Eduardo nei Balcani

Biljana Srbljanović

Biljana Srbljanović

NAPOLI – Riporto la rievocazione scritta per il calendario Di Meo 2020, dedicato alla Serbia.

Il primo incontro con i Balcani costituì per me, in quanto critico, una grande sorpresa: quella di scoprire che là sapevano del teatro di Napoli molto più di quanto avessi mai potuto immaginare.
Nel maggio del 1998, insieme con l’indimenticabile Nico Garrone e Gianfranco Capitta, accompagnai in Montenegro Igina Di Napoli, che a Podgorica, la capitale, presentò nell’ambito del FIAT, il Festival Internazionale di Alternative Teatrali, due spettacoli di Pippo Delbono, «Il tempo degli assassini» e «Barboni», prodotti dal suo Nuovo Teatro Nuovo. E ci portarono a vedere, orgogliosi, il Teatro Nazionale appena ricostruito dopo l’incendio che l’aveva distrutto otto anni prima. Un’autentica meraviglia tecnologica. Ma io, che avevo saputo che a Podgorica mancava l’ospedale, subito apostrofai il direttore con malcelato fastidio: «Non era meglio pensare prima ai malati?».
Però, altrettanto immediatamente, un incontrastabile conato di patriottismo venne a spegnere quella mia sortita polemica. Perché appresi che giusto nel Teatro Nazionale avevano messo in scena «Filumena Marturano». Naturalmente il testo di Eduardo era stato tradotto in montenegrino. Ma il fatto è che il montenegrino non è una vera e propria lingua, è solo una variante del serbo-croato, in pratica una sorta di dialetto. E dunque – ecco l’aspetto per me incredibile della messinscena in questione – lì a Podgorica, dove si atterrava in un aeroporto presidiato dagli elicotteri da combattimento e i carri armati passavano nelle strade a intimorire i giovani seduti ai tavolini dei bar, avevano ricalcato esattamente la caratteristica decisiva della scrittura di Eduardo, il ben noto «mélange» di italiano e napoletano.
La sorpresa, poi, si esaltò addirittura quando, nell’aprile del 2007, conobbi a Salonicco Biljana Srbljanović, probabilmente la maggiore drammaturga serba, alla quale era stato assegnato il Premio Europa per le Nuove Realtà Teatrali. Aveva allora trentasette anni. E i suoi testi – a partire dalla «Trilogia di Belgrado» – erano stati tradotti in numerose lingue e rappresentati in più di cento teatri di tutto il mondo.
In Italia Biljana, da sempre in prima fila nella lotta contro Milošević, era diventata nota per le sue cronache giornalistiche dalla Belgrado dei bombardamenti Nato. Ma proprio per questo mi stupì, quando, senza pensarci due volte, dichiarò di botto: «Eduardo? Sì, certo, lo conosco. Ma m’interessa molto di più una realtà come quella di Teatri Uniti. Ho visto il loro “Tartufo”, e considero Toni Servillo assolutamente straordinario. E Mario Martone, poi… Ero proprio una ragazzina quando vidi “Tango glaciale”. Ne rimasi affascinata, e un’impressione non diversa ho provato assistendo a “Edipo re”. Penso che Martone sia uno dei geni del teatro italiano di oggi».
Forse nemmeno Servillo e Martone avrebbero sperato di avere, e addirittura nei Balcani, una fan così sfegatata. E allorché le dissi che assai simili a lei, nient’affatto tenera nei confronti del suo Paese, erano gli autori del «dopo Eduardo», su tutti Santanelli e Moscato, Biljana replicò: «D’accordo… però io sono più bella!». Ma ridiventò subito seria: «Martin Luther King affermava che la delusione nasce sempre da un grande amore. E dell’amore l’autocritica rappresenta, senza alcun dubbio, la forma più alta. Perché, se uno resta deluso dall’America, pace; il problema nasce quando si resta delusi dalla propria gente».
Dite la verità, non vi sembra di cogliere in queste parole la stessa amarezza che fu di Eduardo?

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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