Se Ulisse s’imbarca sulla Costa Romantica

Teresa Mannino

Teresa Mannino

Che cos’hanno in comune Ulisse e la Costa Romantica? Hanno in comune Teresa Mannino. E non solo, ovviamente, perché compaiono entrambi nello spettacolo, «Sono nata il ventitré», che l’attrice palermitana presenta ancora oggi al Bellini, ma anche e soprattutto perché costituiscono, insieme, un esempio decisivo dell’espediente-chiave adottato dalla stessa Mannino prima nel testo, scritto in collaborazione con Giovanna Donini, e poi, in quanto regista e interprete, sul piano espressivo.
Si tratta, in breve, della reazione stabilita fra il mitico o il proverbiale da un lato e la quotidianità o la cronaca dall’altro: e di una reazione che trae forza (leggi una comicità straripante) dal combinarsi inesausto dello slittamento di senso e dell’iperbole paradossale. Infatti, a Ulisse sarebbero bastati dieci giorni per andare da Troia ad Itaca. E invece ci mette dieci anni, in pratica facendo, per l’appunto, lo stesso giro della Costa Romantica.
Insomma, nella circostanza si utilizza l’«Odissea» per parlare delle questioncelle nostre di oggi, sociali, familiari, sessuali o culturali che siano. Giacché, per restare all’esempio citato, quest’Ulisse se la merita abbondantemente la risposta inviperita di Penelope: ma come, te ne sei stato lontano dieci anni, costringendomi al digiuno, e adesso te ne vai di nuovo e per giunta mi ammazzi tutti i Proci, senza lasciarmene nemmeno uno?
Altro che eroe. Ed è inutile, per le donne, illudersi. Se il marito o il compagno si concede la solita scappatella e per giustificare la sua assenza dichiara ch’è andato a giocare a golf, non sta mentendo, sta semplicemente dicendo la verità nuda e cruda: è andato proprio a usare una mazza per centrare una buca.
Diavola d’una Mannino, stringe col guanto di velluto della bravura e della simpatia l’acuminato pugnale di un’irriverenza polemica spietatamente corrosiva proprio perché messa in campo senza parere. E non avevo mai visto, peraltro, un monologo trasformato per un’ora e mezzo abbondante in un dialogo senza sosta e senza cali di tensione con gli spettatori, che dal canto loro ribattono colpo su colpo ridendo e riflettendo insieme.
Però non cerca complicità, Teresa Mannino. Dice d’acchito: «Quant’è bella Napoli, pure con la pioggia!» e poi, quando arriva l’applauso, replica: «No, non applaudite: questa era una presa per il culo». Ed è vero che aggiunge subito: «Ho fatto una battuta», ma c’è da chiedersi: è solo una battuta o anche, e specialmente, una frecciata autoironica contro l’insopportabile piaggeria dei teatranti?

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 30 aprile 2015)

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *