Cassandra, le tartarughe (finte) e i fantasmi di Greta e Marlene

Stella Höttler in un momento di «Resurrexit Cassandra», presentato nell'ambito del Napoli Teatro Festival Italia (le foto che illustrano questo articolo sono di Wonge Bergmann)

Stella Höttler in un momento di «Resurrexit Cassandra», presentato nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia
(le foto che illustrano questo articolo sono di Wonge Bergmann)

NAPOLI – S’impone una premessa, a proposito dello spettacolo «Resurrexit Cassandra» (ideazione e regia di Jan Fabre, testo di Ruggero Cappuccio) presentato al Bellini nell’ambito della seconda sessione del Napoli Teatro Festival Italia.
Quella sessione mi venne annunciata e illustrata – con scarsi particolari ma, in compenso, con toni molto pomposi – in un’e-mail spedita dall’ufficio stampa del Festival il 21 agosto. La firmava Massimo Perrino, responsabile del predetto ufficio stampa e del quale veniva fornito un numero di cellulare. E subito mandai a mia volta un’e-mail, in cui chiedevo a Perrino di poter leggere il testo di Cappuccio e di riservarmi un posto alla «prima» di ieri.
Ma non ebbi alcuna risposta. Sicché presi a chiamare Perrino sul cellulare: inutilmente, perché rispondeva sempre una segreteria telefonica; e inutili risultarono pure i numerosi messaggi che lasciai sulla stessa. Allora telefonai alla sede operativa del Festival, in via Generale Orsini, sentendomi dire da un’addetta di parlare con Maya Amenduni, che indicò, fornendomene il cellulare, come «collaboratrice» di Perrino. E la Amenduni mi comunicò quanto segue:
1) Massimo Perrino non rispondeva perché era all’estero;
2) il testo di Cappuccio non potevo leggerlo perché Fabre non voleva che lo si rendesse pubblico.
Obiettai: scusi, ma che c’entra Fabre? il testo non l’ha scritto Cappuccio? E la Amenduni: «Sì, ma Fabre l’ha modificato».
Insomma, e se è vero quel che ha detto la Maya Amenduni, noi spettatori non possiamo sapere che cosa è di Cappuccio e che cosa è di Fabre. Ed io, di conseguenza, non ho potuto sviluppare l’analisi del testo che da sempre costituisce la base imprescindibile delle mie recensioni. Debbo, quindi, attenermi alle note comparse sul sito del Napoli Teatro Festival Italia e alle dichiarazioni rilasciate da Cappuccio nel corso d’interviste varie.
Le note comparse sul sito del Napoli Teatro Festival Italia dicono che «Resurrexit Cassandra», definito da Fabre «un concerto di immagini», è un «assolo in cinque quadri, uno per ogni elemento della natura, simboli esoterici della vita di ognuno di noi» e «attraverso le parole e le emozioni della performer tedesca (Stella Höttler, n.d.r.) ripropone il mito in tutta la sua modernità. La Cassandra contemporanea cerca di parlare agli uomini ancora una volta, avvertendoli del disastro a cui stanno andando incontro, ma, oggi come allora, le sue parole cadono nel vuoto. Nessuno ascolta, non trova complicità negli occhi della gente, neanche un ultimo brandello di fede».

Un altro momento dello spettacolo, ideato e diretto da Jan Fabre su testo di Ruggero Cappuccio

Un altro momento dello spettacolo, ideato e diretto da Jan Fabre su testo di Ruggero Cappuccio

Dal canto suo, Cappuccio ha definito come un «comizio civile» l’insieme delle parole pronunciate dalla sua Cassandra. Ha poi aggiunto che al centro di quel «comizio» c’è «una Terra sull’orlo del collasso ambientale». E ha detto, infine, che la sua Cassandra «spera di liberarsi della condanna delle predizioni».
In breve, questa Cassandra da un lato si presenta come una riedizione di Greta Thunberg e dall’altro ricalca piuttosto evidentemente il romanzo di Christa Wolf, appunto «Cassandra», pubblicato nel 1983. Lo ricalca nella forma, essendo il testo di Cappuccio un monologo così come era un monologo di quasi centocinquanta pagine quel romanzo. Lo ricalca perché questa Cassandra si reincarna attraverso le epoche (diventando di volta in volta, poniamo, una prostituta, un’aristocratica o una deportata nei campi di concentramento) così come la Cassandra protagonista del romanzo della Wolf racconta la propria storia alternandosi fra presente e passato. Lo ricalca perché questa Cassandra che «avverte gli uomini del disastro a cui stanno andando incontro» è assai vicina, così come quella della Wolf, a ciò che la scrittrice tedesca definisce «il punto cruciale, alla nascita della nostra cultura, in cui è cominciata quell’alienazione che adesso ci porta vicino all’autodistruzione». Lo ricalca perché questa Cassandra che «spera di liberarsi della condanna delle predizioni» è un esatto equivalente della Cassandra che nel romanzo della Wolf si chiede e richiede: «Perché volli a tutti i costi il dono della veggenza?», constata che «Il tono profetico è finito. Finito, per fortuna» e, a proposito di Mirina, l’amazzone fedele compagna di Pentesilea, dichiara: «Più di ogni altra cosa mi aveva sempre affascinato in lei l’odio per le mie predizioni». E lo ricalca – last but not least – perché questa Cassandra che «non trova complicità negli occhi della gente» corrisponde perfettamente a quella che, nel romanzo della Wolf, dice: «Prima che moriamo, può darsi che muoia il dolore. Se così fosse, questo sarebbe da raccontare, ma a chi? Qui nessuno, se non quelli che moriranno con me, parla la mia lingua».
Aggiungo che tiro in ballo Christa Wolf perché, se parliamo dell’operazione di far interagire con la modernità personaggi appartenenti al mito greco, quella scrittrice ci ha fornito, con l’altro suo romanzo «Medea», una lezione al riguardo esemplare. La Wolf trasforma il mito della maga «barbara» venuta dalla Colchide in una risentita allegoria dello scarto fra l’attesa di un salto di qualità, in ogni senso, da parte della Rdt e il tradimento di quell’attesa, dopo la caduta del Muro di Berlino, da parte del capitalismo tedesco-occidentale: Medea (leggi la Rdt) scopre che Corinto (leggi la Repubblica Federale Tedesca) non è il paradiso che le avevano prospettato.

