Il cruciverba di Lady Macbeth

Marco Sanna e Francesca Ventriglia in un momento di «B – Tragedies», presentato alla Sala Ichòs
(le foto che illustrano questo articolo sono di Laura Farneti)

NAPOLI – «Macbeth», sangue, insonnia, profezia…
Certo, sono il titolo del gran testo di Shakespeare e le principali parole-chiave che ad esso si riferiscono. Ma qui – in «B – Tragedies», lo spettacolo di Marco Sanna e Francesca Ventriglia che, prodotto da Sardegna Teatro, la compagnia Meridiano Zero ha presentato nella Sala Ichòs – diventano, rispettivamente, l’uno orizzontale («la tragedia scozzese»), l’otto verticale («ne conteniamo dai quattro ai cinque litri»), il ventidue verticale («chi ne soffre non prende sonno») e il diciotto verticale («affermazione che prevede il futuro»). E a chiarire il discorso che così si prende a sviluppare provvede come meglio non si sarebbe potuto il prologo che lo introduce.
Vediamo Marco Sanna e Francesca Ventriglia che, indossando camicie da notte sporche di sangue (e come se non bastasse lei indossa anche un inconfondibile grembiule da macellaio), trasportano da un capo all’altro del palcoscenico ossa e pezzi di carne.
Quindi, finito il prologo, scopriamo subito chi abbiamo di fronte. Sono due vecchi rincoglioniti che, seduti fianco a fianco, rievocano confusamente – sulla traccia di un cruciverba della «Settimana Enigmistica» che lei va risolvendo – i tempi lontani in cui interpretarono, per l’appunto, il «Macbeth». E a un certo punto, si scambiano queste battute: Lei: «Uh, il teatro, il teatro… che bella cosa il teatro, anni di sacrificio e di gelo… ma che bello il teatro!» – Lui: «E come eravamo giovani a teatro… ti ricordi? e quando uno è giovane un poco delira… poi arriva l’età matura e si mette la testa a posto…» – Lei: «E non si fa più teatro…».
In breve, se il prologo invera perfettamente il sottotitolo dell’allestimento («Trilogia shakespeariana trash»), già quest’attacco ne svela e sottolinea l’intento: un affondo – insieme divertito e spietato – contro la mistica del teatro e la realtà odierna del teatro medesimo, che per contro è stato ridotto a un museo in cui si espongono sempre gli stessi quadri, sempre nelle stesse sale e appesi sempre allo stesso modo.
I «quadri» presi di mira nella circostanza sono, con «Macbeth», «Amleto» e «Otello». E l’idea centrale che regge l’impianto drammaturgico – ad un tempo intelligente e intrigante – sta nell’interscambio continuo fra i personaggi delle tre tragedie in questione e gli attori che li hanno interpretati in passato, come si è visto, o si apprestano ad interpretarli oggi. E qui lo spettacolo, assumendo un andamento da gioco delle scatole cinesi, tocca un secondo e più profondo livello di senso: gli attori sono spinti a interpretare quei personaggi dal bisogno di lavorare, ma nello stesso tempo non possono non pensare che – con tutta probabilità, date le pratiche correnti – la loro prestazione lavorativa li porterà a impantanarsi nella morta gora del già fatto e del già detto: in una parola (e nella migliore delle ipotesi), nel più insignificante e noioso manierismo.

