriori interrogativi.
Perché il presidente della Regione Campania e il suo consulente per la cultura hanno scelto di nominare direttore artistico di una rassegna che si chiama Napoli Teatro Festival Italia un regista, sia pure famoso, che del teatro di prosa (e ripeto, per sua stessa ammissione) non s’intende molto? Perché Franco Dragone ha accettato l’incarico pur essendo cosciente di tali sue lacune? I «consulenti-direttori» da lui chiesti avranno voce in capitolo o saranno dei semplici alibi? Se avranno voce in capitolo, chi comanderà al Napoli Teatro Festival Italia, Dragone o i «consulenti-direttori»? Se saranno dei semplici alibi, dove prenderà Dragone i soldi a vagonate che serviranno per allestire i megaspettacoli a cui, data questa seconda ipotesi, accorderà evidentemente la preferenza?
Tutto questo a prescindere dalla struttura elefantiaca e presumibilmente assai costosa che dovrà mettere in piedi una direzione artistica siffatta. Ma chiediamoci, infine, se la mozione degli affetti «patriottica» che probabilmente ha influenzato la scelta di De Luca

Sebastiano Maffettone

Sebastiano Maffettone

e Maffettone (le origini irpine di Franco Dragone) non avrebbe potuto tenere nel debito conto altre opzioni. Perché, poniamo, non pensare a Mario Martone o ad Antonio Latella? Il primo rappresenta uno dei maggiori artefici del rinnovamento del teatro rispetto a una tradizione troppo spesso malintesa e comunque anchilosata, il secondo ha portato ancora più avanti quest’opera di rottura con il passato. Ed entrambi, per l’appunto, sono anch’essi iscritti all’anagrafe degli artisti nostrani, napoletano Martone e stabiese Latella.
Certo, non credo che Mario Martone, attualmente direttore dello Stabile di Torino, il principale Teatro Nazionale insieme con il Piccolo di Milano, avrebbe accettato una proposta del genere. Ma forse l’avrebbe presa in considerazione Latella, il quale, fra l’altro, può vantare una caratura internazionale sicuramente superiore (parliamo sempre del teatro teatro) a quella di Dragone. Basta pensare a suoi allestimenti quali «Porcile» (a Salisburgo), «Medea & Giasone» (a Berlino), «Bestia da stile» (ancora a Berlino, e nella mitica Volksbühne), «La trilogia della villeggiatura» (a Colonia), «Selvaggiamente le parole lussureggiano nella mia testa» (a Vienna), «La metamorfosi e altri racconti» (di nuovo a Colonia), la trilogia euripidea «Elettra»-«Oreste»-«Ifigenia in Tauride» (a Novosibirsk, in Siberia), «A.H.» (a Mosca) e «Le Benevole» (ancora a Vienna).
Come si vede, insomma, la domanda di cui all’inizio è non poco fondata, e ben al di là della sua coloritura ironica. Ma, naturalmente, aspettiamo Franco Dragone alla prova dei fatti, senza alcuna avversione di principio. E in altri termini stiamo sereni, per usare uno degli ultimi tormentoni del circo (mò ci vuole) mediatico.
Occorre aggiungere, però, che il vero problema non è la persona Dragone. Il vero, e grave, problema è che siamo di fronte a una delle logiche conseguenze della cosiddetta «riforma» del teatro varata dall’ex democristiano Franceschini: una «riforma» che, relegando ai margini la ricerca, privilegia un teatro ufficiale, per l’appunto fondato sui grandi numeri (in termini televisivi sull’audience) e votato, sotto specie del suo massimo traguardo, a una spettacolarità calligrafica e rassicurante.

                                                                                                                                              Enrico Fiore

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8 risposte a Napoli Teatro Festival Italia
o Napoli Circo Festival Italia?

