Quelle voci di Eduardo
che riscrivono Shakespeare

Le marionette di Miranda e Ferdinando ne «La tempesta» dei Colla

Le marionette di Miranda e Ferdinando ne «La tempesta» dei Colla

Nell’ambito del Forum Universale delle Culture, è andato in scena all’Acacia, e per la prima volta in versione integrale a Napoli, l’allestimento, realizzato dalla Compagnia Marionettistica «Carlo Colla e Figli», de «La tempesta» tradotta in napoletano antico da Eduardo De Filippo e con la voce registrata dello stesso Eduardo che interpreta tutti i personaggi tranne quello (affidato a Imma Piro) di Miranda. E ancora una volta mi è tornato in mente il passo del romanzo incompiuto di Hofmannsthal, «Andrea o I ricongiunti», in cui ho sempre ritenuto che si trovi la chiave di questo spettacolo per molti versi «magico».

La marionetta di Prospero

La marionetta di Prospero

Scrive Hofmannsthal: «La vera poesia è l’arcanum che ci congiunge alla vita, che dalla vita ci separa. Il separare – soltanto se separiamo noi viviamo veramente – se noi separiamo anche la morte è sopportabile, solo quello che è mischiato è orribile». Infatti, Prospero – che aveva voluto mischiare il Tutto: il cielo e la terra, l’anima e il corpo, l’arcano, appunto, e il quotidiano – riesce a ritrovare la propria dimensione umana, e quindi a vivere davvero, solo quando spezza la sua bacchetta magica e dà l’addio agli spiriti e ai folletti: solo quando, cioè, tocca l’estrema saggezza, ch’è quella, giusto, di separare l’umano dal divino.
Ebbene, non è esattamente questo che mette in pratica lo spettacolo di cui parliamo, appunto con la voce registrata di Eduardo da una parte e le marionette dei Colla dall’altra?

La marionetta di Calibano

La marionetta di Calibano

Accade, però, il miracolo della corrispondenza, sul piano simbolico, fra quegli elementi disparati: la traduzione e la voce di Eduardo – la prima ricchissima d’echi, spinta sino alla «parlesia», e la seconda capace di suggerire il carattere dei personaggi anche attraverso un semplice fonema – s’identificano compiutamente con la fantasmagoria dei colori e dei movimenti di quei «corpi» appesi a un filo, e oscillanti fra la Commedia dell’Arte, i cantastorie siciliani e Walt Disney.
Del resto, non diversamente agiscono le musiche di Antonio Sinagra: giustamente attestate su un ritmo onirico e finemente interpretate nelle arie di Ariele da Antonio Murro, a loro volta oscillano fra la barcarola e i ricalchi dall’opera buffa. E così ci ritroviamo davvero nel sogno di Prospero: «Voglio sulo na musica / tènnera / ca trase int’a lu pietto / addò stace lu core / e te lu ncanta!». Per concludere, in quest’occasione il teatro, come ormai rarissimamente capita, riesce a coniugare la profondità concettuale e la levità dell’emozione.

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 9 dicembre 2014)

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