L’amore che finisce e tuttavia rimane

Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi nella scena finale di «Clôture de l'amour»

Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi nella scena finale di «Clôture de l’amour»

Pascal Rambert – autore di «Clôture de l’amour», il testo che con la sua regia è in scena alla Galleria Toledo per la produzione di Emilia Romagna Teatro – ha voluto mantenere anche nella versione in italiano (di Bruna Filippi) il titolo francese: perché l’espressione «clôture de l’amour» è in qualche modo intraducibile, significa sia «fine dell’amore» sia «recinzione dell’amore» (per proteggerlo).
Un ossimoro, dunque: da un lato la passività (l’amore che è finito) e dall’altro l’azione (l’amore che si tenta di preservare, non fosse che come ricordo), da un lato le parole (quelle dell’analisi intellettuale che procede per esclusioni) e dall’altro la vita (che non butta mai niente, nemmeno l’illusione dell’amore, nemmeno l’illusione che l’amore sia «un week-end permanente»).
Allora, l’impresa disperata che rende interessante il testo di Rambert (e non a caso si tratta di un testo quasi privo di punteggiatura e che consta di un dialogo fra un Lui e una Lei costituito, in effetti, da due lunghissimi monologhi) è quella di far coincidere le parole e la vita. Di modo che alle battute capziose di Lui, tipo: «Tu hai un’altra parola? / una che non fa più parte della nostra interiorità / e se non è più dentro di noi dov’è?», Lei replica rievocando l’evidenza delle loro pratiche sessuali, a partire, gli dice, dalla «spuma del tuo sperma che secca sul mio ventre».
Ora, è ovvio che in sede di allestimento Rambert giochi soprattutto sulle controscene messe in atto da ciascuno dei due interpreti mentre assiste al monologo dell’altro. E nell’ambito di questo match singolare, veramente da non perdere, sul pur bravo Luca Lazzareschi vince largamente ai punti Anna Della Rosa, che si conferma come una delle nostre attrici migliori. È da antologia la rete di gesti minimi e sguardi in tralice con cui cattura gli ultimi aneliti di quella passione che muore.
A separare i due monologhi l’entrata di un coro di bambini, che sono il simbolo dell’innocenza perduta. E alla fine Lui e Lei si tolgono la maglietta e si mettono in capo una raggiera di eclatanti piume colorate: perché che cos’è la vita, quando la chiudiamo fra parentesi, se non una spudorata esibizione di apparenze?

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 20 novembre 2014)

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