  1. Olga Cera scrive:

    Volevo ringraziarla, credo di non averlo mai fatto fino adesso, per le sue brillanti analisi e recensioni.
    Le confesso che mi manca molto il teatro. Vi lavoravo nel settore della produzione, seppur con un contratto da allievo tecnico! E per questa e per altre varie ragioni decisi di allontanarmi, non solo metaforicamente, dal sistema-Italia, che relega il teatro al livello di una merce elitaria, per pochi, sempre gli stessi…
    Un cordiale saluto,
    Olga Cera

  2. Enrico Fiore scrive:

    Gentile Olga,
    sono io che ringrazio Lei per l’attenzione che dedica ai miei articoli.
    Le ricambio i saluti con altrettanta cordialità.
    Enrico Fiore

  3. Carlo Cerciello scrive:

    Caro Enrico,
    l’ho saputo pochi giorni fa e ho pensato esattamente le cose che tu hai scritto.
    Io, per la verità, una spiegazione alla tua domanda volutamente retorica “Perché il presidente della Regione Campania e il suo consulente per la cultura hanno scelto di nominare direttore artistico di una rassegna che si chiama Napoli Teatro Festival Italia un regista, sia pure famoso, che del teatro di prosa (e ripeto, per sua stessa ammissione) non s’intende molto?”, ce l’avrei.
    È la logica conseguenza della linea intrapresa dal Miniver di Franceschiello, che con l’ultimo decreto ministeriale manda definitivamente in congedo il “teatro” per attivare “la fabbrica dello spettacolo”. È la linea del politico che, ignorando la materia di cui si occupa, decide di fare, almeno, un piacere a qualcuno che lo ha aiutato a farsi eleggere. La professionalità del nome in questione non è in discussione, come giustamente dici tu. Ma costui, come l’asino (d’oro) in mezzo ai suoni, deciderà di fare quel che altri, nel pianeta a lui sconosciuto denominato “teatro”, gli consiglieranno di fare.
    Certo che se con l’ex direttore dai 4 incarichi si consumavano festini a base di champagne a bordo piscina, con questo nuovo arrivo ci vorranno le vagonate di euro alle quali è attualmente abituato per le sue prestazioni d’opera. Insomma, siamo punto e a capo. E di quella speranza di cambiamento di intenti sociali, territoriali e culturali, di cui tanto tu nei tuoi articoli, quanto il sottoscritto e il buon Serao in quella lettera morta nei cassetti filosofici del buon Maffettone parlammo, nemmeno l’ombra. Del resto i teatranti italiani erano già stati estromessi dal sistema aziendalistico culturale renziano, quando all’Expo, per il sollazzo del “popolo” in esposizione, si chiamò per l’appunto “Le Cirque du Soleil”, pagandolo 8 milioni e 415mila euro in un momento in cui si diceva agli italiani tutti ed allo spettacolo dal vivo italiano in particolare: “non ci sono soldi”. Comportamento contraddittorio? No, comportamento perfettamente coerente con quanto applicato recentemente nel decreto ministeriale del nostro MIBAC, improntato al più cinico produttivismo aziendalistico, alla più bassa, alla più algoritmica considerazione della cultura del nostro Paese.
    Carlo Cerciello

  4. Enrico Fiore scrive:

    Caro Carlo,
    evidentemente hai scritto il tuo commento prima che aggiungessi al mio l’ultimo capoverso, pensato in un secondo momento. E siccome adoperi adesso le stesse parole che avevo adoperato io, delle due l’una: o tu hai facoltà medianiche o c’è tra noi due una perfetta identità di vedute. Ovviamente, è vera la seconda ipotesi. E questo significa che le nostre non sono posizioni individualistiche, ma riflettono una situazione di fatto che trova riscontro nelle opinioni di molti.
    Enrico Fiore