Ancora la Höttler in una delle reincarnazioni di Cassandra attraverso le epoche

Ancora la Höttler in una delle reincarnazioni di Cassandra attraverso le epoche

Al contrario, nei sovratitoli in italiano (la Höttler recita in tedesco) i temi annunciati da Cappuccio si riducono al livello molto più elementare della cronaca spicciola: sulla superficie della letterarietà esibita e autoreferenziale che costituisce da sempre il limite della scrittura del Nostro galleggiano in ordine sparso, senza che approdino a un qualsiasi approfondimento drammaturgico, le citazioni, che so, dell’isola di plastica formatasi nel Pacifico, della distruzione progressiva della foresta amazzonica, dell’agonia degli orsi determinata dallo sciogliersi dei ghiacciai. E, per riassumere, il discorso di Cappuccio – sempre stando, ripeto, a quanto trasmettono i predetti sovratitoli – oscilla tra la banalità sentenziosa («La natura torna sempre a reclamare i suoi diritti») e l’invettiva di maniera («Vergogna all’umanità!»).
Per quanto riguarda, poi, l’allestimento da parte di Fabre, che firma, oltre alla regia, anche le luci (insieme con Wout Janssens) e i costumi (insieme con Kasia Mielczarek), esso si svolge sostanzialmente così: 1) l’interprete (brava, non discuto) recita il brano del testo relativo all’elemento della natura di turno stando pressoché immobile al centro del proscenio e adottando, accompagnata dalle musiche oniriche di Arthur Lavandier, un tono alquanto declamatorio; 2) finito il brano del testo relativo all’elemento della natura di turno, si sfila al ritmo di una scolastica danza del ventre l’abito che indossa (è sempre lo stesso, ma di un colore diverso per ciascuno dei cinque quadri); 3) va a pescarne in terra quello che le servirà per il quadro successivo, lo indossa e ricomincia da capo.
La faccenda va avanti uguale per buona parte della durata (ottanta minuti) dello spettacolo. Le uniche varianti sono un’incongrua citazione della Dietrich che nell’Angelo Azzurro cantava «Dalla testa ai piedi sono fatta per l’amore» e i baci alle tartarughe (finte) che la Höttler solleva di tanto in tanto dal tavolato e che dovrebbero rappresentare (ma allora, perché non sono vive?) la forza tranquilla della natura. La sequenza più bella è quella finale, con la proiezione su cinque schermi verticali di un filmato in cui la performer tedesca incarna gli altrettanti elementi della natura citati muovendosi tra orgasmo, ebbrezza dionisiaca e lamenti di rabbia. Ma, senza contare che la sua lunghezza eccessiva la rende a un certo punto pesante, resta fine a se stessa, senza legarsi in qualche modo al testo.
Va bene, chiudo. Si limita a cose del genere la «sezione internazionale» del Napoli Teatro Festival Italia? Annoto, come ho già fatto in altre circostanze, che continuano ad essere assenti dal cartellone della nostra superfinanziata rassegna personaggi come Milo Rau, l’alfiere mondiale del teatro politico, Sergio Blanco, l’autentica rivelazione della più recente drammaturgia europea, e l’Agrupación Señor Serrano, nel 2015 Leone d’Argento per l’innovazione alla Biennale Teatro di Venezia. Quest’ultima arriva persino a «Primavera dei Teatri», il minuscolo Festival di Castrovillari. E da Castrovillari mi hanno mandato subito, senza tante storie, i testi degli spettacoli che vi andrò a vedere.

                                                                                                                                          Enrico Fiore

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2 risposte a Cassandra, le tartarughe (finte) e i fantasmi di Greta e Marlene

  1. Tonino Simonetti scrive:

    E’ possibile avere il testo per uno stage con una compagnia amatoriale?
    Tonino Simonetti

  2. Enrico Fiore scrive:

    Gentile signor Simonetti,
    a me, come ho scritto, il testo di Ruggero Cappuccio non hanno voluto darlo. Mi auguro che, se lo chiede, lei sia più fortunato.
    Cordiali saluti.
    Enrico Fiore

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