Gloria e rovina di un giornale-partito

Elena Arvigo in un momento di «Una storia al contrario», in scena nel Ridotto del Mercadante
(la foto è di Manuela Giusto)

NAPOLI – «Non riuscivo a credere che fosse accaduto davvero. La società che pubblicava “l’Unità” aveva detto no all’unica proposta di acquisto seria». E poi: «Eppure, un vero giornale di sinistra, con pagine dedicate a inchieste, interviste, articoli di intellettuali e artisti, io credo che avrebbe trovato un suo spazio. Il Paese ne aveva bisogno e politicamente era il momento giusto».
Ecco, mi sembrano questi i passi-chiave di «Una storia al contrario», il monologo, tratto dal libro omonimo di Francesca De Sanctis, che Elena Arvigo presenta ancora domani sera nel Ridotto del Mercadante: il primo è un’amara constatazione, il secondo un tentativo di opporre a quell’amara constatazione la fede riaffermata in certi ideali e la speranza che essi potessero ritrovare, nonostante tutto, un terreno fertile.
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Mattatrice la solitudine

Arne De Tremerie in un momento di «The Interrogation» di Milo Rau, in scena al Mercadante
(la foto è di Michiel Devijver)

NAPOLI – Riporto il commento pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Come si ricorderà, l’anno scorso demmo ampio risalto al merito che s’è conquistato Roberto Andò nel colmare la lacuna costituita dal fatto che a Napoli non era mai arrivato uno spettacolo di Milo Rau. Ed ora ci siamo: da stasera a domenica sarà in scena al Mercadante «The Interrogation», il primo dei due allestimenti (l’altro è «The Repetition», che vedremo dal 19 al 20 aprile) del grande regista svizzero compresi nella stagione del nostro Stabile.
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Un gabbiano chiamato Foster Wallace

Giovanni Cannata e Petra Valentini in un momento di «Come tremano le cose riflesse nell’acqua»
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Masiar Pasquali)

MILANO – È notte. Trepliòv batte sui tasti del computer: «Un gatto è veramente saltato da un ramo all’altro davanti alla mia finestra, ora, mentre lo stavo scrivendo, adesso, un gatto è saltato da un ramo all’altro. Avrebbe mai saltato da un ramo all’altro se non l’avessi scritto?». E nel frinire delle cicale parte uno scambio di messaggi tra lui e Nina, con le seguenti battute iniziali: Nina: «Ti domando perché scrivi» – Trepliòv: «Rispondo che in principio era il Verbo» – Nina: «Ti domando di nuovo e seriamente perché» – Trepliòv: «Ti rispondo che è come se mi chiedessi perché vivi».
Così, fra l’altro, il prologo di «Come tremano le cose riflesse nell’acqua», il testo di Liv Ferracchiati che – ispirato a «Il gabbiano» di Cechov e garantito dalla preziosa consulenza letteraria di Fausto Malcovati – il Piccolo presenta nel Teatro Studio Melato. Ma, prima di affrontarne l’analisi, torno a ripetere quanto già in varie occasioni mi è capitato di scrivere a proposito di Cechov in generale e di quel suo capolavoro in particolare. E muovo ancora una volta da «Teoria del dramma moderno», il saggio di Peter Szondi che Cesare Cases, nell’introduzione alla prima edizione italiana (Einaudi, 1962), collocò, giustamente, tra «le poche opere veramente utili alla comprensione della genesi e delle prospettive dell’avanguardia».
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San Ferdinando: il teatro/Eduardo

La facciata del San Ferdinando, il teatro di Eduardo De Filippo

NAPOLI – Riporto la rievocazione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Come volevasi dimostrare, anche il settantesimo anniversario del San Ferdinando è finito nelle sabbie mobili della retorica patriottarda e della propaganda spicciola, ad onta dei paroloni spesi per mascherare questa e quella. E così sono rimasti in ombra, se non completamente cancellati, molti dei temi decisivi che riguardano il rapporto fra Eduardo e il teatro in questione. A partire dalla domanda: perché Eduardo volle il San Ferdinando?
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Wonder Woman stuprata

Un momento di «Wonder Woman», presentato all’Astra di Torino
(questa e le altre foto che illustrano l’articolo sono di Andrea Macchia)

TORINO – Riporto la recensione dello spettacolo di Antonio Latella «Wonder Woman», pubblicata oggi dal «Corriere del Mezzogiorno».

