Sulla tragedia proposta da De Fusco
nello Stabile/instabile di Napoli
trionfa una farsa che non fa ridere

Luca De Fusco

Luca De Fusco

Mentre il direttore Luca De Fusco annuncia una sua «Orestea», sui palcoscenici dello Stabile di Napoli, appena insignito della qualifica di Teatro Nazionale, trionfa invece la farsa. Però, a dispetto della tradizione (leggi Petito e Scarpetta) di cui si riempiono la bocca ad ogni piè sospinto i responsabili dello Stabile medesimo, i loro mallevadori politici e i loro corifei piazzati nel giornalismo e fra gl’intellettuali, è una farsa che non fa ridere, provoca solo mestizia e, soprattutto, noia.
Dunque, avrei fatto volentieri a meno di occuparmene. Ma giovedì sera, alla «prima» nel teatro Storchi di Modena di «Ti regalo la mia morte, Veronika», il nuovo e bellissimo spettacolo di Antonio Latella (un gran talento nostrano che, non dimentichiamolo, è costretto a lavorare lontano da Napoli), sono state talmente tante le frecciate ironiche rivoltemi su quanto sta accadendo a Napoli che non posso esimermi da qualche commento, sia pure breve e scontato.
Tralascio, per cominciare, il chiacchiericcio inconcludente che circa le vicende dello Stabile/instabile napoletano continuano a partorire i soliti imbonitori in servizio permanente effettivo travestiti, per l’appunto, da giornalisti e da intellettuali. E a proposito di questi ultimi mi limito a ricordare ancora una volta quel che di loro dice il troppo sottovalutato sociologo Gilberto Marselli: a Napoli la parola «intellettuale» non deriva, come in qualsiasi altra città del mondo, dal verbo latino «intellegere», che significa capire, pensare e formarsi un’idea, ma dalla locuzione dialettale autoctona «’int’ ‘o lietto», che significa alla lettera dentro il letto e sul piano della metafora il pigro crogiolarsi fra le comodità e le prebende garantite dal proprio ruolo istituzionale o professionale.
Questi intellettuali, infatti, stanno lì a dormire (nel senso che stanno a badare ai loro affarucci) tutti i santi giorni, salvo schizzare immediatamente in piedi ogni volta che siano chiamati ad esprimere un parere (lautamente pagato, s’intende) sullo scibile umano, senza distinzione alcuna di settore e di materia. E il bello (cioè il brutto) è che nella fattispecie (cioè nel campo del teatro) la prosopopea di tali pedanti risulta davvero fondata sul nulla: giacché, ovviamente, non si può parlare del teatro senza vederlo; e capita solo in occasioni rarissime che i signori in questione si materializzino nelle sale cittadine, anche alle «prime» che, secondo logica, dovrebbero essere (mi si passi il gioco di parole) i primi a frequentare in ossequio alla loro immarcescibile vanagloria.

Il sindaco Luigi de Magistris

Il sindaco Luigi de Magistris

Ma veniamo al dunque, ovvero alla diatriba in corso fra il Comune di Napoli e il consiglio di amministrazione del napolitano Stabile/instabile predetto. E certo, nessuno può ignorare le lacune e le omissioni che sul versante culturale ha manifestato e manifesta la direzione di Luca De Fusco. Contemporaneamente, però, nessuno può illudersi di combattere Luca De Fusco utilizzando contro di lui armi spuntate e, peggio, abbandonandosi alle sue stesse discutibilissime pratiche.
Leggo che il sindaco de Magistris ha dichiarato dai microfoni di Radio Club 91: «Sia chiaro, non vogliamo poltrone nel consiglio d’amministrazione dello Stabile-Teatro Nazionale, quei posti sono da assegnare solo al mondo della cultura». E immediata e assolutamente spontanea sorge allora una domanda precisa: Patrizio Rispo – proposto dal Comune perché occupi proprio una di quelle poltrone – appartiene al «mondo della cultura»?
Intendiamoci, Patrizio Rispo è persona rispettabilissima, e oltretutto mi legano a lui, da molti anni, un amichevole rapporto e anche un affetto: sin da quando esordì (e me ne occupai con entusiasmo sulle pagine di «Paese Sera») negli spettacoli di Ettore Massarese («Petito… una parodia» e «Un sogno bruscamente interrotto»), assai poco gratificanti sotto il profilo economico. Ma in seguito Patrizio Rispo, a parte qualche ruolo di contorno che gli assegnò Valeria Moriconi negli allestimenti di cui lei era protagonista («Filumena Marturano», «Madame Sans-Gêne», «La raccontastorie»), non risulta che, sostanzialmente, abbia fatto altro che interpretare il ruolo del portiere Raffaele nella soap «Un posto al sole».