  5. Angelo Laurino scrive:

    Riflessioni sempre molto circostanziate, le sue, come quelle del nostro caro Carlo, e di questo ringrazio entrambi. In effetti, la coerenza delle scelte istituzionali tra Stato centrale e Governo territoriale stanno probabilmente determinando un disegno politico ben più cinico e feroce. La ricerca artistica – fatta appunto dagli artisti – è messa ai margini, declassata, in molti casi eliminata. Questo per concentrare le risorse economiche rimaste e favorire i “progetti” dei mega-direttori, che sostanzialmente vertono sul numero di produzioni da realizzare o su costosi intrattenimenti spettacolari. Conseguenza è l’assistere a rappresentazioni noiose o a lavori più o meno riusciti, molti per mestiere, pochi per vocazione, con sale che si svuotano prima della fine (e di questo sono stato testimone). Allora, ecco che un giorno la politica ci comunicherà che del teatro non importa a nessuno, se non a pochi, sempre più circoscritti in una élite, per cui i finanziamenti statali non potranno essere più considerati se non per “museificare” il repertorio musicale e teatrale di tradizione o per sostenere quei privati del teatro che investono in proprio, lasciando a loro definitivamente libero arbitrio di fare del teatro stesso l’agorà di nuovi mercanti, fuori e dentro a ciò che una volta ci appariva come un “tempio”.
    Angelo Laurino

  6. Enrico Fiore scrive:

    Gentile amico,
    purtroppo il quadro fosco che Lei ha delineato è proprio quello della realtà che ci circonda. Non resta che continuare a denunciarla, questa miserevole situazione, e cercare di cambiarla, sia pure con i pochi e deboli strumenti che noi resistenti abbiamo a disposizione. Io ricordo sempre ciò che diceva il mio professore d’italiano al liceo: quando un uomo pensa qualcosa di bello, quel pensiero non si perde, resta nell’aria; e prima o poi ci sarà qualche altro uomo che lo raccoglierà. Grazie per l’intervento e, spero, a presto.
    Enrico Fiore

  7. Laki scrive:

    Gentile Enrico Fiore e commentatori sovrastanti, vorrei sottolineare giusto qualche aspetto che sfugge alle vostre riflessioni, almeno da ciò che leggo. Innanzitutto, seppur giovane, non parlo da profana del teatro, ma da amante e lavoratrice nel settore. E in questo includo tutte le difficoltà annesse che ne derivino.
    Premetto che vita e opere del nuovo direttore Franco Dragone le ho approfondite in questi giorni anch’ io leggendo quanto scritto in internet, anche se ne avevo già sentito parlare in vista del prossimo San Carlo Opera Festival dove Dragone porterà una sua Aida. Firmare la regia di un’Aida in uno dei più importanti teatri lirici del mondo, è forse indice che “qualcosa” di teatro ne sa. Certo parliamo di lirica, non di prosa nè di circo. Ma saprete meglio di me che la parola teatro deriva dal greco e significa appunto “spettacolo” ed ha come radice il verbo “vedere”. Quindi ingloba ogni forma di rappresentazione che avviene per essere vista. Napoli TEATRO Festival, non solo Napoli CIRCO Festival o Napoli PROSA Festival. Magari entrambi, e anche altro.
    Dico questo perchè credo sia piuttosto relativo che il direttore di un festival di teatro abbia molta dimestichezza col circo e poca con la prosa. Non mi risulta che l’ultima direzione, che di prosa invece pareva intendersene, abbia avuto esiti positivi. Anzi.
    Dunque, tralasciando i giudizi su “quanto” sappia di teatro di prosa il nuovo direttore, vorrei porre l’attenzione su un breve discorso dello stesso Dragone, riportate in un articolo de Il Mattino dell’ 8 ottobre 2015: «Un festival [il Napoli Teatro Festival] che tutti conoscano; che arrivi al prestigio di quello di Avignone; che penetri anche nelle altre provincie della Campania; che sia internazionale e locale; non transiga sulla qualità, ma sia popolare; un festival che faccia formazione e costruisca un futuro per i giovani […] Un festival che organizzi gli stati generali del teatro, per trarre ispirazione da quel che fanno gli altri nel mondo». Non mi pare che il signor Dragone abbia detto di voler trasformare il Napoli Teatro Festival in un circo. A me sembra che voglia solo provare a puntare in alto, ad una grande struttura che muova una grande macchina, probabilmente per grandi numeri, che se decollasse potrebbe portare un bel ritorno d’immagine e d’economia alla nostra città.
    Credo che una persona di tale calibro che nel suo primo discorso da neo-direttore, parli di futuro per i giovani, sia da accogliere a braccia aperte invitandolo a salire su un palco e magari chiedendogli di spiegarci come intenderà farlo.
    La città di Napoli agonizza sempre più lentamente. Critichiamo tutto e non facciamo niente. E se il risveglio delle coscienze fosse nel coinvolgimento della grande massa attraverso il potere accattivante di giochi di luci ed grandi macchinerie sceniche, se si riuscisse a far conoscere e avvicinare un vasto pubblico al teatro attraverso la spettacolarità, perchè no. Perché fare “audience”, aumentare gli ascolti, anzi le presenze, dovrebbe essere sbagliato? Chi ha deciso che il teatro debba ostinarsi a restare nella sua sfera intellettuale, rivolgendosi solo a coloro hanno gli strumenti della conoscenza, fino ad arrivare a creare spettacoli per un pubblico di dieci anime? Fare spettacoli spettacolari non è per forza sinonimo di poca qualità contenutistica. E credo che il voler essere affiancato da co-direttori più esperti in altri tipi di teatro nasca proprio dalla volontà di dare contenuto alla spettacolarità.
    Credo che un uomo che dall’Irpinia si è spostato in Belgio creando una « compagnia di quattrocento persone » e contribuendo a formare un « circo che oggi dà lavoro a quattromila persone » (come si legge in un articolo de « La Stampa » di luglio 2013) sia da onorare, non da sporcare associandola alle illogicità politiche e ai favoritismi del nostro Paese.
    Un personaggio che fa girare i suoi spettacoli dal Belgio, al Brasile, a Las Vegas, a Macao, senza rinnegare le sue origini di Cairano in Irpinia, può avere le capacità di prendere le redini per rendere internazionale un festival che ha sempre avuto intenzione di esserlo ma non è mai riuscito ad andare oltre i confini partenopei.
    Laki

