Le guarattelle fra Pulcinella e Juliette Binoche

Da sinistra, Irene Vecchia, Bruno Leone e Selvaggia Filippini in «La nascita di Pulcinella»

Da sinistra, Irene Vecchia, Bruno Leone e Selvaggia Filippini in «La nascita di Pulcinella»

Al numero 4 del vico Pallonetto a Santa Chiara c’è un luogo magico: si chiama Teatrino di Perzechella e costituisce il regno (vogliamo dire la trincea?) di Bruno Leone, l’erede del grande maestro guarattellaro Nunzio Zampella. E il primo miracolo lo vedi, e lo assaggi, appena entri, quando lei, appunto Perzechella, ovvero Pina, ti rende partecipe della sua personale reinvenzione del film «Chocolat» sulla base della storia del teatro napoletano.
Per esempio, il cioccolatino afrodisiaco di Juliette Binoche l’ha battezzato «’o scarfalietto». E poi sali le scale e ti trovi – in mezzo alle famiglie venute da tutto il quartiere, travolto dalla festa dei bambini – ad assistere a «La nascita di Pulcinella». Tre diversi Pulcinella dibattono sulle varie ipotesi circa le origini della fatidica maschera, dal racconto di Paolo Cinelli, il vignaiolo di Acerra, al mito di Horus, il dio Falco figlio di Iside e Osiride. E subito dopo cedono il passo alle guarattelle: Pulcinella deve vedersela, nell’ordine, con Cerbero che vuole trascinarlo all’inferno, col diavolo Farfariello che vuole rubargli l’anima e con la Morte, che sfida come il cavaliere Antonius Block de «Il settimo sigillo» ma, naturalmente, sostituendo agli scacchi di Bergman bastoni e coppe benedetti da San Gennaro.
Sicché, ovviamente, stavolta la partita la vince Pulcinella, nel trionfo delle risate e dei battimani di piccoli e grandi. Ed è inutile, adesso, parlare della passione e della bravura di Bruno Leone, affiancato dalle sue straordinarie allieve (ma ormai diventate anch’esse maestre guarattellare) Selvaggia Filippini e Irene Vecchia. Piuttosto, occorre annotare che, nella circostanza, si rinnova – come oggi non accade quasi più – il rito comunitario, ossia l’interazione fra la scena e la platea, ch’è il carattere fondante e imprescindibile del teatro vero: Pulcinella che corre a frugare nella borsa di una spettatrice per rispondere ironico, senza far drammi, al solito cellulare che squilla inopportuno, la giovane mamma che, quando il bambino si mette a piangere, spaventato dalle voci stridule indotte dalla pivetta, in tutta tranquillità tira fuori la mammella e gli dà latte…
Insomma, il pensiero corre a quell’incredibile cultura antica di Napoli, un fiume carsico che non vedi e, però, quando affiora in superficie cattura tutti i bagliori del sole.
Perciò dicevo dei bambini. Forse che un’opera immane e potente come il «Faust» non nacque dal «molteplice ronzio» che nella mente e nel cuore di Goethe avevano lasciato le rappresentazioni di burattini sulla leggenda del celebre mago e taumaturgo che lui aveva visto da ragazzo in occasione di fiere e mercati?
Anna, tre anni, mi ha detto che Peppa Pig le piace, sì, ma le piace di più Pulcinella. E quando le ho chiesto il perché, mi ha risposto senza esitare: «Perché mi piace il presepe». Eccolo, l’ultimo miracolo avvenuto al numero 4 del vico Pallonetto a Santa Chiara. Una bambina di tre anni che percepisce la cultura napoletana, quella profonda, come un corpo unico. E vivo.

                                                                                                                                      Enrico Fiore

(«Il Mattino», 14 gennaio 2014)

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