Madre Courage? Viaggia su un carro che non si vede

Maria Paiato e Giovanni Ludeno in un momento di «Madre Courage e i suoi figli», in scena al Bellini (le foto che illustrano questo articolo sono di Fabio Ruggiero)

Maria Paiato e Giovanni Ludeno in un momento di «Madre Courage e i suoi figli», in scena al Bellini
(le foto che illustrano questo articolo sono di Fabio Ruggiero)

NAPOLI – Innumerevoli volte avevo già dovuto constatare la sproporzione e/o la contraddizione fra quanto i teatranti promettono nelle interviste o nelle note di regia e quanto, poi, effettivamente danno sul palcoscenico. E adesso son costretto a ripetermi anche davanti all’allestimento di «Madre Courage e i suoi figli» che la Società per Attori, il Teatro Metastasio e il Napoli Teatro Festival Italia presentano al Bellini per la regia di Paolo Coletta.
Coletta pubblica nel programma di sala uno scritto lunghissimo e dottissimo in cui analizza con somma puntigliosità e il progetto di Brecht relativo alla stesura di quel testo e il suo (di Coletta) progetto relativo alla messinscena del testo in questione e la lingua che connota il medesimo e, soprattutto (visto che Coletta è uno specialista del teatro musicale), le partiture che lo scandiscono. E dopo aver letto (con non poca fatica, dato che non è proprio un modello di chiarezza) tale scritto, uno si aspetta, dunque, uno spettacolo non meno che stratosferico, sia sotto il profilo della rilettura del testo sia sul piano delle forme conferite all’allestimento.
Invece, rimane sostanzialmente in ombra il contenuto ideologico decisivo di quelle (così recita il sottotitolo) «Cronache della Guerra dei Trent’Anni». Anna Fierling – la vivandiera, chiamata per l’appunto Madre Courage, che vive nell’incrollabile illusione di poter trarre vantaggio dalla guerra – pronuncia una battuta assolutamente inequivocabile: «Davanti agli uomini, la corruzione è come la misericordia davanti a Dio. La corruzione è la nostra unica speranza. Finché c’è quella, i giudici sono più miti, e in tribunale perfino un innocente può cavarsela». Di modo che, come sappiamo, Brecht osservò nelle note al testo: «Madre Courage – e ciò sia detto per aiutare la rappresentazione teatrale – riconosce, non diversamente dagli amici ed ospiti suoi e da quasi ogni altro personaggio, il carattere puramente mercantile della guerra; ed è proprio questo ad attirarla. Crede nella guerra sino alla fine. Non le passa nemmeno per la testa che ci vuole un coltello molto lungo, al tavolo della guerra, per potersi tagliare la propria fetta di torta».
«Chi contempla le catastrofi» – aggiunse quindi il drammaturgo di Augusta – «si aspetta sempre, a torto, che le vittime imparino qualcosa. Finché è oggetto della politica, ciò che di essa avviene, la massa non può considerarlo un esperimento, ma solo un destino; la lezione della catastrofe non le insegnerà più di quanto la cavia non impari di biologia».
Ma, nello spettacolo diretto da Coletta, simili considerazioni si perdono in uno scontro sterile fra un’aprioristica spinta concettuale verso l’astrazione e un tratteggio dei personaggi di fatto ancorato a stilemi naturalistici.

Da sinistra, Maria Paiato e Ludovica D'Auria in un altro momento dello spettacolo, diretto da Paolo Coletta

Da sinistra, Maria Paiato e Ludovica D’Auria in un altro momento dello spettacolo, diretto da Paolo Coletta

L’impianto scenografico di Luigi Ferrigno si regge su una parete semovente che accoglie al centro, in alto, un grosso buco in cui a tratti si accende un tondo rosso fuoco, come una pupilla. Ed io, nella mia infinita ingenuità, ho pensato che alludesse, insieme, all’occhio del ciclone rappresentato dalla guerra e all’occhio diabolico del capitalismo che la scatena. Ma Coletta, sempre nel famoso scritto pubblicato nel programma di sala, c’informa di quanto segue: «Il grande occhio sonoro che compare dietro, a parete abbassata, è la voce accecante della Storia, la didascalia brechtiana e l’ipertesto critico che contiene».
Sarei curioso di sapere se anche uno solo degli spettatori abbia pur minimamente scorto in quel buco un così vertiginoso coagularsi di significanti e significati. Con tanti saluti all’ultima, la più importante, delle note apposte da Brecht al testo: «Non è compito dell’autore aprire gli occhi a Madre Courage, alla fine dello spettacolo: essa vede qualcosa, verso la metà del dramma, alla fine della VI scena; poi torna a perdere la capacità di vedere. All’autore importa invece che, a vedere, sia il pubblico».
Ebbene, nello spettacolo di Coletta il pubblico vede specialmente che i personaggi sono ridotti a bozzetti tutto sommato accattivanti. E mentre obbedisce alla spinta verso l’astrazione di cui sopra il fatto che, al contrario, non si vede mai il celebre carro di Madre Courage del quale si parla dall’inizio alla fine e che lei a un certo punto vorrebbe impegnare, dal lato opposto quel bozzettismo si concede addirittura all’avanspettacolo scollacciato. Nel testo originale il cappellano, smettendo di spaccare la legna, propone a Madre Courage di passare fra loro a rapporti «un po’ più stretti». E la proposta l’avanza, secondo la didascalia, semplicemente «muovendosi verso di lei». E Madre Courage gli dice: «Non mi venga addosso con quella scure in mano». Qui, invece, il cappellano si piazza alle spalle della donna, che obietta: «Spero che quello che mi preme dietro sia il manico della scure».
D’accordo, Maria Paiato, ovviamente nel ruolo di Madre Courage, fornisce un’altra delle sue prove robuste. Ma nella circostanza è una prova che rientra, fondamentalmente, nella pura dimensione della tecnica. E lo stesso discorso vale per i migliori fra i comprimari, Giovanni Ludeno (il cuoco) e Mauro Marino (il cappellano). Sicché la cosa più convincente dello spettacolo è, per l’appunto, la drammaturgia musicale, messa in atto da Coletta attraverso la sapiente fusione delle musiche di Paul Dessau con quelle di Simon Parmet, Paul Burkhard ed Emile Wesly (in particolare la partitura «L’étendard de la pitié») che costituirono le altre fonti della colonna sonora del dramma di Brecht.

                                                                                                                                           Enrico Fiore

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