Per uno Stabile che faccia «politica»

Laurence Olivier

Laurence Olivier

Pubblico qui, come un vero e proprio articolo, il commento inviato da Raffaele Di Florio a proposito della mia riflessione circa le ultime dichiarazioni trionfalistiche rilasciate da Luca De Fusco, direttore del Teatro Stabile di Napoli. E compio questa scelta per dare alle argomentazioni di Di Florio, tutte estremamente condivisibili, il maggior rilievo possibile su questo sito.

«Gentile Fiore,
tempo fa lessi su un rotocalco del suo Paese una lunga e variegata intervista a Laurence Olivier, forse il più grande attore di teatro inglese del Novecento. E Olivier concludeva col sostenere che il Teatro (in quanto edificio) è il segno esterno di una “civiltà interna”.
Leggendo il suo articolo le parole di Olivier dovrebbero essere un monito.
Qui, sul nostro territorio, bisogna recuperare quella “civiltà interna”, che sta perdendo pezzi di memoria, mezzi per condividere, occhi per stupirsi…
Non possiamo ridurre sempre e soltanto a un dato aritmetico o di ragioneria i risultati che mettono in campo la formazione e la qualità della vita.
Siamo esseri pensanti, il nostro scopo su questa terra (senza fare filosofia spicciola) è di compiere un viaggio che sia il più straordinario possibile. E i viaggi si fanno in compagnia, o ci si incontra/scontra lungo il proprio personalissimo itinerario.

Raffaele Di Florio

Raffaele Di Florio

Il Teatro custodisce qualcosa che somiglia alla vita, la sublima, la critica e la fa sua per poi condividerla.
Un Teatro d’Arte di questo dovrebbe occuparsi e il suo “nostromo” (il direttore artistico) dovrebbe essere audace e tenere la rotta verso nuovi orizzonti… altrimenti si fa del puro intrattenimento: sano e indiscutibile, certo, ma che non corrisponde agli intenti dello Statuto che ogni Teatro Stabile produce.
Quando avremo un Teatro Stabile che ragiona non con strumenti obsoleti e si toglie di dosso la polvere del carrozzone per entrare nel tessuto urbano della città metropolitana?
Quando avremo un Teatro Stabile che fa programmazione, stimolando e lasciandosi stimolare dalle realtà contemporanee?
Quando avremo un Teatro Stabile che sia “sempre aperto” come un cantiere culturale in cui ci si confronta per davvero e non per esibizionismo/voyerismo?
I tempi son cambiati, il linguaggio è cambiato e sarebbe un errore immaginare un Teatro solo per un settore, una classe, una generazione, un’ideologia.

Un'azione dei Rimini Protokoll

Un’azione dei Rimini Protokoll

È tempo che il Teatro Stabile torni a fare “politica” come molte esperienze europee (penso ai Rimini Protokoll), ad occuparsi di nuovi linguaggi (e non si tratta di scovare solo dei drammaturghi, tra l’altro trascurati), a relazionarsi con le realtà locali e, infine, a creare un circuito di quelle nella nostra regione.
Gentile Fiore, scusi se sono uscito “fuori tema” o se ho reso questo mio intervento pedante, ma la frase di Olivier dovrebbe essere di slancio verso il futuro prima che avvenga quanto (mi perdoni questo eccesso di citazioni) constatava Kierkegaard: “La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che
mangeremo domani”.
Cordialmente.
Raffaele Di Florio»

 

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