Amarcord del varietà formato macchietta

Vittorio Marsiglia in un momento de «Il club dei Marsigliesi» (foto di Marco Rambaldi)

Vittorio Marsiglia in un momento de «Il club dei Marsigliesi» (foto di Marco Rambaldi)

«Come il pittore, come il disegnatore, come un artista figurativo, mi ripromettevo di dare al mio pubblico una impressione immediata, schizzando il tipo, segnandolo rapidamente, rendendone i tratti salienti».
Così, fra l’altro, Nicola Maldacea, il principe dei macchiettisti, sintetizzò il proprio credo tecnico ed espressivo: che, poi, è l’unico che possa darsi per quel genere particolarissimo del teatro di varietà, appunto la macchietta, basato sulla mimica dell’interprete piuttosto che sulle parole del testo. Giacché, insomma, la macchietta ha bisogno di un attore. E non è un caso che uno dei massimi specialisti del genere, Nino Taranto, sia stato contemporaneamente anche uno dei massimi specialisti di Viviani, a sua volta macchiettista eccelso.
Valga, tutto questo, come introduzione a «Il club dei Marsigliesi», lo spettacolo su testi di Gino Rivieccio e Gustavo Verde che l’Albertina Produzioni presenta al Diana per la regia dello stesso Rivieccio. Infatti, il mattatore dell’allestimento è, giusto il titolo, quel Vittorio Marsiglia che non solo costituisce l’ultimo macchiettista doc ma, soprattutto, invera perfettamente la sintesi di cui sopra.
In breve, siamo di fronte a un amarcord che ripercorre le tappe salienti della sua cinquantennale carriera: e dunque, riecco macchiette classiche come «E allora» di Armando Gill e «I due gemelli» di Pisano e Cioffi, macchiette scritte dallo stesso Marsiglia e da Gianni Mauro come «Canto malinconico» e «L’appartamento» e, infine, le macchiette che fecero parte del repertorio di Taranto, come «Arcangelo Bottiglia», «Fatte pitta’» e «Il tramviere». Non si tratta, però, di sterile nostalgia, bensì della riproposta di una tradizione capace d’essere tuttora vitale. E può essere tuttora vitale, quella tradizione, proprio in virtù della tecnica dell’interprete.
Solo così si spiega perché facciano ancora ridere, e talvolta irrefrenabilmente, allusioni e doppi sensi vecchi in qualche caso di pressappoco un secolo. E altre risate, per giunta, provocano le frecciate ai vari Grillo e Renzi, le barzellette e gli sketch che intervallano le macchiette con il contributo di Mario Messina al piano e delle «spalle» Lucio Bastolla e Ada De Rosa.
Allora, sono assai condivisibili le parole che al termine della «prima» Rivieccio ha pronunciato fra gli applausi: «Questo repertorio di Vittorio Marsiglia andrebbe tutelato dal ministero dei Beni Culturali, come se fosse il tesoro di San Gennaro o la Cappella Sansevero».

                                                                                                                                             Enrico Fiore

(«Il Mattino», 13 aprile 2014)

Questa voce è stata pubblicata in Recensioni. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *