Antonella Stefanucci, «Cavallapazza» guastatrice

Antonella Stefanucci

Antonella Stefanucci

«Quando si entra in un luogo sacro, ogni inquietudine svanisce e la serenità entra in te. Quando si entra in un teatro, si chiudono le porte e si spengono le luci, la serenità svanisce e ogni inquietudine entra in te. Dopo pochi minuti hai già capito che spettacolo è. E nel semi-buio pensi: perché non sono andata al cinema? O all’Ikea? O a fare una bella passeggiata? Vorresti fuggire ma non puoi… ti hanno invitata o hai pagato soltanto il ridotto. Se te ne vai, fai una brutta figura. Soluzioni per non soffrir? Dormiiirrrr!».
È l’attacco di «Cavallapazza», lo spettacolo che Antonella Stefanucci presenta ancora oggi pomeriggio nel Nuovo Teatro Sancarluccio. E come si potrebbe fare a non riconoscervi una lucida e impietosa sottolineatura delle sensazioni che – purtroppo sempre più spesso – assalgono ciascuno di noi? Con ciò, dunque, dico anche di uno spettacolo che, pur essendo molto divertente, si propone (senza parere, e perciò con efficacia maggiore) come la coraggiosa testimonianza di un’attrice/guastatrice sul penoso stato attuale del teatro.
Si tratta, in breve, di un recital che – su testi e per la regia di Domenico Ciruzzi – assembla con ritmo jazzistico monologhi a sé stanti o riferiti ai personaggi (dalla professoressa Scarpone alla Signora Colluso) già proposti dalla Stefanucci nell’ambito di trasmissioni televisive quali «Telegaribaldi» e «Avanzi». E saltano subito agli occhi l’intelligenza e il livello alto, davvero non comuni con i tempi che corrono, dei testi in questione. Testi tramati di battute che non di rado assurgono alla dignità e alla pregnanza di autentici aforismi.
Sentite, per esempio, queste due: «In amore vince chi fugge, ma il problema è essere inseguiti da qualcuno» e «Donne, quando un uomo che ci piace ci corteggia, soprattutto a una certa età, non lo scoraggiamo subito, rivestiamoci!». E agli aforismi si aggiungono, con efficacia ulteriore, non meno fulminei slittamenti di senso. E pure di questi vi offro due esempi: «Me la sono fatta nei calzoni è un racconto di vanterie sessuali tra piattole?» e «Una volta avevo anche degli ideali, perché io ho fatto il ’68… anche perché il 69, francamente, con mio marito non era proprio cosa… troppo corto!».
Ci sono, poi, i mini-racconti basati sul ribaltamento, in ordine, poniamo, o alle frasi fatte o alle differenze di classe. Tipo: «Cominciammo a flirtare, un giorno uno sguardo languido, un giorno uno sguardo tenero, un giorno uno sguardo complice. Un giorno non mi guardò più. Forse il mio amore lo aveva accecato? Nossignore, guardava un’altra… gli cecai tutti e due gli occhi»; oppure: «Elisabetta Gregoraci e Flavio Briatore, rimasti chiusi nell’ascensore dell’Hotel Excelsior, sono stati liberati dopo circa venti minuti. Per lo scampato pericolo, i festeggiamenti dei due tra due giorni. Andrea e Luigia Padulo, rimasti chiusi nell’ascensore della “167” di Secondigliano, sono stati ritrovati dopo circa venti giorni. I funerali dei due tra due giorni».

Antonella Stefanucci nei panni della professoressa Scarpone

Antonella Stefanucci nei panni della professoressa Scarpone

Ora, bisogna rilevare lo stile, anch’esso insolito, con cui Antonella Stefanucci rende simili materiali: è uno stile che risulta dal mélange di simpatia naturale, notevole (ma non esibita) bravura tecnica e, soprattutto, leggerezza quasi minimalistica di movimenti, gesti e sguardi. In poche parole, parliamo di teatro, non di semplice cabaret. Tanto è vero che, nella circostanza, appaiono completamente diversi, e in ogni caso più ricchi e significanti, i «numeri» a suo tempo eseguiti in televisione e, per l’appunto, nella dimensione del semplice cabaret.
Ma vorrei aggiungere – ed è, questa, la considerazione decisiva – che «Cavallapazza» è uno spettacolo che va oltre se stesso. E introduco tale considerazione con il ricordo di Nino Cortese, il grande esperto di Storia del Risorgimento che presiedeva la commissione d’esame quando affrontai la Maturità. Mi chiese se sapessi perché lo Zar di tutte le Russie odiava ferocemente Napoleone Bonaparte. E dopo che ebbi azzardato una serie di risposte tutte lontanissime dalla verità, mi rivelò: «Lo odiava perché era un parvenu, uno senza storia».
Ecco, la consistenza e l’attrattiva dello spettacolo di Antonella Stefanucci nascono dal fatto che lei ha una storia, si porta addosso le esperienze compiute al fianco, mettiamo, di Aldo Giuffré, Riccardo Pazzaglia, Silvio Orlando, Vincenzo Salemme, Gabriele Salvatores, Lamberto Lambertini, Giacomo Campiotti ed Enrico Oldoini. E sono quelle esperienze che oggi la collocano nella scia dei personaggi straordinari che per il Sancarluccio sono passati, primi fra tutti Roberto Benigni e Massimo Troisi.
Anche il Sancarluccio, sì, ha una storia. E i nuovi gestori del teatro potranno ottenere risultati significativi solo se quella storia saranno capaci di rispettarla e, per quanto possibile, appropriarsela.

                                                                                                                                        Enrico Fiore

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