Sulla nave di Viviani fra guappi e Bammenelle

Massimo Ranieri in «Viviani Varietà»

Massimo Ranieri in «Viviani Varietà»

Questo «Viviani Varietà» – diretto da Maurizio Scaparro e in scena al Diana – è uno spettacolo strano: nel senso che parte da un’idea eccellente ma poi, invece di svilupparla e di sostanziarsene, la riduce a un mero pretesto per proporre, sulla base delle elaborazioni musicali di Pasquale Scialò, una semplice antologia dei più noti e accorsati brani di Don Raffaele.
L’idea eccellente di partenza è che, qui, s’immaginano le prove che Viviani e la sua compagnia fanno a bordo del piroscafo «Duilio» in vista delle recite a Buenos Aires; e dunque, era logico attendersi che venissero messi a contatto il mondo di chi effettivamente partiva in cerca di un lavoro e lo sguardo dall’esterno di chi, per l’appunto Viviani, il dolore e la speranza degli emigranti li aveva soltanto immaginati, sia pure spinto dalla molla potente della poesia e di una scrittura fondata sull’impegno civile.
Si poteva, in altri termini, portare in scena – più che un’ordinaria rappresentazione – lo scontro (e l’interscambio) fra il teatro e la vita. Ma, per fare questo, occorreva un testo vero: mentre, nella circostanza, ci sono appena le battute di raccordo fra un brano e l’altro ricavate da scritti vari di Viviani e assemblate da Giuliano Longone; e il mondo degli emigranti si materializza soltanto nella fugace apparizione di una coppietta di clandestini.
Un’altra cosa strana, poi, è che – a fronte di molti brani (da «So’ Bammenella ‘e copp’ ‘e Quartiere» a «’O sapunariello», da «Avvertimento» a «E aspettammo») non ascrivibili al varietà – proprio di quest’ultimo mancano i pezzi più caratteristici, sia sul versante del divertimento surreale (penso, che so, a «La piuma» e «Al Bal Tabarin») sia sul piano della satira feroce esercitata, poniamo, contro i cerimoniali della borghesia («Fifi Rino») o i deputati da strapazzo («Il pezzente sagliuto»).
In conclusione, lo spettacolo gioca tutte le sue carte (praticamente le sole) sul mestiere e sulla simpatia del protagonista Massimo Ranieri, che, ovviamente, veste i panni di Viviani. Ed eccolo, per esempio, spremere ogni possibile risata dalla lezione che impartisce a una giovane attrice sul modo esatto d’interpretare «Son la Zucconas» o dall’esasperazione del «buffo» (a partire da quel panciotto fantasmagorico) con cui connota «’O guappo ‘nnammurato».
Gli applausi son tutti per lui. Fra gli altri meritano la citazione solo Ernesto Lama e Angela De Matteo.

                                                                                                                                   Enrico Fiore

(«Il Mattino», 21 dicembre 2013)

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