Se Freud si scontra con un Dio nevrotico

«Il Visitatore» – la commedia di Eric-Emmanuel Schmitt che ha aperto la stagione dell’Acacia – costituisce un caso strano. Vi si racconta di un misterioso personaggio in frac che la sera del 22 aprile 1938 s’introduce nello studio viennese di Freud, mentre il padre della psicanalisi, assediato dai nazisti in quanto ebreo, s’appresta a partire per Parigi. E in una nota al testo, insignito nel ’94 di vari Premi Molière, l’autore commentò: «Ogni spettatore, scendendo le scale alla fine dello spettacolo, deciderà nel suo animo e nella sua coscienza chi è “Il Visitatore”».
Senonché, poi, il testo medesimo ci dice, chiaro e tondo, che «Il Visitatore» è Dio. Infatti, pronuncia battute del genere: «Non sono mai nato», «Non ho età», «Non ho padre» e, come se non bastasse, «Sono il solo della mia specie». E ben poco vale, di fronte a battute tanto significative, l’espediente, del tutto strumentale, di far dichiarare al personaggio in questione che lui, però, potrebbe anche essere un impostore o un pazzo appena fuggito dal manicomio.
Non c’è, dunque, il presunto «giallo» su cui, nella scia del citato (e furbo) commento di Schmitt, continuano a insistere i media. E c’è, invece, la pretesa di affrontare, nessuno escluso, tutti i proverbiali massimi sistemi: il Significato dell’Universo, la Vita, la Morte, la Fede, il Dubbio, il Libero Arbitrio, la Morale, la Scienza, la Politica e così via filosofando.
Allora, Valerio Binasco, regista dell’allestimento de «Il Visitatore» in scena all’Acacia, fa benissimo a puntare soprattutto sulla contrapposizione radicale fra i personaggi: da un lato un Freud in pari tempo lucido, dolente e smarrito e dall’altro interlocutori che – a cominciare proprio da Dio, qui, difatti, connotato da un abbigliamento spudoratamente «casual» – si mantengono costantemente sopra le righe, prigionieri di una nevrosi d’accatto. E così il Freud pretenzioso di Schmitt viene trasformato nel tipico e antieroico intellettuale di oggi, condannato alla solitudine dal silenzio vociante dei beoti che lo circondano.
Ottimo, in proposito, il gioco degli attori in campo: Alessandro Haber (Freud), Alessio Boni (il Visitatore), Francesco Bonomo (l’ufficiale della Gestapo) e Nicoletta Robello Bracciforti (Anna, la figlia di Freud). E insomma, è un lodevole gesto di coraggio, da parte dell’Acacia, aprire la stagione con uno spettacolo del genere, quando pare che tutti gli spettatori vogliano ridere e tutti i teatranti abbiano il dovere di farli ridere.

                                                                                                                                    Enrico Fiore
(«Il Mattino», 2 novembre 2013)

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