Due figli, Cenerentolo e una madre «en travesti»

Peppe Barra e Biagio Izzo in una scena di «Come un Cenerentolo»

Peppe Barra e Biagio Izzo in una scena di «Come un Cenerentolo»

Stavolta non ripetiamo la solita frase fatta. Quella ch’è protagonista all’Augusteo dello spettacolo «Come un Cenerentolo» (la compongono Biagio Izzo e Peppe Barra) risulta davvero una strana coppia: perché le caratteristiche espressive dei due interpreti, e soprattutto i percorsi artistici che Izzo e Barra hanno alle spalle, sono, fra loro, esattamente e irrimediabilmente opposti. E non si tratta di stilare classifiche o, ci mancherebbe, di giudicare con la proverbiale puzza al naso, ma soltanto di constatare che in scena vediamo mondi separati, che non riescono a fondersi e, perciò, si ostacolano a vicenda.
La trama – che, sulle orme del «Cenerentolo» impersonato al cinema da Jerry Lewis, declina al maschile la favola richiamata dal titolo – si svolge, per la regia di Claudio Insegno, in un albergo della costiera di proprietà della vedova Mercedes Carrozza e dei suoi due figli Massimo e Roberto: ai quali, inopinatamente, viene ad aggiungersi il figliastro Federico Cocozza, appunto il Cenerentolo in questione. E costui è, come dire?, un soggetto ruspante. Il capo del personale dell’albergo, Ofelia, lui la chiama «Ofeta» e, nel dubbio che qualcuno non abbia afferrato, specifica: «’a fetosa».
Peraltro, il copione, firmato dallo stesso Biagio Izzo con Bruno Tabacchini, di «uscite» del genere è appassionatamente prodigo. Tanto per fare un altro esempio, alla confessione di uno dei figli («Mamma, sono gay») la signora Mercedes (all’anagrafe Carmela) replica con un elegante: «Allora si’ ricchione!». E così le invenzioni più alate finiscono ad essere la battuta «I’ songo ‘o frato e nun me puo’ caccia’!» e il nome (Azzurra) e il cognome (Principe) affibbiati alla fanciulla della quale s’invaghisce il nostro Cenerentolo/Izzo.
Completano il quadro le quattro ragazzotte sculettanti travestite da ballerine che altrettanto inopinatamente irrompono ad intervalli più o meno regolari nella hall dell’albergo. E adesso, se vi chiedete che cosa faccia Peppe Barra in un simile contesto, vi rispondo che lo si ritrova quando se ne va in vacanza: quando, cioè, si ritaglia l’assolo, che non c’entra niente con tutto il resto, costituito da un monologo e dalla canzone «Piccere’». E appena lo vediamo e sentiamo, quell’assolo, ce ne andiamo, a nostra volta, per l’appunto in un altro mondo.
Accade già mentre Peppe, nelle vesti di Mercedes, scende la scala come una Wanda Osiris «de noantri». E accade di nuovo, e diventa un brivido sulla pelle e nel cuore, quando intona l’amore che sconfigge il tempo.

                                                                                                                                      Enrico Fiore

(«Il Mattino», 25 febbraio 2014)

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