Marco Sanna in un altro momento dello spettacolo, prodotto da Sardegna Teatro

Marco Sanna e Francesca Ventriglia lo dicono senza dirlo, nella maniera più icastica possibile: ogni volta che lui pronuncia la parola «lavoro» lei viene colta da un conato di vomito. E il complessivo quadro concettuale che ho cercato di descrivere, già notevole di per sé, viene ulteriormente potenziato da alcune delle più belle invenzioni che mi sia capitato di riscontrare a teatro negli ultimi tempi. Ne cito tre, una per ciascuno dei testi qui vivisezionati.
Alla fine della sequenza relativa a «Macbeth», Francesca Ventriglia si abbandona a una danza smarrita e barcollante sul filo de «La bohème» cantata da Aznavour: «Vita da zingari, vita da zingari, / questo voleva dire essere felici. / Vita da zingari, vita da zingari, / mangiavamo un giorno su due. / Nei caffè vicini / ci sentivamo qualcuno / in attesa della gloria. / Ed anche se miserrimi, / con la pancia vuota, / non smettevamo di crederci».
L’esempio vale a dimostrare che in «B – Tragedies» accade pure che la smitizzazione e il sarcasmo s’abbraccino con la coscienza del proprio statuto umano e sentimentale. E questo fa dello spettacolo di cui parliamo un autentico, piccolo gioiello: ch’è capace di ridestare il nostro spirito critico e, contemporaneamente, di costringerlo nella gabbia di un umorismo che gl’impedisce di snaturarsi nella retorica. Valga, in proposito, il finale della sequenza relativa ad «Amleto».
Dopo aver scavato da un monticello di terra il suo bravo teschio, il fatidico principe di Danimarca s’appresta a pronunciare il monologo che l’ha reso celebre (e proverbiale) attraverso i secoli e in ogni parte del mondo. Ma ecco che, inopinatamente, s’infila in una giacca a quadrettini di lamé e si lancia in un assolo che parte come un’esibizione da neomelodico doc nella più spudorata delle feste di piazza e sfocia, in seguito, nell’invettiva del più incazzato rapper che si possa immaginare.
Infatti, il nostro inedito Amleto esordisce trasformandosi in un improbabile «zappatore» alla Mario Merola («Felicissima sera / a tutte ‘sti signure ‘ncruvattate…»), ma ben presto aggiunge al suo immarcescibile dilemma la sortita a rotta di collo: «Essere o non essere il problema è sempre quello il nodo la questione se sia un male o se sia un bene sopportare ‘sti ccatene o se invece pazzia’ e per farmi ‘sta domanda m’ho spremuto le cervella cu ‘sta cazz’e tarantella. Una vita per capire ‘sta strunzata che vuol dire. La vita è ‘na farsa ‘nu dramma ‘nu suonne sia meglio morire dormire o fuggire oppure piglia’ l’arme contr’a ‘sta gente o invece piglia’ ‘e mazzate e murì. La vita è ‘nu suonno oppure so’ ‘e suonne ca fanno campa’ ‘sti cretini ‘sti strunze invece che fare lo scemo di corte io voglio sfidare questa malasorte. M’è sfuggito ‘stu cuncetto m’ha vuttato ‘a copp’ ‘o lietto e non riesco più dormire, mi arrovello mi ci impegno poi sfinito io mi arrendo e mi butto sul sofà, sale e scende la marea tutto copre tutto crea come dice Sandokan ma quello fotte con Marianna e a me rimane ‘sta condanna. La vita è ‘nu suonno oppure so’ ‘e suonne ca fanno campa’ ‘sti cretini ‘sti strunze invece che fare lo scemo di corte io voglio sfidare questa malasorte. Grazie, grazie, un abbraccio circolare a tutto l’hinterland. Siete bellissimi. Grazie, grazie, voi siete la benzina che fa andare il cuore mio!».

La sequenza conclusiva, relativa all’«Otello»

Il significante ossimoro che accoppia la smitizzazione e il sarcasmo con la coscienza del proprio statuto umano e sentimentale si ritrova, poi, anche nella terza sequenza che propongo a titolo d’esempio, quella relativa a «Otello». Marco Sanna e Francesca Ventriglia, nella veste di due attori che (forse) interpreteranno la storia del Moro e di Desdemona, si trovano a Cipro, per il momento senza niente da fare. E Marco dice: «Leggevo dei nuovi bandi, alcuni sono davvero interessanti. Il più plausibile mi sembra “Teatro dentro casa”, sono dieci anni di residenza a casa tua, ovviamente a tue spese, senza mai uscire, senza guardare fuori dalla finestra. Chi resiste potrà raccontare la sua esperienza su un blog». Con il seguito di un davvero vertiginoso slittamento di senso.
Il fiato che Otello aveva tolto a Desdemona soffocandola con un cuscino cede il passo a quello che lui immette in un pupazzo gonfiabile con le sue fattezze. E Desdemona/Francesca, indossando un abito bianco con la crinolina che reca sulle spalle la scritta «Help me», sbuca «rediviva» dalle quinte e si «annulla» tra l’estatico e il disperato in un ballo con quel pupazzo. Davvero credo che si tratti del compimento e dell’esaltazione più feroci e insieme più toccanti di tutto il discorso svolto in precedenza.
Non spreco parole, infine, sulla bravura in quanto attori di Marco Sanna e Francesca Ventriglia. E piuttosto, chiudo sottolineando che il valore di questo spettacolo sta nel fatto che riguarda la necessità ineludibile su cui non mi stanco d’insistere: quella di una riflessione su che cosa, oggi, possa e debba essere il teatro.

Enrico Fiore

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2 risposte a Il cruciverba di Lady Macbeth

  1. Marco Sanna scrive:

    È stato davvero un piacere averla conosciuta. Grazie per le bellissime parole che ci ha dedicato. A presto, speriamo.
    Marco Sanna e Francesca Ventriglia.

  2. Enrico Fiore scrive:

    Anche per me è stato un piacere conoscervi. Mi sono sempre schierato dalla parte dei teatranti che mettono in discussione il teatro in quanto abitudine. E quindi spero a mia volta di tornare presto ad incontrarvi.
    Enrico Fiore

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