Patrizio Rispo

Patrizio Rispo

Buon per lui, quella soap ha finalmente consentito a Rispo, com’egli stesso argutamente commenta, di vedere «la faccia dei soldi». Ma basta il curriculum che ho riassunto perché Rispo venga di punto in bianco cooptato nel «mondo della cultura» di cui parla il sindaco de Magistris? E, venendo in particolare all’oggetto di questo commento, che cosa garantisce che Patrizio Rispo, se effettivamente nominato membro del suo consiglio d’amministrazione, potrà dare un contributo sensibile – e sul piano delle idee e su quello dell’organizzazione – al Teatro Stabile-Teatro Nazionale, organismo quant’altri mai complesso e che necessita, per poter essere gestito al meglio, di competenze specifiche e di un’esperienza adeguatamente lunga?
Al di là di questo, però, s’affaccia un’ipotesi ben più inquietante. Che, cioè, la faccenda vada valutata a prescindere dalla persona di Patrizio Rispo. Che, in altri termini, la scelta di Patrizio Rispo traduca una certa concezione del teatro: quella di un teatro basato sul consumo passivo e «indolore», il tipo di consumo, appunto, perseguito e indotto dalla televisione. Il che, del resto, collima perfettamente con gl’intenti della cosiddetta «riforma» di Franceschini, una «riforma» che, nel più puro stile democristiano, privilegia il teatro «ufficiale» e mette drasticamente al bando la sperimentazione.

                                                                                                                                            Enrico Fiore

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4 risposte a Sulla tragedia proposta da De Fusco
nello Stabile/instabile di Napoli
trionfa una farsa che non fa ridere

  1. Angelo Laurino scrive:

    Carissimo Fiore,
    non che ci sia bisogno di aggiungere altro alla sua lucida visione dei fatti (in particolare per quanto riguarda l’inconciliabilità culturale di Patrizio Rispo con le complessità di un Teatro Pubblico). Ma è comunque strano che la scelta di Rispo sia stata annunciata proprio dal nostro Sindaco, quando lo stesso ebbe modo di confrontarsi con le ragioni di oltre cento operatori del comparto teatrale che, tutti insieme, costituivano l’assemblea delle arti sceniche presieduta un tempo al PAN.
    In ogni caso, al di là dello scivolone di de Magistris il limite è che si sta confondendo l’arroganza e l’invadenza del potere partitico con la Politica. Speriamo ancora che il Teatro sia un bene pubblico e che il politico sia chiamato alla sua sostenibilità, che non è solo economica, e possa essere in grado di fare scelte pertinenti e adeguate di governance.
    Oggi i Consigli d’Amministrazione scaturiscono da nomine che hanno sempre meno valore politico e che invece assumono un peso sempre maggiore nel sistema partitocratico. I loro componenti vengono presentati come “consiglieri”, ma in realtà sono meri esecutori di questo o di quel partito, che decidono non sulla qualità ma sull’appartenenza delle loro “parrocchie”: sono, in breve, sedicenti amministratori chiamati ad “amminestrare”, proprio come se fossero ingredienti indispensabili delle nostre “portate” culturali.
    Eppure Regione, Comune e Città Metropolitana sono già pieni di funzionari, dirigenti e burocrati che potrebbero benissimo assolvere ed essere chiamati al compito della ripartizione pubblica, se a questi ultimi si affiancassero personalità vere dell’arte e della cultura: così come poteva essere con il comitato artistico previsto dallo statuto dell’associazione Mercadante, siffatto per avvalorare la trasparenza della spesa insieme con la qualità delle prestazioni artistiche.
    Penso – forse ingenuamente – che de Magistris possa davvero appellarsi allo statuto, in quanto il Comune è l’Ente proprietario dell’immobile, ed avere quindi strumenti efficaci per intervenire seriamente sulla questione Mercadante. Come pure è probabile che noi stessi dovremmo rifondare pratiche comuni, al fine di ritrovare la nostra “casa”.
    A lei, Fiore, la mia stima e il mio sincero affetto perché sa resistere, malgrado il silenzio dei tanti e l’indifferenza dei più.
    Angelo Laurino

  2. Enrico Fiore scrive:

    Gentile Angelo Laurino,
    La ringrazio della stima e dell’affetto. E mi creda, resistere diventa sempre più difficile e faticoso, proprio perché sta aumentando a dismisura il numero di quelli che tacciono e si crogiolano nell’indifferenza. Ma bisogna tener duro, ad ogni costo. Non a caso ho posto come motto di questo sito una delle battute-chiave di “Aspettando Godot”. Gliela ricordo: “Mi dicevo: Vladimiro, sii ragionevole, non hai ancora tentato tutto. E riprendevo la lotta”.
    Voglia gradire i miei più cordiali saluti.
    Enrico Fiore

