Se Paolo e Francesca
annunciano l’avvento
di Al Fayed e Lady Diana

 

I protagonisti di «Inferno Novecento»: da sinistra, Sandro Lombardi e David Riondino

I protagonisti di «Inferno Novecento»: da sinistra, Sandro Lombardi e David Riondino

FIRENZE – «L’interpretazione figurale stabilisce fra due fatti o persone un nesso in cui uno di essi non significa soltanto se stesso, ma significa anche l’altro, mentre l’altro comprende o adempie il primo. I due poli della figura sono separati nel tempo, ma si ritrovano entrambi nel tempo, come fatti o figure reali».
Mi è tornato subito in mente, il principio cardine su cui ruota il metodo figurale di Auerbach, mentre nel cortile del Museo del Bargello assistevo a «Inferno Novecento», lo spettacolo di Federico Tiezzi su drammaturgia di Fabrizio Sinisi: e non solo, ovviamente, perché il grande critico tedesco fu uno dei maggiori esegeti della «Commedia» dantesca qui richiamata; ma anche, e soprattutto, perché lo spettacolo in parola, più che inverarlo, «diventa» addirittura quel principio.
Infatti, Sinisi stabilisce un confronto fra i principali personaggi dell’«Inferno» e alcune icone del «secolo breve» messe a fuoco in articoli di noti giornalisti e scrittori: e così – tanto per proporre solo gli esempi più eclatanti – Paolo e Francesca incontrano il Dodi Al Fayed e la Lady Diana di Aldo Cazzullo, Pier della Vigna s’accosta alla Marilyn Monroe e alla rivoluzionaria cubana Haydée Santamaria di Giovanni Grazzini e Rossana Rossanda, Ulisse s’incarna nel Pasolini di Enzo Siciliano e Franco Fortini.

Un ritratto di Dante Alighieri

Un ritratto di Dante Alighieri

In tal modo, i personaggi di Dante si pongono come i «progenitori» delle icone del Novecento e queste, a loro volta, ne certificano la persistenza nei secoli e ne garantiscono l’«operatività» reale anche nel nostro presente. Giova considerare, al riguardo, che non a caso San Paolo definì gli ebrei del deserto «figure di noi» (I Cor., 10) e Adamo «figura» del Cristo (I Cor., 15, 21 e Rom., 5, 12). E dunque – poco importa che Sinisi ne abbia o meno coscienza – lo spettacolo di cui parliamo rimanda a un’altra delle decisive interpretazioni della «Commedia», quella di Charles Singleton.
Secondo Singleton, nella «Commedia» ha luogo la rappresentazione di un «doppio viaggio», «un duplice “itinerarium ad Deum”»: un «viaggio letterale», in cui «il protagonista è determinato», è Dante, e un viaggio allegorico, in cui «il viandante è qualsiasi cristiano: l'”homo viator”… Che tale viaggio “hic et nunc” sia una possibilità aperta a tutti, resta il postulato fondamentale e, per Dante, la dottrina su cui egli può costruire l’allegoria della “Commedia”… In nessun punto dell’opera queste cose ultraterrene vengono presentate come visione o come sogno. Queste cose accaddero, e il poeta che fece quel cammino in carne e ossa e le sperimentò, è, ora che è tornato, uno scriba che le registra come avvennero».
Anche in ciascuno di noi, oggi, si determina la stessa compresenza dell’«auctor» e del «viator»: in quanto lettori e interpreti della «Commedia» siamo suoi «autori» al pari di Dante e in quanto verificatori dell’impatto di quell’interpretazione nella quotidianità siamo a nostra volta «viaggiatori».
Superfluo, a questo punto, sprecare parole sulla prova maiuscola dei due interpreti in campo, sapientemente orchestrata dalla regia di Tiezzi e adeguatamente sostenuta dalle musiche eseguite in scena a cura del Conservatorio Cherubini di Firenze. Basta osservare che Sandro Lombardi ribadisce la strepitosa bravura che già dimostrò nel 1991, al Petruzzelli di Bari, come protagonista del «Paradiso» riscritto da Giovanni Giudici col sottotitolo «Perché mi vinse il lume d’esta stella»; e che David Riondino, con la voce e la chitarra, assicura anche il necessario straniamento, trasformando in ballate alla De André i passi che potrebbero aprire un varco alla retorica e al sentimentalismo.

Vittorio Russo

Vittorio Russo

Infine, voglio dire che questo spettacolo è prezioso perché mi suscita, ancora una volta, il ricordo di Vittorio Russo. Troppo presto scomparso, è stato uno degli ultimi maestri, forse l’ultimo, dell’Università di Napoli. Fummo amici, e comunisti insieme. E fu lui, filologo d’alto rango, che m’insegnò a leggere Dante e, così, a cogliere il brivido di una bellezza perenne.
Raccontai, in un articolo scritto per «Paese Sera», che una mattina Napoli s’era svegliata di fronte a un incredibile miracolo: durante la notte uno strano «indiano metropolitano» aveva istoriato con i versi della «Commedia» tutto il muro del porto, proverbiale fiera di vizi e scartiloffi. E Vittorio, nell’ambito del ciclo di «Letture classensi» tenuto a Ravenna nel 1979, così commentò l’episodio: «Nessuno, credo, oggi può osare sperare di ritrovare Dante solo nei silenzi chiostrali o nella penombra delle biblioteche. Rischierebbe di incontrarlo in qualche stilema di Franco Fortini o nelle ultime pagine di Pier Paolo Pasolini, già intrise di disperazione e di sangue, o nell’attesa di un giovane barbuto, o ancora, come pure è avvenuto, in alcune scritte rosse sui muri delle università e delle strade, e non essere più in grado di riconoscerlo».
Ebbene, «Inferno Novecento» non è, esattamente, quel commento di Vittorio Russo? Accade molto di rado che il teatro si confonda con la vita. E quando accade, come in questo caso, s’accende una piccola consolazione, una fiammella che – al pari della poesia di Trakl – brilla di una luce più intensa un attimo prima del buio.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

Lo spettacolo resterà al Museo del Bargello fino a lunedì 1 giugno. Le tappe della tournée fissate al momento sono le seguenti: Castello Pasquini di Castiglioncello (24 giugno), Teatro Romano di Nora (12 luglio), Castello di Scarlino (19 luglio), Sacro Monte di Varese (23 luglio), Castello Lusuolo di Mulazzo (28 luglio), Sala Grande di Lugano (16 ottobre).

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