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Una lettera da Berlino: Mario Martone e Teatri Uniti
Mario Martone
Ricevo da Berlino la seguente lettera di Mario Martone, che, com’è ovvio, pubblico integralmente e a cui non occorre alcun commento. Salvo ringraziare a mia volta Mario per l’attenzione che mi dedica.
«Caro Enrico,
ho letto con interesse il tuo articolo su Controscena in cui parli di Teatri Uniti. Visto che siamo in un periodo in cui si riflette sul passato per aprire (si spera) scenari nuovi in futuro, e il tuo articolo fa dunque “letteratura”, c’è bisogno però di correggere un passaggio.
Io non ho deciso di accettare la direzione artistica del Teatro di Roma perché giudicavo esaurita la mia funzione all’interno di Teatri Uniti. Avevo appena realizzato per Teatri Uniti lo spettacolo “I sette contro Tebe” alla Sala Assoli e il film “Teatro di guerra” presentato a Cannes, in cui tutti i componenti della compagnia avevano ruoli da protagonisti. Dunque la mia funzione era tutt’altro che esaurita.
“Teatro di guerra” metteva in scena diversi conflitti, e tra essi quello che opponeva una compagnia indipendente a un teatro stabile (avevo buon gioco per inventare, visto che il film era ambientato a Napoli, e a Napoli uno stabile pubblico nel ’98 ancora non c’era…). Proprio questo aspetto del film fece balenare all’assessore della cultura di Roma Gianni Borgna (un uomo cresciuto nella nidiata dei giovani apprezzati da Pasolini, grande sostenitore di Carmelo Bene e di tanti altri artisti innovativi) l’idea di chiamarmi non tanto per dirigere il Teatro di Roma, quanto per rivoluzionarlo.
La mia inclinazione a procedere riorganizzando continuamente l’esperienza artistica (ecco perché ho fondato e rifondato i miei gruppi, “Il battello ebbro”, “I nobili di Rosa, “Falso Movimento”, “Teatri Uniti”…) si sposava bene con la proposta di Borgna, i miei trentanove anni consentivano, anzi spingevano, alla battaglia, e in più Borgna condivideva la necessità di far nascere uno spazio alternativo al Teatro Argentina, condizione per me sine qua non per riuscire a cambiare davvero la natura di quello Stabile, che volevo aperto al teatro contemporaneo e alle altre arti, e trasformato da un club di abbonati in una assemblea di cittadini.
Fu nelle fiamme di quei “due anni vissuti pericolosamente” che nacque il Teatro India. Ebbene, è importante però sapere che la mia prima reazione era stata quella di proporre ai miei compagni di Teatri Uniti di accogliere la proposta di Borgna come gruppo, di vivere l’avventura romana tutti insieme. Borgna non avrebbe rifiutato. Ma il gruppo decise di no. Se mi dimisi da Teatri Uniti (senza alcun paracadute: era casa mia e pensavo sarebbe stato semplice farvi ritorno) fu dunque solo per evitare un conflitto di interessi: era mia intenzione non separarmi dal gruppo che avevo fondato ma al contrario considerare il lavoro di Servillo e di Teatri Uniti (Neiwiller purtroppo non c’era più) una delle colonne del nuovo corso che il Teatro di Roma avrebbe intrapreso sotto la mia direzione a trazione assembleare.
Toni portò al Teatro India “Le false confidenze” e realizzò all’Argentina una magnifica produzione di “Tartufo” (pubblico in palcoscenico e platea vuota: un azzardo che gli sarebbe stato impossibile in un teatro stabile convenzionale). Interpretò Creonte nel mio “Edipo re” e insieme mettemmo in cantiere “I dieci comandamenti” di Raffaele Viviani.
Nel giro di un paio d’anni le cose cambiarono. La situazione politica italiana cambiò e il nuovo corso del Teatro di Roma venne visto come una esperienza che andava chiusa, si voleva un ritorno all’ordine, per me cominciarono tempi difficili. Nel frattempo Paolo Sorrentino aveva coinvolto tutti i componenti di Teatri Uniti nel suo primo film e così il progetto de “I dieci comandamenti” fu da loro abbandonato. Non mi persi d’animo, rifondai ancora una volta un collettivo che è rimasto leggendario (basta nominare il tridente Mascia/Scarpetta/Imparato) e con la messa in scena dell’ultimo, grande testo di Viviani chiusi l’esperienza al Teatro di Roma.
Il ritorno a casa fu più complicato del previsto, anzi impossibile. Ormai Teatri Uniti aveva cambiato la sua natura, si era consolidato come compagnia intorno al lavoro di Toni e la mia visione fatta di continue aperture sarebbe stata in netta contraddizione. Così, e solo allora, i nostri percorsi si sono divisi. Per fortuna non la nostra amicizia né la nostra collaborazione: con Toni Servillo, Andrea Renzi, Roberto De Francesco abbiamo continuato a lavorare insieme e abbiamo in mente ancora nuovi progetti.
Io ho portato altrove la mia visione nomade, assembleare del procedere artistico (che era lo spirito fondativo di Teatri Uniti), continuando a creare nuovi gruppi e a confrontarmi con nuove comunità, mentre Curti e Servillo hanno lavorato all’opposto, tenendo fermo e rafforzando il proprio baricentro, coltivando con grande sapienza un nucleo stabile di registi e attori. Se verrà affidata a loro la direzione dello Stabile di Napoli dopo la direzione di De Fusco sarà una cosa bella e importante, per tutte le ragioni che hai scritto e che condivido.
Grazie dell’attenzione, un saluto carissimo.
Mario Martone
Berlino, 23 marzo 2018».