  3. Patrizio Rispo scrive:

    Caro Enrico,
    solo per caso, cercando un tuo articolo sulla grande Valeria Moriconi, sono capitato sul tuo blog e ho letto questo articolo. D’impulso ti ho solo allegato il mio curriculum che è qualcosa di più di quello che fai intendere, ma stamattina…la domenica fa di questi scherzi…ho deciso di aggiungere qualcos’altro proprio in virtù della stima e dell’affetto che nutro nei tuoi confronti e nel tuo lavoro.
    Mi rammarica leggere quella frase da foyer riguardo al mio aver visto la faccia dei soldi grazie ad “Un posto al sole”. Io sono grato ed orgoglioso di far parte di una produzione che tanto da a Napoli e in termini di occupazione e in termini di immagine solare e positiva della nostra città. Sono grato e felice di fare il mio lavoro con entusiasmo e passione 300 giorni l’anno lanciando messaggi e stimoli non cosi’ banali come può sembrare in una città dove fare il nostro lavoro quando non è divertente o di repertorio è impossibile o di estrema difficoltà, dove ho visto bruciare entusiasmo e voglia di innovare continuamente. Ho prodotto due spettacoli teatrali (“Basso Napoletano” e “Se devi dire una bugia dilla grossa”), ho prodotto un film d’impegno sociale come “L’era legale” con enormi difficoltà e senza nessun rientro economico e tutto questo grazie ad “Un posto al sole” e sempre grazie alla mia amata fiction mi concedo il lusso di presentare i tanti libri di giovani autori napoletani, di partecipare a tutti i cortometraggi che mi offrono giovani filmaker, di fare testimonianze e spettacoli per ospedali e carceri, di avere una sempre più intensa partecipazione al sociale e alla solidarietà della nostra terra. Non so quale sia la tua idea di uomo di cultura, ma non credo sia legata al lavoro che si fa!!! Ho conosciuto operai veri “uomini di cultura” e filosofi “imprenditori della cultura”. Leggo i nomi di tanti consiglieri di amministrazione di Istituzioni ed Enti culturali che niente hanno a che fare con il mio senso della cultura.
    Io spero, laddove dovessi entrare nel consiglio del Mercadante, di fare qualcosa per i miei tanti colleghi bistrattati, ignorati o costretti a fare le solite macchiette e spero come te di vedere lavorare qui da noi talenti come Latella, De Fusco, Cerciello, De Rosa e tanti altri che non riescono ad emergere.
    Ti abbraccio con l’affetto di cui mi sai capace.
    Patrizio Rispo

  4. Enrico Fiore scrive:

    Caro Patrizio,
    io non ho inteso affatto criminalizzare “Un posto al sole” e gli attori che, come te, vi hanno preso e vi prendono parte. Mi sono soltanto permesso di osservare che esistono una certa differenza e una certa distanza fra “Un posto al sole” e un’istituzione quale il Teatro Stabile di Napoli, che, per giunta, ha di recente ottenuto la qualifica di Teatro Nazionale.
    Per amministrare un’istituzione del genere occorrono competenze specifiche che si possono acquistare unicamente attraverso un considerevole numero di anni di lavoro (costante, non saltuario) nel settore del teatro di prosa. E non mi pare, francamente, che questo lavoro costante e non saltuario nel settore del teatro di prosa sia stato la tua principale occupazione. Tutto qui. E del resto, che da quel settore tu sia stato quasi sempre lontano è dimostrato dalla confusione che fai tra Latella, De Fusco, Cerciello e De Rosa: Latella era già tornato a Napoli, a dirigere il Nuovo, ed è stato costretto ad andarsene dopo nemmeno un anno, quando aveva appena avviato un suo progetto artistico che, guarda caso, è stato poi ricalcato dalla cosiddetta “riforma” della prosa da cui sono nati i Teatri Nazionali; De Fusco sta lavorando e come, a Napoli, tanto che è il direttore del nostro Stabile; Cerciello è stato emarginato perché ha assunto e assume posizioni ideologiche e culturali opposte a quelle di De Fusco; e De Rosa, ricordiamolo, fu fatto fuori, come direttore dello Stabile di Napoli, proprio per far posto allo stesso De Fusco.
    Mi vuoi far credere che tu, da semplice consigliere d’amministrazione non particolarmente esperto d’intrighi siffatti, e privo (suppongo) del potere di neutralizzarli, pensi di riuscire a mettere ordine in un simile coacervo di veti contrapposti e interessi particolaristici, tipici di una vera e propria guerra di clan? Io te lo auguro, naturalmente. Ma consentimi di nutrire al riguardo qualche dubbio: sulla base del mezzo secolo e passa che ho trascorso facendo il critico teatrale in assoluta indipendenza e, forse, non senza merito. A cominciare da quando, ripeto, venni a recensire “Un sogno bruscamente interrotto”, lo spettacolo di Ettore Massarese in cui comparivi essendo, allora, un perfetto sconosciuto.
    Ti ricambio l’abbraccio e l’affetto.
    Enrico Fiore

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