Debuttò nel settembre del 2021 allo Staatstheater di Cottbus, il teatro di stato del Brandeburgo. E adesso, nel suo primo allestimento italiano, è andato in scena all’Astra di Torino, per la produzione di Teatro Piemonte Europa.
Parlo di «Wonder Woman», il testo di Antonio Latella e Federico Bellini di cui già ci occupammo, ampiamente, in vista del battesimo in Germania. Va sottolineato che risulta oggi di un’attualità ancora maggiore, perché – al di là dello stillicidio di stupri «normali», che imperversano fino a presentarsi come un’abitudine – verte su uno stupro clamoroso. E tale, s’intende, non di per sé, ma in ragione dell’incredibile sentenza che venne emessa nella circostanza.
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Un poeta in scena

Enzo Moscato

NAPOLI – Riporto il ricordo di Enzo Moscato pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Con Enzo Moscato se n’è andata una parte di me. È una frase fatta, lo so. Una delle innumerevoli frasi fatte con cui cerchiamo disperatamente, e inutilmente, di esorcizzare o mascherare la «vita menzognera» (per dirla con Montesano) che oggi ci tocca. Ma nel mio caso incarna un brandello di vita vera, e ad un tempo confortante e sofferto.
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Una Fata contro Pinochet

Lino Guanciale in un momento di «Ho paura torero», in scena al Piccolo Teatro Grassi
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Masiar Pasquali)

MILANO – Riporto la recensione pubblicata ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Non è un caso che sia Alejandro Tantanian a firmare la trasposizione teatrale di «Ho paura torero», in scena nel Piccolo Teatro Grassi per la regia di Claudio Longhi. Non lo è, tanto per cominciare, in forza del prezioso sodalizio che lega Tantanian, figura di riferimento del teatro contemporaneo argentino, e Longhi, oggi direttore del Piccolo e che, da direttore di Emilia Romagna Teatro, nel 2020 firmò la regia dell’allestimento del bellissimo e profondissimo testo di Tantanian «Il peso del mondo nelle cose».
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Quella Jennifer/Napoli

Daniele Russo in un momento de «Le cinque rose di Jennifer»

NAPOLI – Riporto il commento pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Nel dicembre scorso, presentando il suo allestimento di «Ferdinando», Arturo Cirillo accusò registi e attori di non proporre più spesso i testi di Ruccello. Ma, comunque la si valuti, certamente quell’accusa non tocca il Bellini: che ospitò per nove giorni il citato allestimento di Cirillo e adesso, da domani a domenica, riprende a generale richiesta la messinscena de «Le cinque rose di Jennifer» firmata dai fratelli Russo, Gabriele per la regia e Daniele per l’interpretazione.
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Il lotto con il pappagallo

Sergio Castellitto in una scena del film di Edoardo De Angelis tratto da «Non ti pago»
(la foto è di Federico Vacca Massaro)

NAPOLI – Riporto il commento pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Non c’è due senza tre, davvero. Dopo averci ammannito (con i film tratti da «Natale in casa Cupiello» e da «Sabato, domenica e lunedì») una rilettura di Eduardo oscillante fra il cervellotico e il folcloristico, il regista Edoardo De Angelis, alla terza puntata della sua personalissima trilogia dedicata al teatro di quel grande autore, il film tratto da «Non ti pago» e andato in onda l’altra sera su Raiuno, non si è smentito, e ha battuto la stessa strada con una coerenza e una decisione da Guinness dei primati. A cominciare dalle sue invenzioni zoomorfiche.
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Se i biscotti sono ricordi

Marina Confalone in un momento de «La scatola di biscotti», in scena al San Ferdinando
(questa e le altre due foto che illustrano l’articolo sono di Serena Petricelli)

NAPOLI – Riporto il commento pubblicato ieri dal «Corriere del Mezzogiorno».

Parlerò, adesso, de «La scatola di biscotti», il nuovo testo teatrale di Maurizio de Giovanni che – in un allestimento prodotto dal Teatro di Napoli, con Marina Confalone nel ruolo principale – sarà in scena al San Ferdinando da stasera al 7 gennaio. Ma debbo fare una premessa.
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