In viaggio con Lina da Masaniello a Eduardo

Lina Sastri

Lina Sastri

«Recitare in teatro significa in definitiva solo: vivere in fretta, eternamente in fretta! Recensire un attore significa dunque recensire il corso della vita di un uomo».
Niente meglio di questo passo dei «Diari» di Friedrich Hebbel potrebbe inquadrare «Appunti di viaggio», lo spettacolo che Lina Sastri ha presentato al Trianon, e ciò che adesso io ne debbo scrivere. Perché se la maledizione del teatro è che, per sua natura, è costretto a fingere la vita nel momento stesso in cui vive, la benedizione di Lina è che, per una sua grazia misteriosa, è capace di fingere la recitazione nel momento stesso in cui recita. E se uno finge di recitare mentre recita, vuol dire semplicemente che sta vivendo, che la sua recitazione si confonde, sempre e comunque, con la vita.
Bisogna, quindi, parlare del corpo. Giacché la storia di Lina è il corpo di Lina: i momenti alti della sua carriera artistica sono stati non interpretazioni, ma segni; e lei mostra in scena un corpo che è l’insieme di tutti quei segni. A partire dalla mendicante del «Masaniello» di Porta e Pugliese, che – nell’ansito della vertiginosa musica di Roberto De Simone – strisciava dietro lo stendardo della Madonna del Carmine con le ginocchia piegate e l’anima nel sesso.
Ora, poiché nella vita è destino ineludibile il contaminarsi con l’altro da sé, in questo spettacolo gli accadimenti assolutamente straordinari vengono costituiti dalle fusioni. Prima fra tutte quella che si determina sul piano visivo: il vestito nero e l’atteggiamento ritualizzato da un lato e il reiterato stropicciare un lembo di quell’abito dall’altro corrispondono, rispettivamente, alla forma del fado di Coimbra, che è maschile, e del fado di Lisbona, che è femminile.
Ma, poi, arrivano le fusioni sostanziali, quelle riferite ai contenuti. Ed ecco, per esempio, che i brani tratti da «Filumena Marturano» si mescolano con «Napulitanata» e «Canzone appassiunata», ecco che le citazioni da «Il mio cuore è nel Sud» di Peppino Patroni Griffi si legano a «Torno al Sud» di Piazzolla. E altrettanto straordinari sono – nel rendere tali velocissimi cambi d’atmosfera e nel ricondurli subito a un’emozionante unità espressiva – Filippo D’Allio alla chitarra, Salvatore Minale alle percussioni, Salvatore Piedepalumbo alla fisarmonica, al pianoforte e alle tastiere, Gennaro Desiderio al violino e Giuseppe Timbro al contrabbasso.
Le canzoni – dai «classici» napoletani, giusto, a «So’ Bammenella ‘e copp’ ‘e Quartiere» e «’O guappo ‘nnammurato» di Viviani, da «Maruzzella» a «Gracias a la vida» di Violeta Parra e ai brani di Pino Daniele «Assaie» (dal film «Mi manda Picone») e «Napul’è» (come finale) – contrappuntano gli omaggi ai maestri, da Eduardo a, per l’appunto, Patroni Griffi, e i pensieri dedicati a Ninetta, la madre che pure amava cantare, e al padre che un giorno se ne andò in Brasile. E sempre, ripeto, sul filo della velocità.
È veloce Lina Sastri, per accorciare al massimo la distanza fra i momenti del teatro e quelli della vita. E velocissimo era anche Gennarino Palumbo, il più grande attore comico napoletano del secondo Novecento e, non a caso, l’amico che portò Lina da Eduardo. Veloce, Gennarino, forse perché sapeva che la sua vita sarebbe finita presto e, comunque, perché sapeva la breve durata della felicità che donava; e veloce Eduardo nel lanciare nell’agone quella ragazza sottile: a Pupella Maggio, che aveva detto: «Lle dongo i’ quacche cunziglio», replicò: «No, pecché s’abbelisce».
Lina, a un certo punto, ricorda, senza dirne il nome, l’attore napoletano che fu il suo primo fidanzato e le rivelò i segreti del teatro. È Lucio Allocca, tutti e tre insieme mangiavamo la pizza ai tavolini traballanti intorno a porta Capuana. C’era un’altra Napoli. Ma il miracolo è che l’ho rivista, lì sul palcoscenico del Trianon. E così ho riaperto anch’io il cassetto rimasto a lungo serrato dell’«Amara scienza» di Compagnone, e ancora se n’è liberato l’odore della nostra vita.

                                                                                                                                      Enrico Fiore

(«Il Mattino», 16 febbraio 2014)

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