Riecco «Francesca da Rimini». Nel rimpianto dei Giuffré

Gianfranco e Massimiliano Gallo in un momento di «Comicissimi fratelli», in scena all'Augusteo (la foto è di Gianni Biccari)

Gianfranco e Massimiliano Gallo in un momento di «Comicissimi fratelli», in scena all’Augusteo
(la foto è di Gianni Biccari)

NAPOLI – Non a caso il pezzo forte dello spettacolo – «Comicissimi fratelli. Il pubblico ha sempre ragione», in scena all’Augusteo – è «Francesca da Rimini», la celebre e irresistibile parodia di Antonio Petito. Infatti, Gianfranco Gallo, qui nella triplice veste di autore del copione, regista e coprotagonista al fianco del fratello Massimiliano, dichiara nelle sue note di aver voluto rendere omaggio ai fratelli Aldo e Carlo Giuffré, che a partire dalla stagione ’76-’77 fecero di quella farsa (diretti da Gennaro Magliulo e affiancati nel ruolo del suggeritore da uno strepitoso Giacomo Rizzo) uno dei maggiori successi del teatro «leggero» napoletano.
Personalmente, non so quante volte l’ho vista, la «Francesca da Rimini» dei Giuffré. E ogni volta, sebbene ne conoscessi a memoria tutte le battute, ridevo fino alle lacrime. Così come risi quando lo stesso Rizzo, aprendo sempre all’Augusteo la stagione 2001-2002, ne propose un proprio allestimento, preceduto nel primo tempo da un suo testo intitolato «Al Salone Margherita». Ma ora mi affretto a ricordare, in breve, che cosa ci racconta Petito.
C’imbattiamo in una scalcinata compagnia di comici che, abituati a ubriacarsi di lazzi in dialetto napoletano, si trovano d’improvviso costretti a sostituire i colleghi «nordisti» della primaria compagnia dei «Tragici dell’Incornata», altrettanto improvvisamente resisi latitanti, e di conseguenza a recitare nell’italiano gonfio e paludato di Silvio Pellico, che per loro è puramente e semplicemente una lingua straniera pressoché incomprensibile.
Aggiungo subito, però, che Petito sottese al divertimento sfrenato che procurava una precisa intenzione dissacratoria nei confronti della retorica profusa a piene mani da versificatori più o meno degni nella cosiddetta (da loro) «tragedia italiana». E fu per l’appunto quell’intenzione dissacratoria che i fratelli Giuffré prima e Giacomo Rizzo poi potenziarono e attualizzarono.
Il copione di Gianfranco Gallo, invece, si limita a mettere in campo un «procolo» (un prologo, s’intende) in cui s’accenna soltanto di sfuggita al problema, decisivo sul piano storico, dell’avvento di Scarpetta, ossia dell’importatore di un modello culturale francese, a danno di colui, appunto Petito, che, indossando al San Carlino la «mezzasuola» di Pulcinella, era stato l’autentico portavoce del teatro napoletano di estrazione popolare. E l’accenno al problema in questione da parte di Gallo consiste nel pretesto facile facile dello scontro fra i due fratelli, l’uno propenso ad andarsene nella compagnia di Scarpetta e l’altro deciso a continuare nel solco della tradizione.
Del resto, a stabilire la differenza fra gli allestimenti della «Francesca da Rimini» dei fratelli Giuffré e quello dei fratelli Gallo basta il fatto che, mentre (ad approfondire il discorso su Petito) Aldo e Carlo aggiungevano alla «Francesca» altri testi del suo autore, come «Pascariello surdato cungedato» e «Tutti avvelenati», qui, in attesa della «Francesca» medesima, va avanti alla men peggio un riempitivo fatto di barzellette, di stroppiature dei nomi di grandi poeti e, tanto per offrire solo un esempio, di equivoci che accoppiano un «miòpe» (mìope) al ciclope «cu ‘n’uocchio sulo».
Rimane l’indubbio impegno di Gianfranco e Massimiliano, che, poniamo, si distinguono il primo nell’esecuzione di «Vesti la giubba» e il secondo in uno sfottò al flamenco. I comprimari s’arrangiano, innanzitutto a causa delle loro carenze sul piano della dizione e, poi, perché l’Augusteo è da sempre un teatro inadatto alla prosa, per insormontabili deficienze strutturali sul versante dell’acustica. Alla «prima» risate sparse, e qualche fuga nell’intervallo.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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