  8. Enrico Fiore scrive:

    Gentile Laki,
    innanzitutto dovrebbe firmarsi con il Suo nome e il Suo cognome anagrafici, non con uno pseudonimo. Altrimenti autorizza a sospettare che Lei parli da “interessata” (e di qui il nascondersi dietro l’anonimato) o, quanto meno, da avvocato d’ufficio. Nessuno di noi ha inteso mettere in discussione le capacità tecniche di Franco Dragone, abbiamo soltanto espresso dei dubbi (legittimi, ce lo concederà) circa il fatto che il tipo di spettacoli che ha dato la fama al regista d’origini irpine possa accordarsi con la natura e le finalità di una rassegna che si chiama Napoli Teatro Festival Italia. E per quanto riguarda i programmi annunciati dallo stesso Dragone, fino a questo momento non hanno che la consistenza di semplici promesse da verificare nella realtà. Mi limito, nel merito, a ricordarLe che a proposito del Napoli Teatro Festival Italia anche i suoi precedenti direttori – Renato Quaglia e Luca De Fusco – tirarono in ballo Avignone. E visto che ci si trovavano, scomodarono pure Edimburgo. Anzi, non evocarono quei due celeberrimi Festival come modelli da imitare, ma come modelli già uguagliati e addirittura sopravanzati dal Festival nostrano. Ma, poi, è finita come Lei stessa ha sottolineato. A parte il fatto che né ad Avignone né a Edimburgo si son mai visti spettacoli come quelli che predilige Dragone. In ogni caso, ripeto, il succo del discorso che abbiamo cercato di sviluppare sta nell’ultimo capoverso del mio commento. I nostri timori non concernono l’incarico affidato a Franco Dragone in quanto scelta di una persona e di un regista, ma l’incarico affidato a Franco Dragone in quanto manifestazione di una certa idea (politica, assai prima che estetica) dello spettacolo in genere e del teatro in particolare. E infine, deve ammettere che qualche perplessità la desta un regista che oscilla disinvoltamente tra “Aida” e i seni al vento (per carità, apprezzabilissimi) delle ballerine del Lido.
    Voglia gradire i miei più cordiali saluti.
    Enrico Fiore

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